Aziende, imparate a raccontarvi e i giovani torneranno da voi

Aziende, imparate a raccontarvi e i giovani torneranno da voi
Item mismatch occupazionale

La riflessione parte da un editoriale pubblicato sul Sole 24 Ore. Eccone un estratto: “Già alla fine degli anni ’70 del secolo scorso c’era il fenomeno della “disoccupazione intellettuale”, allorché la crescita dei livelli di istruzione della popolazione mal si sposava con le richieste delle imprese del periodo. Fino ad arrivare al periodo pre-pandemia dove i tassi disoccupazione, in particolare giovanile, erano fra i più elevati in Europa, così come la diffusione del fenomeno dei Neet ovvero dei giovani non inseriti in attività di formazione, lavoro o alla ricerca attiva di un’occupazione. Oggi assistiamo, in più, anche a un’altra manifestazione definita great resignation, ovvero la scelta di una parte non marginale di lavoratori, soprattutto giovani, che decidono di lasciare il proprio lavoro – anche a tempo indeterminato – per fare altre scelte ispirate alla ricerca di nuovi equilibri, di vita personale e di senso”.

Lo ha scritto il professor Daniele Marini del dipartimento di scienze politiche, giuridiche e studi internazionali dell'università di Padova. Proprio Marini era l’ospite dell’ultimo item a marchio Confartigianato Imprese e Territorio dal titolo “Il grande nodo del mismatch”, un termine inglese che indica la condizione di disequilibrio tra domanda e offerta nel mondo del lavoro.

CROLLO DEMOGRAFICO E COMPETENZE

Item mismatch occupazionale

«Il crollo demografico – è l’introduzione – con inevitabile diminuzione dei giovani pronti a subentrare ai pensionati, ma anche le competenze richieste, sempre più avanzate, sono i due nodi che stringono al collo le politiche occupazionali di molte imprese. Sempre più spesso, trovare il dipendente giusto si rivela un'impresa complessa alla quale occorre fare fronte intercettando i talenti direttamente all'università, negli Its o al termine degli studi superiori attraverso stage e tirocini».

Marini usa spesso una parola chiave, “di-visione”, col trattino. Proprio il trattino è la parte più importante. “Di-visioni”: diverse visioni culturali legate al lavoro. «Il mismatch – esordisce l’esperto – è un fenomeno noto da decenni e racchiude elementi sia di carattere strutturale sia culturale. Si è sempre parlato di disoccupazione intellettuale o della crescente presenza di giovani laureati che non incontravano le domande delle imprese, che volevano manovalanza. In questi ultimi anni questa polarizzazione è aumentata in misura crescente, mentre l’Istat chiarisce che in Italia si sia smesso di fare figli. Un’altra di-visione è di carattere culturale. Riguarda come le giovani generazioni vedono il lavoro. Gli imprenditori hanno una cultura del lavoro diversa da quella che appartiene ai ragazzi. Ora c'è la grande rassegnazione, giovani che rinunciano anche a lavori a tempo indeterminato per fare altre scelte».

LE AZIENDE SONO CAMBIATE

Item mismatch occupazionale

Marini lo chiarisce: non è vero che il lavoro nelle aziende in questi anni non sia cambiato, anzi. «Nell'immaginario collettivo – spiega – certi tipi di imprese sono quelle ferme al Novecento: lavoro industriale, di routine, alienante. Più spesso invece abbiamo imprese che hanno fatto processi di organizzazione innovativa, ma all'esterno nessuno lo sa. C’è la divisione, ancora questa parola, tra un lavoro all’interno delle imprese, reale, e uno diverso che la gente si immagina al di fuori (e spesso peggiore). Un giovane si attende che nel luogo di lavoro possa trovare un percorso di carriera possibile, ricevere formazione, vivere in un buon ambiente relazionale. Dopo la pandemia, esige che sia possibile fare smartworking. Cerca autonomia, responsabilità, gratificazione». Dall’altro lato alcuni imprenditori sono ancora propensi a pensare che «siccome già ti do il lavoro, devi essere contento così». Valeva nel passato. Adesso la realtà è ben diversa.

L'altro elemento di difficoltà è questa “notte demografica'”, una scarsa natalità con sempre meno giovani che non saranno più sufficienti. Il rischio è che le fabbriche rimangano vuote. Come ha spiegato il professore, negli ultimi 40 anni il tasso occupazionale è crollato del 30%. Quali strategie? «Da un lato senza dubbio la ripresa della natalità. Si deve fare in modo che gli italiani e le italiane riprendano a fare figli. Servono politiche per la famiglia, per il sostegno alla natalità tipo l'assegno unico. Il problema si risolve quando il figlio entrerà nel mercato del lavoro: cioè tra almeno vent'anni. Quindi già da oggi servirebbero da parte dello Stato politiche a favore di famiglie e natalità per avere risultati nel lungo periodo. Inoltre si dovrebbe rendere l'Italia attraente per le giovani generazioni, che possano trovare un ambiente lavorativo e sociale attraente».

DAGLI IMMIGRATI AGLI ITS ACADEMY

Poi ci sono i migranti, dai quali non si può prescindere. Secondo l’esperto, serve una politica migratoria, scegliendo Paesi da cui fare arrivare le persone e qualificando questa gente dal punto di vista professionale. Come, ad esempio, fa la Germania: durante la guerra in Siria ha siglato un accordo con la Turchia, e tanti siriani del ceto medio si sono trasferiti a Monaco, o a Francoforte. L’Italia invece non ha mai agito in modo strategico. Servono politiche pragmatiche che guardino ai problemi in modo reale.

Poi ci sono gli ITS Academy, scuole di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica post diploma che permettono di conseguire il titolo di tecnico superiore. Rappresentano una novità. «Abbiamo fatto – è l’opinione di Marini – un grande passo avanti di carattere culturale. Nel nostro Paese si tendeva sempre a separare il momento dello studio dal momento del lavoro. Non è così. Guardiamo sempre cosa fa la Germania: grazie a un sistema duale, lì si può arrivare a una laurea sia studiando canonicamente sia apprendendo in situazione di lavoro. L’esperienza e i dati fanno vedere come apprendere il mestiere finché si studia e si lavora contemporaneamente offra possibilità di entrare nel mercato del lavoro quasi al 100 per cento, se tutto è fatto in consonanza con le imprese. Su questo settore siamo indietro».

I consigli di Daniele Marini alle imprese consistono nel migliorare la loro comunicazione. «Imprenditori, imparate a narrare, ad aprirvi alla popolazione per far vedere come è cambiato il modo di lavorare. Organizzare visite frequenti per le scolaresche è un’idea buona fra le tante. L’opportunità che le aziende si possano mettere in contatto con le scuole è formidabile per spiegare bene di cosa si tratta alle nuove generazioni. Bisogna far vedere che i luoghi di lavoro sono cambiati, e deve passare il messaggio».

«Per scegliere un buon candidato e assumerlo – conclude – bisogna guardare alle sue capacità tecniche, al percorso (che non vuol dire per forza “esperienza”, un giovane non può averla) e vedere se il ragazzo è motivato. Se ha quella luce negli occhi, quella voglia di apprendere, di fare. Quando cambieranno le macchine e i processi, lui dovrà essere preposto al cambiamento. Infine devo chiedermi: “il brand della mia impresa è positivo all'esterno? faccio pubblicità sul territorio?”. Così sarà il lavoratore soddisfatto l'ambasciatore dell'impresa stessa».

GUARDA IL VIDEO DELLA DIRETTA