Mini guida: tutti i segreti per rendere un'impresa più competitiva
E’ vero che la produttività delle imprese italiane è una fra le più basse tra i Paesi europei? Secondo un’analisi del Cerved, lo è. E lo è da più di 25 anni. Tant’è che più passa il tempo e più se ne parla, ma le soluzioni – non quelle sulla carta – ancora non ci sono.
Un’impresa produttiva è un’impresa che si rende conto dei suoi punti deboli, affronta le sue inefficienze, le risolve e mette a sistema un cambiamento che coinvolge management e collaboratori. La produttività, insomma, è uno dei fattori essenziali per il successo di un’azienda e per questo è importante favorire le soluzioni più semplici che, però, semplici non sono.
Ne abbiamo parlato con Giuseppe Berlingieri (assistant Professor presso l’ESSEC Business School), Osvaldo Danzi (elezione del personale per la società di consulenza SCR, community manager di FiordiRisorse, editore del giornale “Senza filtro”) e Valentina Marini (HR Senior Consultant e LinkedIn Top Voice Lavoro)
Visioni complementari fra loro per definire un percorso che non è solo economico ma anche umano: dai fattori che incidono sui processi produttivi (innovazione e digitalizzazione, tanto per cominciare) al fattore benessere in azienda che passa, anche, dalla capacità di limitare le emergenze.
Ma gli imprenditori da dove devono partire per mettere in moto un sistema ben organizzato che punti alla crescita della propria produttività? Fondamentalmente, da cinque grossi temi:
Il cambiamento come strategia aziendale
I manager esterni come strumento di crescita e sviluppo
La meritocrazia come leva motivazionale
Industria 4.0 come opportunità per la soluzione di vecchi e nuovi problemi
La formazione per avere dipendenti capaci di tenere testa alle richieste dei mercati
1 - Prima di tutto, però, entriamo nel merito di cosa è la produttività e di come la si misura con il professore Giuseppe Berlingieri.
Cosa misura la produttività
La produttività è data dal rapporto tra i risultati conseguiti nel processo produttivo e i mezzi impiegati per realizzarli. Per semplificare, si tratta di misurare quanto le risorse a disposizione (progresso tecnico, innovazioni nel processo produttivo, miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e delle tecniche manageriali, miglioramenti nell’esperienza e nel livello di formazione raggiunto dai dipendenti) siano utilizzate in maniera performante. La produttività cattura anche i margini di profitto di un’azienda.
Produttività alta o bassa?
Il livello di produttività delle imprese italiane è mediamente ancora elevato, soprattutto tra le imprese manifatturiere di più grandi dimensioni. Perché parlare di livello e di crescita? Per una semplice ragione: si può partire da un livello alto ma senza che ci sia una crescita. E’ importante, però, che la produttività cresca nel tempo perché è questo l’indicatore della buona salute dell’economia in generale. Una crescita minore, che dura alcuni anni, non deve preoccupare. Se si parla però di 25 anni, come è nel caso dell’Italia, è corretto che suoni il campanello d’allarme.
Le ragioni della bassa produttività italiana
Individuare singole ragioni non è facile, però ci sono alcuni fattori sui quali ragionare. A partire dalla digitalizzazione. Tecnologie che erano a disposizione di tutti ma che l’Italia non è riuscita ad abbracciare in pieno. Sono quattro le “gambe” sulle quali poggia la perdita delle imprese in questo settore:
Mancano le capacità manageriali nella gestione aziendale. Non aver saputo rinnovare il management ha portato ad un numero consistente di imprese con una classe dirigente anziana
Non si è investito a sufficienza sul capitale umano. Un Paese che non investe sui giovani è destinato a morire, perché sono proprio loro ad adottare in modo naturale le nuove tecnologie. Qui, però, si potrebbero introdurre alcune riflessioni di natura macroeconomica che esulano dalle responsabilità delle imprese. Pensiamo al fenomeno dei Neet: tra i Paesi europei, l’Italia ha il più alto numero di giovani sotto i trent’anni che non studiano e non lavorano
Il mercato del lavoro e le liberalizzazioni degli anni Novanta. Il mercato del lavoro è diventato più flessibile, però si è creato un forte dualismo tra chi è protetto dai contratti a tempo indeterminato e da chi non lo è perché inserito in azienda con contratti di breve durata. E qui si ritorna al fatto di non investire sui giovani
Dimensione d’impresa. Quelle più piccole fanno più fatica, rispetto a quelle grandi, ad adottare le nuove tecnologie. Di conseguenza, la loro produttività stenta ad avvicinarsi a quella delle realtà più produttive, soprattutto nei settori più digitalizzati. Questo ha avuto un grande peso sul tessuto economico italiano. In sintesi, spesso si sono fatte politiche di salvaguardia del posto di lavoro e non d'investimento sul lavoratore (in termini di competenze). In Italia avremmo bisogno di eliminare tutti i disincentivi che limitano la dimensione dell'impresa, e favorire il consolidamento e l'investimento in capacità manageriali
Cosa devono fare le Pmi peraumentare la loro produttività
Lavorare sulle “quattro gambe”: investire su forza lavoro e capitale umano, in generale, è fondamentale per aumentare la produttività dell'impresa stessa, perché questa permette di fare quegli investimenti complementari in digitalizzazione, innovazione, capitale intangibile, capacità manageriali che sono alla base della produttività. Una maggiore circolazione dei fattori produttivi, sia capitale che lavoro, favorisce una loro allocazione più efficiente. Nello stesso tempo, le imprese dovranno procedere con investimenti sociali e ambientali sia per ragioni di regolamentazione che di domanda.
La produttività e il costo del lavoro
Il costo del lavoro non è un ostacolo e non è la causa principale della perdita di produttività. In via generale
i salari sono fortemente legati alla, e crescono di pari passo, con la produttività di un'impresa: più sono alti e più quest’ultima aumenta. E questo conta ancora più della dimensione dell'impresa stessa. Per quanto riguarda la tassazione: in Italia quella sul lavoro è elevata, ma in Francia – dove è addirittura maggiore - la produttività è aumentata. Di conseguenza, il taglio del cuneo fiscale potrebbe avere solo un effetto temporaneo perché non può essere considerato il motore dell’aumento della produttività.
2 - Ora torniamo su quei cinque grossi temi – il filo conduttore che li lega fra loro è la necessità di munirsi di uno sguardo esterno sul mondo - con l’aiuto di Valentina Marini, HR Senior Consultant e LinkedIn Top Voice Lavoro:
Il cambiamento come strategia aziendale: partiamo dalla comunicazione
E’ un aspetto fondamentale del quale ne devono tenere conto anche le piccole e medie imprese, perché cambiare è una parte indispensabile sui cui impostare una strategia. Sopravvivere dipende da questo: non solo si può fare, è inevitabile. Per cambiare, però, si deve fare leva anche sulla comunicazione. E’ questa che permette alle imprese di introdurre un cambiamento ben impostato, organizzato e di successo. Ma anche la sovra comunicazione gioca un suo ruolo, perché i vertici di un’azienda devono comunicare costantemente la visione e la missione dell’azienda. Il cambiamento va comunicato, quindi meglio comunicare di più ma meglio.
I manager esterni come strumento di crescita e sviluppo
Inoltre, è importante volgere uno sguardo all’esterno, a quello che stanno facendo gli altri. Alcuni imprenditori restano legati al modo di pensare “l’ho sempre fatto così”, e questo va bene se ci sono i risultati. Il rischio, però, è quello di perdersi qualcosa di importante. E qui entra in gioco la contaminazione, che aiuta l’imprenditore a capire se può cambiare in meglio. Per restare sul mercato, e per cambiare passo, è importante il change management. Un manager esterno ha esperienze variegate, può portare più mondi diversi in azienda, aiuta l’imprenditore ad uscire dall’autoreferenzialità. E’ importante potersi fidare di un manager esterno perché è un occhio esterno e può raccontare esperienze fatte da altri. Quindi, permette all’azienda di non restare focalizzata sulle proprie idee e di entrare in contatto con una visione diversa e rigenerante del mercato.
La meritocrazia come leva motivazionale
Bisogna uscire dal politicamente corretto e da quella retorica che si ritrova nel concetto “tutti sono utili e nessuno è indispensabile”. Tutto ciò è assolutamente lontano dalla realtà perché ci sono persone che se escono dall’azienda le recano un grosso danno. I collaboratori possono essere valorizzati riconoscendo loro le competenze di cui sono capaci. Le ricerche, d’altronde, dimostrano che le persone hanno bisogno di esperienze di lavoro con un nuovo senso ed esprimono il bisogno di un cambiamento nella relazione con la propria organizzazione. Le persone si aspettano qualcosa di più, e di diverso, rispetto alle misure di welfare di cui si parla spesso. La valorizzazione deve avvenire a trecentosessanta gradi, quindi non è sufficiente parlare di meritocrazia: bisogna metterla in pratica.
Industria 4.0 come opportunità per la soluzione di vecchi e nuovi problemi
Bisogna innovare non perché è di moda o perché fa tendenza, ma perché l’innovazione migliora l’esperienza di imprenditore e collaboratori. Il significato dell’innovazione è il miglioramento, quindi bisogna perseguire quella che ha solide radici. Ciò che non funziona è lo squilibrio.
La formazione per avere dipendenti capaci di tenere testa alle richieste dei mercati
In uno scenario che cambia in fretta, come quello in cui stiamo vivendo, le competenze vanno sempre
aggiornate. La formazione, però, non deve essere percepita dai collaboratori e dall’imprenditore come un sovraccarico rispetto a tutto ciò che già si deve fare, e neppure come un impegno secondario. Una buona comunicazione interna aiuta ad abbattere i pregiudizi che fanno pensare che la formazione sia qualcosa che “viene dopo”. Inoltre, bisogna investire ancora di più sulla cura delle persone: chi sta bene, ed è motivato, aumenta la produttività delle aziende. Anche in questo caso bisogna uscire dalla retorica dei concetti: è l’azienda che sceglie la persona e questa è fortunata perché ha un lavoro. Le cose stanno cambiando.
3 - In ultimo, come già accennato da Valentina Marini, la produttività passa anche dallo stare bene in azienda. Come lo si può fare ce lo dice Osvaldo Danzi, che si occupa di selezione del personale per la società di consulenza SCR, è community manager di FiordiRisorse ed editore del giornale “Senza filtro”:
Il capitale umano
Per essere più produttive le aziende hanno bisogno di selezionare meglio le persone. Un esempio: le offerte di lavoro che si concentrano sulla ricerca di persone che vivono a dieci chilometri di distanza dall’azienda, per evitare costi supplementari, non puntano sul reclutamento di capitale umano di qualità. I veri talenti non stanno dietro casa: bisogna andarseli a cercare e bisogna promuoverli. Quindi, si parte sempre dalle persone.
Stare in ufficio
Oggi, per essere più produttivi non bisognerebbe stare in ufficio. Ci sono figure, all’interno di un’azienda, che non hanno alcun bisogno di essere circoscritte in un ambiente perché possono lavorare benissimo in altri posti e recarsi in azienda quando serve. Tutto questo ha un vantaggio: la serenità. Chi può lavorare da casa può anche gestire con responsabilità le situazioni familiari più o meno complesse. Inoltre, aumenta la concentrazione. A dirlo sono i numerosi studi realizzati durante i lockdown: lo smart working ha permesso alle persone di lavorare meglio e di andare anche al di là del canonico orario delle otto ore. Ora, invece, c’è la tendenza di richiamare tutti in ufficio e una volta in azienda si accende il Pc per partecipare ad una call a distanza. Poi ci sono calendari fitti di riunioni, tutto il giorno e tutti i giorni. La produttività non è un fantasma perché la fanno le persone, gli strumenti e le abitudini.
Check list e organizzazione? E’ più importante lavorare sulle emergenze
Se si pensa alla complessità che accompagna la gestione quotidiana delle imprese, alcuni consigli che si danno sulla produttività rincorrono quelle che si possono definire “logiche da libretti giapponesi”. E’ sì importante una check list così come lo è l’organizzazione personale, però il vero lavoro si deve fare sulle urgenze. Soprattutto, limitarle: se si è sempre in emergenza, un problema c’è. Bisogna valutare ciò che è urgente da ciò che non lo è.
Priorità e pause
Bisogna sempre darsi una scala di priorità: ci sono lavori che possono aspettare e altri che, invece, è necessario
svolgere immediatamente per evitare accumuli o evitare che alcune persone rimangano senza una risposta. Il tema delle pause, invece, riguarda più la sfera del benessere: stare seduti di fronte ad un Pc per otto ore consecutive non fa bene a nessuno. Sia dal punto di vista fisico che mentale perché si perde la cognizione di ciò che abbiamo intorno a noi. Coloro che non fanno mai ferie, o che fanno tantissimi straordinari, perdono la possibilità di confrontarsi con altre realtà. Viaggiare, conoscere altri modi con cui fare le cose, condividere le proprie esperienze con altri è un valore. E’ per questo che è importante partecipare ad eventi, o convegni, anche estranei a ciò che facciamo tutti i giorni. Anzi, aggiornarsi su temi che ci interessano personalmente anche solo per passione ci aiuta a migliorare le nostre conoscenze e la nostra cultura. Questo ci permette di essere migliori non solo nella vita, in generale, ma anche sul posto di lavoro. Essere “leggeri”, poter parlare di altro che non sia il lavoro, fa bene all’azienda.
Il benessere in azienda passa anche dalla critica
C’è benessere in azienda quando si riesce a vivere in modo sereno. E quando viene data a tutti la possibilità di esprimersi, portare idee e anche di criticare. Oggi si parla tanto di “talenti ribelli”, ma poi quando in riunione qualcuno contesta le idee di un altro, perché ci tiene al bene dell’azienda, spesso viene allontanato. Il benessere si realizza quando si va al lavoro con piacere, ma questo risultato lo si ottiene se le imprese permettono alle persone di stare anche fuori dall’azienda e non solo dentro.
Cosa possono fare gli imprenditori
Devono tornare a scuola, perché in Italia c’è una classe dirigente che ha una bassissima cultura del lavoro. Le tipologie imprenditoriali a volte sposano due modelli: i titolari di impresa cresciuti all’interno delle grandi scuole di business, con tanti libri letti o non letti che non riescono a tradurre in azioni reali nel quotidiano, e dall’altro gli imprenditori che stanno tutto il giorno nei capannoni e vogliono essere ringraziati solo per il fatto di dare lavoro a qualcuno. E’ per questo che serve una scuola di nuovo Umanesimo. Cioè imparare a capire cosa significa mettersi allo stesso livello dei propri collaboratori e capire le loro necessità in un momento, come lo è quello attuale, che si sta preparando ad una grave recessione. E’ per questo che diventerà sempre più importante la capacità del titolare di attrarre e trattenere le persone attraverso la reputazione della sua impresa. Un imprenditore illuminato è colui che riesce a trasmettere ai suoi collaboratori che nella sua azienda si sta bene. Ecco l’importanza di uscire dai circoli chiusi e di confrontarsi con ciò che sta al di fuori dell’impresa: è questo che permette di fare le cose come non le si è mai fatte prima. Ma per capire se funzionano meglio, bisogna provare.
Ricevere una notizia di dimissioni è una brutta sorpresa. Annuncia quasi sempre l’arrivo di una serie di problemi pratici e le imprese che li stanno affrontando sono molte, se si considera che nel primo trimestre del 2022 l’Inps ha contato 307mila dimissioni volontarie.
Tre sono le azioni per gestire (e prevenire) le grandi dimissioni
Raccogliere informazioni (ascolto attivo - informazioni personali - d'impresa - di mercato)
Prevenire eventi simili (micro e macro ascolto - mappatura)
Per comprendere fino in fondo come attuare le tre azioni e rispondere alle domande strategiche legate alle grandi dimissioni, il Centro studi Imprese e Territorio coordinato da Antonio Belloni ha realizzato un white paper informativo.
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