Passaggio generazionale: che fare se il senior non se ne va?
Il rischio della sindrome dell'abbandono. Fondamentale per i giovani crearsi un’identità in azienda. Vietato non parlare del passaggio di testimone: potrebbe fallire
Di passaggio generazionale si parla spesso, «ma a volte gli imprenditori preferiscono non affrontarlo». Sarà perché a volte si dà per scontato ciò che non lo è (chi l’ha detto che un figlio, solo perché tale, deve prendere il posto di papà?), oppure perché si pensa sia semplice ciò che è complesso. Per esempio, il fatto che «un successore di successo deve essere non solo capace e competente ma anche motivato». Oppure, che ci vuole una forte identità per affrontare «l’ombra del senior e la sindrome dell’abbandono».
Ne abbiamo parlato con Alfredo De Massis, professore di Imprenditorialità e Family Business all'Università “G. D'Annunzio” di Chieti-Pescara con una carriera internazionale che conta affiliazioni all’IMD Business School in Svizzera e l’Institute for Family Business della Zhejiang University in Cina. È considerato lo studioso numero uno al mondo, e influencer a livello globale, nel campo delle imprese familiari.
Professore, le imprese familiari sanno gestire il passaggio generazionale?
In generale, nel nostro Paese il passaggio generazionale non solo non viene gestito, ma addirittura le tematiche che lo interessano sono considerate quasi un tabù: è un argomento sul quale si discute e si dialoga a fatica. Spesso mi capita di lavorare ad un progetto con un imprenditore o una famiglia intera: solitamente mi fanno capire che il passaggio generazionale è un tema delicato e preferiscono non affrontarlo.
Nelle imprese capita spesso di incontrare i senior ancora attivi: è un male o un bene?
La generazione dei senior detiene la maggiore esperienza imprenditoriale ed è quindi importante per un buon passaggio generazionale. È altrettanto vero, però, che uno fra i maggiori ostacoli al passaggio di testimone è quello che la letteratura scientifica definisce la “sindrome dell’abbandono”. Ossia, padri e madri di famiglia la cui vita è l’azienda e che per ragioni di natura non tanto economica quanto psicologica e sociologica fanno fatica a staccarsi da ciò che hanno creato. Le loro radici restano ben salde nell’impresa e questo rende molto difficile l’inserimento dei leader della nuova generazione che in Italia, proprio per questo, spesso sono ultracinquantenni. Nominati in posizioni di leadership con un passaggio avvenuto in modo formale, non sono però riconosciuti nel loro ruolo: dipendenti e stakeholder continuano a riferirsi al fondatore. Questo genera frustrazione e confusione all’interno delle strutture dell’autorità aziendale.
Per la nuova generazione è complicato crearsi un’identità?
Crearsi una propria identità è molto importante, perché non dobbiamo dimenticare che un successore di successo deve essere capace e competente, ma deve anche essere molto motivato a svolgere il ruolo di leader. Un ruolo che non è affatto semplice. Abilità e volontà sono due elementi estremamente importanti, ma nel momento in cui il giovane è vittima dell’ombra del fondatore, e della sua sindrome dell’abbandono, non si troverà nella situazione ideale per potersi legittimare agli occhi degli altri. Ricordiamo, però, che la leadership ce la si deve conquistare sul campo: il giovane può ricevere dai genitori un titolo e un ruolo, ma poi diventare leader è tutt’altra storia.
Quali sono i comportamenti che possono ostacolare l’entrata in azienda della nuova generazione?
Primo: quando non c’è la volontà di pianificare il passaggio generazionale. Non è una buona circostanza, e non è indolore, un passaggio che accade per cause naturali: questo interessa l’85% e più delle imprese italiane. In assenza di un passaggio di testimone preparato, all’interno della famiglia si generano numerosi problemi di tipo affettivo, emotivo ed economico-finanziari.
Secondo: il passaggio generazionale è un processo lungo che può interessare l’azienda anche per sette o dieci anni. È per questo che va pianificata sia l’uscita dei predecessori che l’ingresso dei successori, il periodo di collaborazione e di coesistenza tra le due generazioni. È fondamentale investire nella definizione dei criteri che guidano l’ingresso delle nuove generazioni.
Allora parliamo di indicatori, criteri e panel: come?
Il terzo motivo che può ostacolare il passaggio è proprio questo: molti problemi nascono quando non vengono definiti gli indicatori che monitorano il successo del processo di successione, e i criteri oggettivi – che devono poi essere formalizzati – per selezionare il successore tra i componenti della nuova generazione. Le imprese più lungimiranti, solitamente, definiscono dei panel nei quali al processo di selezione partecipano anche figure esterne alla famiglia. Per due ragioni: innanzitutto, nella scelta del successore la figura esterna vive un coinvolgimento emotivo minore rispetto ai familiari; poi, agli occhi degli altri la sua decisione è considerata più oggettiva. La sua presenza aiuta a migliorare il livello di giustizia procedurale e, di conseguenza, il processo attraverso il quale viene selezionata la nuova generazione viene percepito come giusto. In ultimo, c’è la tendenza tutta italiana a prediligere, tra i membri della famiglia, l’uguaglianza e non l’equità. È molto improbabile che all’interno di una compagine familiare ci sia equivalenza, trai suoi membri, in fatto di competenze e motivazione. Pertanto, la scelta migliore è sempre quella che predilige l’equità, anche se può portare a dilemmi interiori da parte del senior e a possibili problematiche aziendali.
I tre passi che devono fare le nuove generazioni per realizzare un passaggio di successo?
Primo: capire chi all’interno della famiglia vuole davvero assumere una posizione di leadership senza dimenticare, però, che ogni membro può giocare ruoli diversi. Non tutti devono essere manager o leader: un familiare, ad esempio, può esercitare il ruolo di consigliere nel consiglio di amministrazione, oppure quello di azionista. Ereditare azioni non fa automaticamente del familiare un buon azionista, perché anche per fare questo occorrono competenze – “ownership competences”, come le definisce la letteratura scientifica – che è bene maturare.
Secondo: strutturare un percorso di formazione per sviluppare conoscenza esplicita e tacita. Una buona prassi è quella di aiutare le nuove generazioni a farsi esperienze esterne all’impresa di famiglia. Questo, però, dipende dai settori: in alcuni si preferisce la gavetta interna per realizzare il passaggio generazionale in tempi brevi; in altri si investe in percorsi in aziende concorrenti, o all’estero, per accumulare esperienze. Questo, generalmente, è un plus, purché si consideri che l’ingresso nell’azienda di famiglia non dovrebbe comunque avvenire immediatamente dall’alto, ma essere graduale e passare attraverso una oculata job rotation.
Terzo: il giovane, proprio perché è giovane, tipicamente entra in azienda con entusiasmo e con la voglia di stravolgere i connotati aziendali. Tuttavia, dovrebbe comprendere che il passaggio generazionale può essere visto come un gioco di squadra in cui sia i senior che i junior hanno un ruolo molto importante: i primi hanno esperienza e i secondi hanno energia. Dal connubio di questi due aspetti possono nascere grandi cose durante una transizione generazionale ben gestita.
Quindi, i giovani come si devono comportare?
Considerate le tensioni naturali che si sviluppano tra le due generazioni, i giovani devono cercare il più possibile di entrare in punta di piedi nell’azienda di famiglia per collaborare con la vecchia generazione e capire come dare un proprio contribuito nel rispetto del fondatore o del predecessore: è così che si creano una loro identità. Da sempre penso che le imprese familiari siano il contesto ideale per realizzare ciò che definisco “l’innovazione nella tradizione”: il passato e il futuro non devono essere visti come due elementi antitetici, in contrasto fra loro, perché si può benissimo imparare da quelle imprese d’eccellenza che usano il passato per essere innovative e mantenere il proprio vantaggio competitivo nel tempo.
È vero che i leader più giovani ottengono performance migliori rispetto alle vecchie generazioni?
Esiste un ciclo di vita dell’individuo, ma nessuno di noi è immortale. Però, se con il passare degli anni le energie diminuiscono, le esperienze aumentano. Sono proprio queste a giocare un ruolo cruciale nella gestione di un’impresa, perché sono il risultato di anni di errori e lezioni sul campo. Per evitare che il family business diventi anacronistico si deve dare spazio alle nuove generazioni, ma non è detto che i senior debbano uscire immediatamente da tutti i ruoli che hanno ricoperto nell’impresa: a volte, è sufficiente facciano un passo indietro nel management familiare; per il resto potranno dare il loro supporto nella governance, nella ownership o in altre iniziative che la famiglia imprenditoriale decide di intraprendere. Dare spazio ai giovani significa evitare situazioni di frustrazione, ed emozioni negative, che porterebbero inevitabilmente al distacco affettivo dall’impresa di famiglia mettendone a serio rischio la continuità. Davide Ielmini