Se flessibilità e smart working non sono possibili, come può un’azienda attrarre i giovani?

Per gli imprenditori - che nella maggior parte dei casi appartengono alla generazione precedente - capire la GenZ è ormai imprescindibile. Comprendere come trattenerli e non perdere la risorsa che essi rappresentano, specie quando non possono offrire ciò che i giovani chiedono

Attirare i giovani

La Gen Z catalizza l’attenzione delle aziende, perché rappresenta il presente e il futuro del mercato del lavoro. Ma è una generazione particolare, questa. Una generazione che ha saputo trasformare l’insicurezza in sicurezza, la precarietà in fiducia interiore. L’incertezza in sete di evoluzione. La Gen Z è esigente e sta imparando a fronteggiare la paura.

Non sente la necessità del posto fisso, sa che un posto comunque lo troverà. Poi un altro, se le cose non dovessero andare bene. E per quanto dia estrema importanza al lavoro, non intende rinunciare alla propria vita privata. Agli affetti, alle passioni, alla socialità, al tempo libero. La Gen Z è sempre più interessante, anche agli occhi dei datori di lavoro, sia per le doti e competenze che per la sua capacità di affermazione. Proprio per i datori, ovvero gli imprenditori che nella maggior parte dei casi appartengono alla generazione precedente, capire i giovani è ormai imprescindibile. Comprendere come trattenerli e non perdere la risorsa che essi rappresentano. Ma anche come attrarli. Ed è su questo secondo punto che qui vogliamo fare focus.

TROVARE NUOVE STRATEGIE

Attirare i giovani

Flessibilità e smart working, l’abbiamo già sottolineato più volte, rappresentano ormai per molti ragazzi una conditio sine qua non. Ma se un’azienda non può offrirli, con quali altre strategie può sopperire in modo da arruolare risorse valide? Pensiamo, in particolare, a un Pmi che operi nel settore manifatturiero. Cosa può mettere sul piatto? Ci siamo confrontati con Davide Luca Arcidiacono, professore associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Catania. Ed è stato un dialogo confortante, nel senso che sono emerse più alternative di quante potrebbero sembrare a un primo impatto. Le elenchiamo, per poi approfondire:

  • Cambiare la cultura della gestione dell’azienda
  • Annullare la concezione dei silos
  • Scegliere i canali di reclutamento giusti
  • Rafforzare il rapporto con gli istituti formativi
  • Fare employer branding

Si tratta di una serie di azioni a cascata: senza la prima, non può attuarsi la seconda e così via. Il fil rouge è la necessità di una mentalità imprenditoriale più aperta, che dia ai dipendenti molta più importanza – a 360 gradi – rispetto al passato.

CAMBIARE LA CULTURA DELLA GESTIONE DELL’AZIENDA

Attirare i giovani

«Le micro e medie imprese – spiega Davide Luca Arcidiacono – presentano diversi elementi di fragilità derivanti, nella maggior parte dei casi, da strutture gerarchiche piatte e rigide. Sono aziende a conduzione familiare che non ‘riconoscono’ i manager e la loro importanza. Separare la proprietà familiare dal management, invece, è un passo determinante». Perché lascia spazio ai giovani laureati e alle loro competenze. Il piccolo imprenditore dovrebbe decidere di delegare alcune delle funzioni cruciali a persone che non facciano parte della famiglia. A professionisti, semplicemente.

Non riuscire a superare questa sorta di blocco mentale – chiamiamolo così – comporta diverse conseguenze. Tutte negative. E di certo fa perdere parecchia attrattività alle aziende.

ALLA RICERCA DELLA QUALITÀ

«Ci sono ambienti – continua Arcidiacono – che non possono risultare soddisfacenti. Il lavoratore ha scarsa autonomia, un potere decisionale quasi nullo, sente di non ricevere neppure fiducia. Nel peggiore dei casi, rischia di ritrovarsi in una vera e propria impresa padronale». Invece i giovani cercano qualità, in riferimento sia al lavoro che alla vita in generale. Cercano autorealizzazione. Qualcuno che conceda autonomia e discrezionalità, che sappia valorizzare le competenze specialistiche e la professionalità. Imprenditori pronti ad affidare ai manager la gestione dei processi chiave all’interno dell’azienda.     

Non si tratta, dunque, soltanto di pagare adeguatamente i dipendenti. Quello è importante, certo. Ma qui sono in ballo le condizioni di lavoro sia materiali che immateriali. Perché il prestigio e il riconoscimento hanno lo stesso valore del denaro.

ANNULLARE LA CONCEZIONE DEI SILOS

Attirare i giovani

Secondo Davide Luca Arcidiacono, un altro step fondamentale affinché le Pmi – manifatturiere ma non solo – riescano ad attrarre i giovani è l’annullamento della concezione dei silos. Un “silo”, in estrema sintesi, è un sistema che porta alla divisione della forza lavoro in comparti stagni. E non fa bene né ai lavoratori, né all’azienda stessa. Necessario è dunque superare questa impostazione costruendo una vera e propria squadra: «Con la creazione di team di lavoro ibridi, la logica di funzionamento è molto più orizzontale, partecipativa e collaborativa». E questa visione dovrebbe essere riprodotta anche per le persone che svolgono le mansioni più semplici: «Anche a loro sarebbe opportuno concedere un buon livello di autonomia».

Tutto ciò porterebbe alla definizione «di una leadership non invasiva, caratterizzata non più da autorità bensì da autorevolezza. Le aziende fanno fatica a comprendere».

SCEGLIERE I CANALI GIUSTI

Un altro fattore che forse è sottovalutato e invece spesso impedisce alle aziende di trovare risorse valide: il recruitment avviene spesso per mezzo di canali sbagliati. «Sono i canali di reclutamento informali – chiarisce Arcidiacono – ovvero le reti sociali di prossimità: le amicizie, le parentele, il passaparola. Che potevano essere utili vent’anni fa, ma oggi non funzionano più».

E qui subentra un errore nell’errore: «Le aziende danno per scontato che, poiché danno lavoro, dietro la loro porta si fa la fila. Invece no. Anche perché il mercato del lavoro è diventato globale, e non è così difficile trovare un posto oltre i confini nazionali. Sono in molti a preferirlo, piuttosto che restare in Italia a condizioni insoddisfacenti».

Quali strade percorrere, dunque, per una selezione che porti frutti? Sono diverse: «I social recruiting, le piattaforme online che permettono di ingaggiare e trovare risorse divise per livello di specializzazione; aggiungiamo i portali dedicati e i portali dell’Unione europea, a cominciare dalla rete Eures. E cito anche le agenzie per il lavoro e le associazioni di categoria con le loro aziende di servizio».

RAFFORZARE IL RAPPORTO CON GLI ISTITUTI FORMATIVI

Attirare i giovani

Le Pmi dovrebbero avere un approccio proattivo anche nel rapporto con gli istituti formativi; nel caso di aziende manifatturiere, si tratta in primis degli istituti tecnici professionali: «Andare a cercare direttamente nelle scuole le nuove risorse, sarebbe un’azione molto efficace». Come lo sarebbe aprire le porte: «Invece – continua Arcidiacono – durante gli incontri nelle scuole mi capita spesso di sentire frasi del tipo “le aziende non ci fanno entrare”. Sono restie a fare progetti con i ragazzi. Non è per niente sviluppata la cultura della compartecipazione, non c’è assunzione di responsabilità rispetto alla formazione dei ragazzi. Non c’è una sufficiente interazione tra il sistema educativo e le aziende, tra la scuola e il mercato del lavoro».

FARE EMPLOYER BRANDING

Anche l’employer branding è spesso sottovalutato dalle micro, piccole e medie imprese. Invece rientra tra gli step chiave: «Gli imprenditori dovrebbero “vendere” la loro disponibilità ad accogliere forza lavoro, rendendosi appetibili e anche riconoscibili. Per i giovani è molto utile incontrarli, sapere cosa fanno, conoscerli. Scoprire storie di successo nel proprio territorio». La visibilità può dare grandi risultati, occorre che l’imprenditore sia attivo e promuova sé stesso, veicolando un messaggio chiaro: «Sono qui e ho bisogno di voi». Nadine Solano

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