Oltre la crisi: radici produttive e nuove alleanze nei territori che resistono

Le storie industriali dei territori italiani raccontano fratture ma anche resilienza. Dove imprese, competenze e comunità dialogano, la crisi si fa occasione di rigenerazione e continuità: tra memoria produttiva e futuro condiviso, le leve invisibili della tenuta locale trasformano la perdita in nuovo valore collettivo

Il rapporto tra economia e territorio è, oggi, al centro di una riflessione sempre più urgente che interessa l’impresa in quanto elemento di coesione e motore di identità, oltre che di occupazione. Quando questo equilibrio si incrina, quando una realtà manifatturiera storica cessa di esistere, non scompare solo un soggetto economico ma una parte della memoria collettiva. Di questo rapporto profondo fra impresa, territorio e comunità parla Nicola Cucari, professore di Economia e Gestione delle Imprese all’Università “La Sapienza” di Roma. La sua analisi restituisce la complessità di un’Italia produttiva che cambia, cercando nuove forme di continuità tra tradizione e futuro.

La chiusura di un’impresa storica è un evento che incide sulla tenuta di un territorio, non solo dal punto di vita economico ma anche identitario. Secondo il professor Cucari «gli effetti sulla comunità e sull’economia locale sono profondi e multidimensionali. Non si tratta soltanto della perdita di posti di lavoro ma della rottura di un equilibrio complesso che intreccia competenze, relazioni e identità collettive. Le imprese con una lunga tradizione rappresentano spesso un presidio culturale e produttivo che contribuisce alla coesione del territorio e alla trasmissione di saperi unici. La loro scomparsa comporta la dispersione di capitale umano specializzato, di conoscenze tacite e di reti di collaborazione che difficilmente possono essere ricostruite nel breve periodo. Le piccole imprese dell’indotto e i fornitori subiscono effetti a catena che compromettono la vitalità complessiva del territorio».

Esistono però territori che resistono, che sanno rigenerarsi, che trasformano la crisi in opportunità. «Alcune esperienze mostrano che un intervento tempestivo e coordinato può trasformare la crisi in una forma di rigenerazione – spiega Cucari – Il rilancio di marchi come Valtur o La Perla, reso possibile dall’ingresso di nuovi investitori e dal sostegno istituzionale, dimostra che la continuità produttiva può essere preservata quando si riconosce il valore strategico di queste imprese per il contesto locale».

Infine, la chiusura di uno stabilimento o di una sede storica produce anche un effetto simbolico rilevante, poiché mette in discussione il legame tra comunità e impresa. «Quando, ad esempio, una realtà manifatturiera radicata da decenni in un distretto locale interrompe la propria attività – prosegue il professore – la perdita non riguarda solo i lavoratori direttamente coinvolti ma l’intera filiera che da essa dipende». È ciò che è avvenuto in territori come Novi Ligure con Pernigotti o Sesto Fiorentino con Richard Ginori, dove il rischio di chiusura ha sollevato un forte allarme sociale per il valore identitario delle produzioni.

LE LEVE INVISIBILI DELLA TENUTA TERRITORIALE

Cosa rende un territorio capace di resistere e rigenerarsi? Non bastano le risorse materiali: servono visione, coesione e capacità di trasformare la tradizione in innovazione. I dati sui distretti industriali italiani offrono uno spunto concreto per riflettere su queste dinamiche. «La forza attrattiva e resiliente di un sistema territoriale – sottolinea Cucari – si fonda su tre dimensioni strettamente interconnesse, che dall’impresa si irradiano verso il territorio: una governance inclusiva, capace di favorire il ricambio generazionale e l’apertura al cambiamento; investimenti coerenti in sostenibilità ambientale e sociale; e una identità territoriale solida, che sappia valorizzare tradizioni e saperi locali traducendoli in leve di competitività contemporanea».

È nella combinazione di questi elementi – un mix di leve invisibili interne ed esterne – che si radica la capacità dei distretti di resistere, adattarsi e continuare a generare valore nel lungo periodo. I dati lo confermano: nel distretto delle macchine agricole di Padova e Vicenza il tasso di imprese attive raggiunge il 94,4%; nel distretto della gomma del Sebino bergamasco il 90,6%; nella meccatronica dell’Alto Adige l’89,4%; e nei vini di Langhe, Roero e Monferrato l’88,8% (fonte: Intesa Sanpaolo – Economia e Finanza dei Distretti Industriali, n.17). «Questi contesti hanno saputo combinare la specializzazione produttiva con un’intensa attività innovativa e una governance aperta, capace di attrarre giovani competenze e integrare tecnologie avanzate nei processi tradizionali – sottolinea Cucari  – Al contrario, settori come il sistema moda (in particolare la calzatura napoletana, lucchese e la maglieria carpigiana) evidenziano difficoltà strutturali più marcate, con tassi di liquidazione superiori al 40%, a conferma della necessità di una maggiore spinta verso innovazione e aggregazione».

Sul piano delle strategie, emergono alcuni elementi determinanti per la tenuta dei sistemi locali. «Le imprese che hanno investito in energie rinnovabili, in marchi e in ricambio generazionale mostrano tassi di sopravvivenza superiori alla media» commenta Cucari. L’adozione di energie rinnovabili, infatti, è più che tripla tra le imprese attive (14,7%) rispetto a quelle cessate (4,9%), segno che la sostenibilità ambientale si traduce anche in una forma di sostenibilità economica. Allo stesso modo, l’uso dei marchi – 8,9% nelle imprese attive contro 3,5% in quelle liquidate – testimonia l’importanza di un’identità distintiva come leva competitiva e di fidelizzazione. Infine, la presenza di almeno un giovane nel board aziendale, riscontrata nel 33,8% delle imprese attive contro il 29,5% di quelle cessate, conferma il ruolo positivo del ricambio generazionale e della diversità di visione manageriale.

INNOVARE È CONNETTERE SAPERI E COMUNITÀ

Per affrontare il cambiamento serve una visione sistemica dell’innovazione. «Oggi è necessario adottare una visione più ampia dell’innovazione, intesa come un ecosistema complesso e interdipendente in cui la collaborazione tra imprese, università e istituzioni si intreccia con il contributo della società civile e con la tutela dell’ambiente naturale» osserva Cucari. È questa la prospettiva delineata dal modello della quintuplice elica di Carayannis e Campbell, che interpreta l’innovazione come processo aperto, dinamico e sistemico, fondato sulla cooperazione tra saperi eterogenei e orientato alla generazione di valore condiviso e sostenibile.

«L’approccio place-based riconosce che ogni territorio custodisce un patrimonio distintivo di competenze, reti sociali e risorse ambientali – aggiunge Cucari – La valorizzazione di questa conoscenza situata consente di trasformare il capitale umano e naturale in leve di innovazione sostenibile e competitiva. In tale quadro, le università assumono un ruolo strategico nel connettere le diverse componenti dell’ecosistema territoriale e, attraverso la terza missione, si configurano come vere e proprie ancore territoriali, dotate di una pluralità di competenze capaci di aggregare attori differenti intorno a obiettivi comuni».

In questa prospettiva, il ruolo dell’università sta profondamente mutando: da luogo di produzione e trasmissione del sapere a motore imprenditoriale di innovazione e impatto sociale. L’università diviene un vero e proprio broker civico, capace di attivare processi di mediazione, sperimentazione e co-progettazione tra amministrazioni, imprese e cittadini, promuovendo la co-produzione di conoscenza e soluzioni orientate al bene comune. Tuttavia, affinché tale trasformazione generi valore effettivo per la società, è necessario che tutte le eliche del sistema accademica, imprenditoriale, istituzionale e civile operino in modo sinergico e bilanciato, riconoscendo la reciproca interdipendenza nel processo di valorizzazione della conoscenza. «Le imprese, a loro volta, svolgono una funzione essenziale nel tradurre i risultati della ricerca in applicazioni coerenti con le specificità produttive del territorio, mentre le istituzioni hanno la responsabilità di assicurare le condizioni abilitanti – normative, infrastrutturali e finanziarie – per sostenere e consolidare tali sinergie», sottolinea il professore.

LA TRAMA INVISIBILE DELLE RETI TERRITORIALI

Le reti territoriali tra imprese, associazioni e istituzioni rappresentano una vera infrastruttura immateriale. Le imprese che costruiscono relazioni solide con il contesto in cui operano sono più capaci di contribuire alla coesione sociale, di rafforzare la tenuta dei territori e di generare valore. In questo quadro, la co-progettazione diventa uno strumento essenziale per affrontare le sfide territoriali, trasformando la collaborazione in una leva di competitività sostenibile. «Le reti tra imprese artigiane, associazioni di categoria ed enti locali svolgono un ruolo decisivo nel rafforzare la resilienza economica di un territorio, poiché permettono di combinare in modo complementare le tre dimensioni della resilienza – proattiva, reattiva e dinamica – in un sistema coordinato di apprendimento e adattamento collettivo – commenta Cucari – La resilienza proattiva si alimenta della capacità di previsione e di lettura dei segnali deboli che caratterizzano un contesto in trasformazione». In questo processo, le associazioni di categoria e gli enti locali agiscono come antenne territoriali, in grado di raccogliere e diffondere informazioni strategiche, orientando le imprese verso nuove traiettorie di mercato o verso strumenti di tutela del lavoro e della produzione.

«Le reti di imprese, dal canto loro, permettono di tradurre queste informazioni in strategie condivise, generando economie di conoscenza e forme di innovazione collettiva – puntualizza – La resilienza reattiva emerge dalla capacità delle comunità produttive di rispondere rapidamente agli shock, preservando la continuità delle attività economiche. Qui assume rilievo il capitale sociale che lega imprese, artigiani e istituzioni locali, poiché consente di attivare meccanismi di sostegno reciproco e di redistribuzione delle risorse nei momenti di difficoltà. Le associazioni di categoria, in particolare, svolgono una funzione di intermediazione, coordinando interventi comuni, favorendo la contrattazione con le istituzioni e garantendo accesso a servizi di assistenza tecnica e finanziaria».

La resilienza dinamica, infine, si manifesta quando le reti territoriali diventano laboratori di riorganizzazione e innovazione. «In questa fase – continua Cucari – gli enti locali assumono un ruolo di governance abilitante, creando condizioni normative, infrastrutturali e formative che sostengono il cambiamento, mentre le reti di imprese si aprono a nuovi attori – start-up, università, centri di ricerca – generando processi di apprendimento collettivo e di contaminazione tra saperi. L’artigianato, in particolare, rappresenta un ambito privilegiato di sperimentazione, poiché combina la tradizione con l’innovazione di prodotto e di processo, trasformando il patrimonio culturale in leva competitiva».

ATTRATTIVITÀ SIGNIFICA APPARTENENZA

La vitalità di un territorio non si misura soltanto in termini economici o produttivi. Sempre più spesso, ciò che rende un luogo attrattivo è la qualità delle relazioni che vi si generano, il senso di appartenenza che riesce a trasmettere, la capacità di coinvolgere chi lo abita in un progetto condiviso. È qui che la governance locale può diventare generativa: non limitarsi a gestire, ma attivare, abilitare, co-progettare. «Rendere un territorio attrattivo oggi significa andare oltre le politiche di incentivo economico o le operazioni di marketing territoriale – evidenzia il professore – L’attrattività nasce da un equilibrio profondo tra identità, relazioni e visione condivisa, elementi che trasformano un territorio da semplice spazio fisico a vero ecosistema vitale. In questa prospettiva, ispirata alla teoria dei sistemi vitali aperti (Golinelli, 2000; Barile, 2000), la relazione tra impresa, istituzioni e comunità si fonda su un principio di consonanza, ossia sull’armonia di fini e intenzioni che genera fiducia reciproca e capacità collettiva di innovare».

Quando questa consonanza si realizza, «si attiva un effetto di risonanza: le azioni dei singoli attori si rafforzano a vicenda e producono un valore diffuso che alimenta la vitalità complessiva del sistema territoriale. In un contesto simile, le imprese trovano non solo risorse e infrastrutture, ma anche un ambiente relazionale favorevole, capace di stimolare creatività, collaborazione e spirito di impresa».

Le nuove generazioni non cercano semplicemente opportunità economiche, ma contesti in cui il lavoro e l’iniziativa personale abbiano un significato più ampio, dove la dimensione professionale si intrecci con quella valoriale e sociale. «A rendere un luogo desiderabile contribuisce anche la sua capacità di esprimere una identità coerente e credibile – rimarca Cucari – Le narrazioni territoriali devono essere autentiche, radicate nella storia produttiva e culturale del contesto, ma allo stesso tempo capaci di proiettarsi verso il futuro». In questo senso, la vera forza attrattiva di un territorio risiede nella sua capacità di unire radici e innovazione, conservando il proprio patrimonio di competenze e valori ma aprendosi a nuove forme di imprenditorialità sostenibile e inclusiva.

LA RESILIENZA DEI TERRITORI ITALIANI

In un’Italia che cambia, i territori che resistono non sono quelli che si chiudono nella nostalgia del passato ma quelli che sanno trasformare le proprie radici in leve per il futuro. In questa prospettiva, il radicamento territoriale diventa una risorsa strategica per affrontare il cambiamento, non una mera condizione storica; e la resilienza un’attitudine a rigenerarsi, a innovare senza perdere identità e non è solo capacità di sopravvivere agli shock.

È in questa tensione tra continuità e cambiamento che si gioca la sfida dei sistemi locali: nella forza delle reti, nel capitale relazionale – fatto di fiducia, cooperazione e legami sociali –, nella capacità di attrarre nuove energie senza smarrire il senso di appartenenza. Le imprese, le istituzioni, le università e le comunità sono chiamate a costruire insieme un’economia intesa come strumento al servizio del bene comune e non come fine ultimo di ogni cosa. Perché un territorio è davvero attrattivo quando riesce a far sentire chi lo abita parte di una visione comune di sviluppo, in cui benessere, identità e futuro si tengono insieme. Paola Mattavelli

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