Primi segnali di managerializzazione

Perché nelle piccole e medie imprese aumenta il ricorso a manager esterni e come mai è un’ottima notizia per un processo di managerializzazione che ha bisogno di una spinta forte

Managerializzazione

di Antonio Belloni *

Poco alla volta, i manager stanno entrando nelle piccole e medie imprese.

Come lo fanno?

Arrivano alla spicciolata e con appellativi innovativi come manager interinali, manager on demand, fractional manager, temporary manager, manager ad interim, manager a tempo, manager part-time o manager in affitto…

Ora, il ricorso a tutte queste tipologie di management è un’ottima notizia per le imprese italiane, in particolare per quelle piccole e medie, proprio perché sono da sempre poco propense a managerializzarsi.

Ma per quali motivi non lo fanno?

PERCHÉ LE PMI (NON) VOGLIONO I MANAGER

Finora, gli ostacoli all’entrata del management nelle pmi sono stati vari.

Ma tre sono da sempre evidenti.

  1. Famiglia e commercialista

È difficile far entrare un manager esterno laddove la famiglia ha sempre presidiato i posti chiave e dove “il commercialista di fiducia” ha avuto un ruolo preponderante nelle decisioni più importanti e non solo quelle.

Manager significa spesso “non è dei nostri”.

  1. Sproporzione di costo

Assumere un manager costa molto nella misura in cui incide tanto sul costo totale del lavoro se e quando un’impresa ha pochi dipendenti (meno di 100) o poca marginalità.

Quello del manager sembra spesso un costo sproporzionato.

  1. Valore intangibile

L’impresa ha sempre preferito riconoscere valore e quindi pagare bene le professioni tecniche o tangibili (l’avvocato, l’ingegnere) più che quelle intangibili, anche se strategiche.

Manager significa spesso “soldi spesi male”.

Nonostante questo, cosa spinge la pmi a tentare di managerializzarsi?

Cosa la convince a superare ostacoli e pregiudizi?

VINCONO I BISOGNI

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Se abbiamo visto che i nomi con cui chiamare questi cavalieri della managerializzazione delle pmi sono tanti, i bisogni che invece giustificano il crescente ricorso ad essi – soprattutto negli ultimi anni – sono pochi e chiarissimi.

Infatti molte delle imprese li cercano per tre ragioni molto comuni e diffuse:

  • urgenza;
  • cambiamento;
  • nuove competenze.

Urgenza

Nel primo caso, le imprese ricorrono con urgenza a manager esterni per rispondere a problemi nati improvvisamente, a criticità estese e ormai ingestibili, e con l’idea di fare un intervento chirurgico e magari poco esteso.

Cambiamento

Nel secondo, il ricorso è motivato dal momento contingente: l’impresa sta vivendo una crescita veloce ed allargata, oppure è in crisi, o sta vivendo un momento di trasformazione unico (vd. il passaggio generazionale).

Competenze

Nel terzo caso, l’impresa chiama un manager perché il mercato o le condizioni normative la costringono a cambiare e richiedono competenze specifiche e mancanti (sostenibilità, digitale, settore nuovo, nuova area di mercato).

È quindi l’aumento di queste condizioni a giustificare oggi la crescita del numero di imprese che ricorrono a un manager esterno, spesso over-50, anche se dotato dall’impresa di strumenti, risorse e responsabilità insufficienti.

È comunque una buona notizia.

PIÙ CONSAPEVOLEZZA

Infatti, pur chiamati per ragioni di urgenza, di cambiamenti eccezionali e trasformazioni uniche, di crescita, crisi o mancanza di competenze specifiche, i nuovi manager esterni rappresentano un solco profondo nella vita delle Pmi.

Segnalano lo svilupparsi e la diffusione di una mentalità nuova.

Oggi le Pmi affrontano ed impiegano infatti il management con un approccio psicologico nuovo:

  • cominciano a riconoscere valore anche alle professioni intangibili;
  • imparano a fare quello che suggerisce qualcuno di esterno;
  • si abituano a farsi aiutare.

C’è quindi una fiducia più viva e reale nei confronti di chi ha coltivato competenze anche altrove, in settori diversi ed anche partendo da facoltà universitarie, da master e specializzazioni.

C’è però altro lavoro da fare.

IL MOMENTO IDEALE

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Come possiamo già da oggi intuire le evoluzioni che avrà il fenomeno?

Consideriamo cinicamente dove, per ora, poggia il successo dei manager esterni:

  • sulla loro flessibilità, che li rende agli occhi dell’imprenditore facilmente sganciabili dalla struttura;
  • sul poco tempo che impegnano, soprattutto quello del capo che affiancano, perché sono appunto “a tempo”;
  • sulla progettualità, perché sono appunto vincolati ad un progetto che, quando finisce o scade o è raggiunto li rende superflui.

Quindi, il modo in cui entrano in azienda e anche le loro stesse etichette professionali fanno pensare che molte imprese li coinvolgano in modo  distaccato, dando loro poco attenzione e spazio, dedicando loro poco tempo.

Il rischio è quindi di avviare una managerializzazione superficiale.

Iniziare una collaborazione senza considerarne da subito gli sviluppi futuri concreti rischia infatti di rendere il rapporto povero di risultati importanti, di segni profondi e cambiamenti duraturi.

Ci si ascolta poco e si ha poca fiducia fin dall’inizio.

Oggi ci sono però le condizioni per fare un passo in più.

OLTRE ALLA VERSIONE BETA

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Proviamo a considerare i problemi più sentiti dalle imprese familiari.

Nell’ambito dei modelli di business sono l’accesso ai mercati esteri e la capacità di attrarre persone chiave, mentre riguardo ai rapporti tra impresa e famiglia sono la successione e gli assetti dell’organizzazione.

Ognuno di questi può essere influenzato in modo decisivo dal management.

Bisognerà allora potenziare se non addirittura trasformare il ruolo dei manager esterni – ora in versione beta – attraverso azioni molto pratiche e concrete come queste:

  • allungare i tempi dei contratti;
  • creare spazi di manovra e responsabilità più ampi;
  • alzare i compensi orari;

Servirà però un concomitante cambio di mentalità.

Per passare dal concetto di urgenza a quello di presenza continua, dalla logica dell’impatto immediato e visibile a quella di uno sguardo al futuro, per riporre fiducia non solo nei manager over-50 ma anche in quelli più giovani.

* Coordinatore Centro Studi Imprese Territorio