Salari fermi, competitività a rischio: perché l’Italia non cresce come il resto d’Europa
I salari italiani restano tra i più bassi dell’area Ocse. Tassazione alta, produttività stagnante e contratti scaduti: l’inchiesta di Confartigianato fa luce sulle cause strutturali

Siamo davvero sicuri che il “nodo salari” sia solo ed esclusivamente una questione legata ai bassi stipendi? La domanda rischia di andare a fondo nelle acque agitate dell’economia italiana. E per capire davvero quali sono gli ostacoli che non permettono, ai nostri lavoratori, di stare al passo con i loro omonimi europei, ci affidiamo a tre fra i massimi esperti di salari, lavoro e previdenza: Andrea Garnero (economista Ocse e autore del libro “La questione salariale”), Marco Leonardi (professore di Economia politica all’Università Statale di Milano) e Giuliano Cazzola, già professore alla facoltà di giurisprudenza dell’Università Alma Mater di Bologna e componente del Comitato scientifico di Adapt.
I BASSI SALARI SONO SOLO UNA CONSEGUENZA
Questo nuovo ciclo di approfondimenti di Confartigianato Imprese e Territorio si confronta qui con alcuni dati – comunicati nell’ultimo Outlook dell’Ocse – e con valutazioni generali utili per mettere a fuoco il problema. In prima battuta, è corretto sottolineare quanto i bassi salari, nel nostro Paese, siano il risultato di un mix esplosivo di fattori economici e strutturali:
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Una mancata crescita economica, inferiore agli altri Paesi europei
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Una bassa, se non stagnante, produttività del lavoro
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Una struttura del mercato del lavoro composto per lo più da piccole e medie imprese, poco propense ad investire in nuove tecnologie e formazione
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Un sistema fiscale, leggasi tassazione sul lavoro, che pesa sul salario
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L’andamento inflattivo, al rialzo, di questi ultimi anni che ha eroso il potere d’acquisto dei salari
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Il rinnovo, spesso mancato, dei contratti collettivi di lavoro
2021-2025: SALARI ANCORA SOTTO DEL 7,5%

Quando si parla di salari reali, l’Italia detiene un primato negativo: è maglia nera tra le economie Ocse. A dirlo sono i dati del rapporto Employment Outlook 2025: nonostante ci sia stato un lieve recupero nell’ultimo anno, a inizio 2025 i salari degli italiani erano nuovamente inferiori del 7,5% rispetto a quelli del primo trimestre 2021. Un problema annoso che sottrae fiducia agli andamenti futuri: se per l’Ocse l’aumento dei salari nominali in Italia sarà del 2,6% nel 2025, nel prossimo anno la percentuale si fermerà al 2,2%. Affidarsi al rallentamento dell’inflazione è, seppur flebile, una piccola speranza: nel 2025 dovrebbe attestarsi al 2,2% per poi scendere, nel 2026, all’1,8%.
CONTRATTI COLLETTIVI VS INFLAZIONE: PARTITA PERSA
Qual è il punto? È che gli stipendi, nel nostro Paese, sono praticamente gli stessi dall’inizio degli anni Novanta. Le altre economie europee? Fanno senza dubbio meglio: in Francia, nello stesso periodo, gli stipendi sono cresciuti del 25% e in Germania del 20%. A dirlo è l’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Che ha anche confrontato la situazione attuale dei salari in Italia con la crisi economica del 2008: oggi gli stipendi degli italiani – al netto dell’inflazione – sono più bassi dell’8,7%. E i consumi, conseguenza logica, diminuiscono.
Nonostante il rinnovo dei principali contratti collettivi nell’ultimo anno, fa sapere l’Ocse, “abbia portato ad aumenti salariali negoziati superiori al solito, questi non sono stati sufficienti a compensare completamente la perdita di potere d’acquisto causata dall’aumento dell’inflazione. Inoltre, all’inizio del primo trimestre del 2025, un dipendente su tre del settore privato era ancora coperto da un contratto collettivo scaduto”.
SALARI NETTI: ITALIA 23ESIMA NELLA GRADUATORIA OCSE

Insomma, sembra che si giri in tondo senza arrivare a una destinazione sicura. Con la complicità dell’alta tassazione sul lavoro: in Italia, nel 2024, il salario al netto della tassazione era di 41.438 dollari, contro la media Ocse di 45.123 dollari. Il nostro Paese occupa il 23° posto tra i 38 aderenti all'organizzazione. È un livello inferiore anche a quello della Spagna (43.034 dollari) e non lontano da quello della Polonia (39.200 dollari) e della Turchia (39.000 dollari).
Però, anche i Paesi che hanno un cuneo fiscale più elevato di quello italiano (47,1%; quarta posizione nella graduatoria dell’Ocse), o su livelli simili, hanno livelli salariali netti più alti. La Francia è a 48.500 dollari, il Belgio a oltre 52mila, la Germania si avvicina ai 56mila dollari e l'Austria viaggia sui 59mila. Il salario netto medio più alto è della Svizzera: 84.728 dollari a parità di potere d'acquisto.
LA QUESTIONE SALARIALE COME BLOCCO SISTEMICO
Il “nodo salari” è, dunque, il risultato di una stratificazione di problemi concatenati fra loro. Problemi che l’Italia si trascina da troppo tempo e che, ora, rischiano di mandare in panne la seconda manifattura europea. Con questa inchiesta, facciamo chiarezza su ciò che frena, ancora oggi, il sistema-Italia e cosa si dovrebbe fare per avvicinarci alle performance di Paesi sicuramente più virtuosi (1. continua). Davide Ielmini