Meno redditività, più costi e meno efficienza: i tassi alle stelle penalizzano le Pmi
Per comprendere le cause del rialzo dei tassi di interesse, per analizzare quali sono i rischi per le Pmi ma soprattutto come le aziende possono far fronte a questa situazione complicata, abbiamo intervistato Andrea Uselli, professore associato di economia degli intermediari finanziari e finanza aziendale all’università dell’Insubria. ASCOLTA IL PODCAST

La questione del rialzo dei tassi di interesse e della contrazione del credito è un tema piuttosto delicato e complesso; l’effetto domino che scatena il rialzo dei tassi di interesse può far pensare alla famosa canzone “Alla fiera dell’est” di Angelo Branduardi: il rialzo dei tassi di interesse, che fanno salire il costo del denaro, che fanno crollare i mutui, che non permettono gli investimenti, che al mercato mio padre comprò.
Concetto molto semplice e dalla consecuzione banale e scontata ma che, di banale e scontato, nella sua analisi, non ha davvero nulla.
Prima di entrare nel dettaglio della questione, però, è bene fare una breve cronistoria, utile per comprendere come si è arrivati alla situazione attuale.
Il 21 luglio del 2022, per la prima volta in 11 anni, la Bce ha alzato dello 0,5 i tassi di interesse per contrastare l’aumento dell’inflazione. Dopodiché, l’8 settembre dello stesso anno, a distanza di neanche due mesi, la BCE ha annunciato un altro aumento dei tassi di interesse: questa volta dello 0,75 per cento, ovvero il più grande aumento da quando esistono l’euro e la Bce.
Per comprendere le cause del rialzo dei tassi di interesse, per analizzare quali sono i rischi per le Pmi ma soprattutto come le aziende possono far fronte a questa situazione complicata, abbiamo intervistato Andrea Uselli, professore associato di economia degli intermediari finanziari e finanza aziendale all’università dell’Insubria.
Professor Uselli, a distanza di un anno dal più grande aumento dei tassi di interesse, quali sono state le conseguenze della scelta della Bce per le Pmi italiane?

Quella che ha raccontato con la canzone della fiera dell'est sembra un drammatico circolo vizioso: e torniamo indietro nel tempo, tassi analoghi li ritroviamo solamente nel periodo 2007-2008, nel bel mezzo di una crisi finanziaria legata a quella dei mutui subprime. Dopo di allora i tassi sono rimasti storicamente molto bassi, addirittura negativi.
Quello che ci preoccupa adesso, non è tanto la risalita dei tassi, che fisiologicamente era una cosa da aspettarsi, ma sono l'impennata e l'accelerazione di questo rialzo, oltre alla possibile controversia rispetto all’efficacia di questa manovra che, come sappiamo, è stata tesa soprattutto a combattere l'inflazione, un nemico quasi dimenticato in tale intensità.
Guardando le imprese: per quanto riguarda l’aspetto economico, i primi dati sui bilanci 2022 evidenziano sia un calo della redditività, circa un punto percentuale in meno nel rapporto tra gli utili e il fatturato, sia un rialzo nei costi sopportati dalle imprese che – ovviamente - riduce sia la redditività che i margini di manovra, oltre a peggiorare le condizioni di efficienza nei costi delle aziende.
Sul lato finanziario, invece, c’è la questione del costo del debito e del rialzo dell'aggregato degli oneri finanziari.
Dopo aver esaminato l'aspetto economico (più costi e meno margini) e quello finanziario (maggiori interessi), manca l’aspetto monetario, ovvero la liquidità veramente a disposizione delle imprese e, anche qui, la situazione non è certo delle migliori: c’è un peggioramento delle condizioni di liquidità e ci sono tensioni sui pagamenti; questi due fattori giocano un ruolo fondamentale visto che pongono le Pmi con molte meno armi a disposizione di fronte ai mercati finanziari.
Quindi, dal punto di vista dell’adeguatezza e dell'equilibrio della struttura finanziaria, le imprese hanno fatto un salto all'indietro, tornando a squilibri registrati prima dell'epoca Covid.
In questo scenario di tassi d'interesse alti ancora per alcuni anni che - purtroppo! - secondo gli analisti ed i centri di ricerca è sempre più reale, qual è il rischio più grande per il futuro delle aziende?

Il rischio è essenzialmente legato, secondo me, all’instabilità e alla difficoltà di effettuare un’adeguata pianificazione a medio lungo termine.
Il tema della pianificazione e della programmazione degli investimenti è un passaggio essenziale in un percorso di crescita delle imprese, in un percorso di pianificazione degli investimenti e in un percorso di competitività anche internazionale.
Dobbiamo uscire dalla logica che piccolo è bello: piccolo sarà anche bello ma prima o poi vieni stritolato dagli altri che sono sempre meno piccoli, sempre più grandi, sempre più efficienti. Visto che ormai la partita della competitività è sempre di più su scala internazionale, le imprese devono prepararsi a questo.
Per prepararsi bisogna investire, per investire bisogna avere le risorse e, da questo punto di vista, la finanza è una scienza semplice: o i soldi ce li hai o te li devi procurare. I soldi puoi averli se riesci ad avere equilibri economici ma, in un contesto di grandi difficoltà e di scenari molto instabili, è facile che questo tesoretto autoprodotto sia molto piccolo; se i soldi non ce li hai, te li devi procurare. E per le imprese italiane, storicamente, questo doverseli procurare ha sempre riguardato andare a bussare in banca, con tutti i pro e i contro di questa scelta.
Se, da una parte, bussare alle banche ha messo al riparo le aziende da alcuni fattori di rischi di mercato, accompagnando le imprese italiane sui mercati internazionali, dall’altra, probabilmente, ha fatto perdere un po’ di opportunità alle imprese, ad esempio in termini di diversificazione del rischio o di diversificazione delle fonti di approvvigionamento.
Su questo, mi sento di dire che le imprese italiane ancora non sono pronte, anche perché non è pronto il mercato: c’è un problema, secondo me, di tessuto di sistema finanziario che ancora non agevola l'accesso delle imprese ai mercati in una logica di pianificazione e programmazione degli investimenti.
In Italia la relazione fra banche e imprese si basa soprattutto sul credito a breve, il cosiddetto revolving che, secondo una recente ricerca relativa all’Europa, è più costoso dei finanziamenti di circa il 3%. Anche per questo, rispetto a quanto avviene in molti altri Paesi dell’eurozona, le aziende italiane sono più vulnerabili al rialzo dei tassi d'interesse e alle contrazioni del credito. Può essere questo uno degli ambiti su cui intervenire per provare ad iniziare ad invertire la tendenza?

Questo è un aspetto fondamentale; gli ultimi dati dell'ABI testimoniano un calo del credito, una contrazione nell'ordine del 3%, che è un calo molto importante. Non si vedeva da due anni un calo così repentino associato a un incremento del costo dei finanziamenti.
In questo scenario, c’è sia un problema di quantità che di prezzo: il mercato del credito è ovviamente un mercato peculiare, un mercato dove si incrociano, come qualunque mercato del resto, la domanda e l'offerta. Quindi è importante per le imprese disporre di credito? Sì, ma è importante anche disporne a quantità, condizioni e costi convenienti e competitivi.
Il credito per la liquidità è facilmente accessibile: ci sono strumenti molto flessibili per poter accedere al credito. Lo dico in modo molto semplice: è sufficiente avere un'autorizzazione tramite una banale istruttoria di fido per andare in rosso sul conto corrente.
Però, riprendendo un pochino le parole di prima, quanto è sostenibile questa strategia? Può compensare piccoli squilibri di liquidità momentanei e temporanei ma non può certo servire come funding strutturale, in più, essendo flessibile, non è appoggiato su garanzia e quindi è più costoso.
Non dimentichiamoci mai che dall'altra parte del mercato c'è un'istituzione come la banca, che pure è un'impresa che non solo è interessata ai propri margini e ai propri equilibri, ma soprattutto è anche regolamentata. Pertanto, gli strumenti più flessibili, con minori garanzie anche nell'ottica della banca che concede credito, sono quelli più rischiosi.
Le imprese italiane hanno diversificato poco perché il credito bancario, nelle sue varie forme, ha sempre svolto il ruolo di accentratore delle esigenze di finanziamento e lo dico in termini neutrali, anche se magari l'accezione sembra negativa.
Ora le opportunità sono da rintracciare sui mercati finanziari e sull'accesso al capitale di rischio, ma queste non sono delle opportunità che si costruiscono in breve tempo. Ci vuole il supporto di elementi di contesto favorevoli e lo scenario attuale non lo permette, basti pensare che il numero delle grandi imprese quotate su Borsa Italiana è rimasto stabile negli anni.
D’altra parte, le imprese piccole hanno ancora meno gradi di libertà oltre che meno margini di manovra; con questo non voglio dire che il credito ci deve essere per tutti e deve essere per tutti a tasso zero, non a caso si parla di merito di credito quando si parla dell'istruttoria di Fido.
Quindi, a questo punto, cosa può fare l'impresa per meritarselo? Secondo me ci sono un paio di elementi su cui le imprese certamente stanno lavorando ma a fronte delle quali hanno bisogno di un network tant’è vero che per favorire queste condizioni di facilità di accesso al mercato si parla di ecosistema.
Contrazione del credito. Per molte aziende contrazione del credito significa impossibilità di investire, sia in termini di risorse umane e competenze che di apparecchiatura. Da manuale, ammesso che ci sia un manuale, come si contrasta la contrazione del credito?

Per contrastare la contrazione del credito le aziende italiane dovrebbero partire dai propri punti di forza: le imprese italiane sono sempre state brave ad innovare, anche quando ancora non si parlava di innovazione. Non a caso siamo leader in tante nicchie di mercato, in quello che poi convenzionalmente mettiamo sotto il nome del made in Italy, che agli occhi degli investitori stranieri piace molto.
Non è un caso che nell'ultimo anno, il 2022, pur con tutte le criticità di un anno guidato da scenari macroeconomici molto negativi, la quota delle operazioni cross-border nelle MNE italiano, dove gli acquirenti esteri hanno fatto shopping in Italia, è più che raddoppiata. Quindi le imprese italiane piacciono.
Le imprese italiane però devono crescere, devono aprirsi ai mercati, devono diversificare la loro domanda di fondi che a questo punto non deve essere solo domanda di credito: devono aprirsi ai mercati attraverso la comunicazione, attraverso sistemi più trasparenti di governance, attraverso meccanismi più trasparenti di governo del rischio, avvicinandosi sempre di più ad una comunicazione e ad una rendicontazione nei driver della sostenibilità; questo non perché è di moda ma perché la sostenibilità sta entrando sempre di più nei processi di governo del rischio da parte delle banche.
L'impresa deve sapere come viene valutata e deve sapere che sempre di più viene valutata in una logica di filiera, cioè in una logica di rete.
Questo vuol dire che l'impresa deve entrare in sintonia con la banca in termini di conoscenza e di nuovi parametri di valutazione del rischio che, sempre di più, si basano su elementi di natura ambientale e su elementi di natura sociale.
Gli imprenditori italiani sono bravissimi nei processi produttivi ma devono, una parola un po’ brutta, managerializzare di più la loro impresa. E questi sono i driver su cui devono investire, perché questa è la condizione necessaria per la sopravvivenza, per il riequilibrio necessario nel breve termine e per garantire una competitività internazionale su mercati sempre più complessi. Giuliano Terenzi
Tassi di interesse e caro-credito: strategie e soluzioni per le imprese
Il notevole rialzo dei tassi di interesse dal 21 luglio 2022 ha catapultato l'economia in una situazione preoccupante, richiamando gli echi della crisi finanziaria del 2007-2008. La rapida e controversa accelerazione dei tassi, insieme a un'inflazione in doppia cifra non vista da decenni, ha sollevato allarmi sia per le famiglie che per le imprese, mettendo in particolare sotto pressione i bilanci aziendali e peggiorando le condizioni di efficienza e liquidità.
Ne abbiamo parlato con il professor Andrea Uselli, professore associato di economia degli Intermediari Finanziari e Finanza Aziendale all'Insubria.
Mentre il calo del credito e l'incremento del costo dei finanziamenti rappresentano ulteriori ostacoli, le imprese italiane si trovano oggi a fronteggiare significative sfide in termini di accesso e diversificazione del credito, nonché nell'adozione di prassi più sostenibili e trasparenti. L'attuale clima economico richiede un approccio aziendale più managerial e focalizzato sulla sostenibilità, con un accento particolare sulla navigazione prudente attraverso le tumultuose acque della pianificazione finanziaria e investimenti.