Giovani in azienda, come trattenerli? «Iniziate dal purpose: i talenti vanno assunti e convinti»

Ai giovani interessa avere un impatto con il lavoro, percepire di lavorare per uno scopo, benché piccolo, ma coerente con le loro vocazioni: ne parliamo con la LinkedIn Top Voice Giulio Xhaet, che suggerisce le tre domande “top” per un rapporto duraturo

Purpose giovani

Come racconta anche nel suo ultimo saggio “Da Grande - Non è mai troppo tardi per capire chi potresti diventare” edito da Sonzogno, un'azienda, anche una Pmi, può lanciare e organizzare percorsi sia sulla presa di consapevolezza (quindi sulle domande generative), sia su attività di formazione e team working-team building che facciano uscire le persone dalle loro routine. Un approccio dedicato soprattutto ai più giovani, ma anche alle persone con maggiore esperienza. Questo perché lavorare sul “purpose” dei giovani, cioè sulla loro motivazione, è uno dei tasselli più delicati ma fondamentali per avvicinarli a una piccola e media impresa.

«Lo "scopo" professionale – spiega Giulio Xhaet, Partner & head of Communication di Newton Group, LinkedIn Top Voice – si può cercare da una parte con un percorso basato su domande "generative", ovvero che fanno emergere lati anche nascosti di noi, e poi abbracciando molte esperienze, anche lontane dalle nostre abitudini e zone di comfort. Quelle esperienze inedite in cui puoi trovarti a fare e dire cose che ti stupiscono: "non pensavo di poter essere anche questo!”, come a qualcuno sarà già accaduto».

Purpose giovani

«Oggi i giovani talenti – aggiunge – non vanno solo assunti, vanno anche convinti: a loro interessa avere un impatto con il lavoro, percepire di lavorare per uno scopo, benché piccolo, ma coerente con le loro vocazioni. Devono riuscire almeno un po' a "divertirsi", il che non va frainteso: non significa che vogliono finire prima e farsi l'aperitivo tutte le sere, ma provare un po' di entusiasmo per ciò che fanno, a livello di attività lavorative». È uscito da qualche mese un report molto interessante di Great Place to Work, intitolato “The power of purpose in the workplace”. Dati alla mano, ecco tre domande che prevedono con sempre maggior forza se una persona lascerà il proprio datore di lavoro o meno. «Sei orgoglioso del luogo in cui lavori?», «Riesci a trovare un vero significato nel suo lavoro?», «Riesci a divertirti al lavoro?».

«Basta che un dipendente, soprattutto se della GenZ o Millennial – prosegue l’esperto – risponda con un secco “no” a una sola di queste domande, ed ecco che (se potrà farlo, molto probabilmente entro sei mesi o al massimo un anno) cambierà azienda o proverà comunque a farlo. Sono dati preoccupanti e “fastidiosi" per un imprenditore di una Pmi? In parte. Ma in parte significa anche che se con la sua azienda riesce a entusiasmare il giovane talento, può attrarlo e trattenerlo con più forza, superando le multinazionali, anche se potrà pagare uno stipendio meno alto».

Ma come trattenere un giovane: ci sono leve sulle quali agire per mantenere un giovane in una Pmi per un tempo non lampo? Cosa si aspetta un giovane da un titolare?

Purpose giovani

«Molte ricerche confermano che sta emergendo il desiderio di una carriera diversa dal solito, e anche il desiderio di diventare “leader” assume contorni in parte inediti».

Come raccontato ad esempio su un articolo apparso recentemente sul Sole24Ore, “Leadership: perché le giovani leve dicono di no?” oggi sempre più talenti in Italia rifiutano promozioni come leader. “Si osserva una mancanza di motivazione a fare un salto di carriera”. Perché? Perché si preferisce una carriera orizzontale, incentrata sul cambio di ruolo (varietà delle responsabilità), sviluppo competenze in diversi ambiti, cooperazione costante tra colleghi “peer” (tra collaboratori pari di grado), “participant”, partner e fornitori. Essere peer/participant significa infatti poter sbagliare, porre tante domande, imparare dagli altri, palesare i propri errori e manifestare le proprie vulnerabilità.

Inoltre, una leadership orizzontale si collega a richieste di lavorare/collaborare a progetti che un giovane talento reputa di valore, che almeno in parte lo appassionano e in cui “crede”, che si rivelano non solo “business first”, ma anche “impact first” e “people first”. «Si rigetta quindi la leadership come guida solitaria, decisionista, a favore di una leadership che sappia in primis ascoltare e diffondere una cultura aziendale dove il supporto costante e l'empatia la faccia da padrone. Diventa insomma centrale il concetto di "sicurezza psicologica": un contesto dove posso parlare agli altri con totale schiettezza, senza aver timore di raccontare problemi e far emergere eventuali fallimenti». Davide Maniaci