Meno domanda e meno lavoratori. Strategie per affrontare l’inverno demografico
Nostra riflessione con Carlo Blangiardo, ex presidente dell’Istat, relativamente al calo della popolazione e dei giovani. «Le imprese devono capire che è loro interesse che il dipendente abbia una migliore conciliazione tra la vita privata e il lavoro. Perché la mancata natalità non dipende solo dal costo dei figli, ma anche dal costo dei figli in termini di tempo»

Che l’Italia sia uno dei Paesi più vecchi al mondo, lo si ripete da anni. Ora a questa tendenza dovuta anche, fortunatamente all’aumento dell’aspettativa di vita e ai progressi nella medicina, da qualche anno se n’è aggiunta un’altra, relativa ai giovani. Oggi, infatti, i giovani italiani della fascia compresa tra i 18 e i 34 anni sono 10 milioni e 200 mila, diventando i veri protagonisti dell'inverno demografico: in 21 anni sono diminuiti del 23,2%, pari ad oltre 3 milioni di unità, il tutto mentre la popolazione è aumentata (+3,3% dal 2002 a oggi).
Non solo: l'Italia è il Paese Ue con la più bassa incidenza di 18-34enni sulla popolazione (nel 2021 17,5%; la media Ue è del 19,6%). Una tendenza che andrà ancor più ad accentuarsi, visto che i dati sulla natalità sono drammatici e in picchiata. Risultato: se le proiezioni restano queste, come afferma Gian Carlo Blangiardo, ex presidente dell'Istat e docente emerito di demografia all'Università Bicocca di Milano «mentre oggi in Italia siamo 58,8 milioni, nel 2080, saremo 13 milioni di meno e, di questi, 10 milioni saranno potenzialmente dei lavoratori».
SI RIDUCONO DOMANDA E PERSONALE

Per il mondo imprenditoriale, ciò vuol dire essenzialmente due cose: «Primo: avere una domanda di prodotti e di servizi più contenuta e poi avere ancor meno possibilità di trovare manodopera da impegnare nella produzione». Il tutto in un contesto in cui già oggi, con la popolazione che rasenta i 60 milioni, i consumi interni sono stagnanti e soprattutto sta aumentando sempre più la difficoltà a trovare lavoratori
Il mix tra invecchiamento della popolazione, caduta delle nascite e diminuzione degli abitanti è potenzialmente devastante: «L’Italia è uno dei primi Paesi al mondo – aggiunge Blangiardo - ma se perde popolazione, finisce per non essere più un grande Paese, perché in prospettiva si verificheranno vari problemi legati a equilibri sociali ed economici. Per esempio, nel campo del welfare. E non solo per pagare le pensioni, ma soprattutto per la sanità». Anche qui bastano due numeri per capire come un Sistema sanitario nazionale già cigolante difficilmente potrà reggere un impatto nel genere: «Oggi in Italia vivono 840mila persone con almeno 90 anni e 24mila ne hanno più 100. Nel 2080 si passerà a 2,1 milioni di ultra-90enni anni, e 150mila centenari». Senza contare che «senza figli o, al massimo con un figlio unico, si rende la struttura familiare più debole e incapace di appoggiarsi a una rete di congiunti e parenti per aiutare nonni e bisnonni».
NON C'E' CONCORRENZA TRA GENERAZIONI

Come cercare di evitare il collasso che, visti questi numeri sembrerebbe scontato? «Il messaggio che arriva dalle statistiche – afferma ancora il demografo – è che si deve cercare di indirizzare la macchina senza andare a sbattere contro il muro. Per esempio modificando delle regole che, oggi, hanno dei confini rigidi. Penso, per esempio, all’età di pensione fissata attorno ai 65 anni. Ora, visto che l’aspettativa di vita si è allungata e senza obbligare nessuno a lavorare oltre una certa età, si potrebbe dare la possibilità, a chi vuole, di proseguire nel lavoro, magari parallelamente all’ingresso delle nuove generazioni. Nessuno vuole togliere il posto di lavoro ai più giovani anche perché, con certi numeri, la concorrenza tra vecchie e nuove generazioni non c’è più. Qui manca, e quindi serve, manodopera. Inoltre bisognerebbe attuare delle leve per aumentare l’occupazione femminile, come nel caso della decontribuzione per le mamme che lavorano e fanno il secondo figlio. Non sarà la scoperta dell’America, ma è già qualcosa».
E, in tal senso, «gli imprenditori giocheranno un ruolo importante, anche nell’aiuto alla natalità, per esempio sul fronte del welfare aziendale. Le imprese devono capire che è loro interesse che il dipendente abbia una migliore conciliazione tra la vita privata e il lavoro. Perché la mancata natalità non dipende solo dal costo dei figli, ma anche dal costo dei figli in termini di tempo. Se, quindi, l’impresa è disponibile ad andare incontro ai collaboratori sui tempi del lavoro e sul lavoro a distanza, ciò sarebbe sicuramente un vantaggio per tutti». Nicola Antonello