Tanti concetti chiave che si susseguivano e ritornavano: pianificare, imparare a gestire i clienti esteri, aumentare la propria preparazione. Solo così la Pmi italiana può fare successo all’estero. L’ultimo item a cura di Confartigianato -Imprese Territorio, andato in onda martedì 19 luglio parlava proprio di questo: «L'export è lo sbocco del business Made in Italy ma, spesso, vendere all'estero si rivela un'impresa non semplice per una Pmi. Per questo è importante prepararsi nel modo giusto, scegliere i mercati più ricettivi per i propri prodotti, predisporre un servizio di customer care efficace e misurare bene l'investimento economico». Ospiti: Daniele Ghezzi, docente di Business Planning presso l'Executive Master in Sviluppo Strategico delle Pmi di Università Cattolica Altis e Jacopo Brioschi, coordinatore area Sviluppo e Innovazione di Artser.
Si partiva, come sempre, dai dati, con le esportazioni tornate a crescere lo scorso aprile del 14 per cento. Si sono venduti più metalli, articoli farmaceutici, attrezzi per la botanica, prodotti petroliferi. E per farlo, l’imprenditore deve guardare per forza ai mercati oltreconfine. Ma come? Ne vale la pena? Risponde Ghezzi: «Parlare di “costi iniziali” per un imprenditore non riguarda i costi quantificabili a livello economico o finanziario, quanto quelli organizzativi, strategici e più in generale, psicologici. Certo, quelli economici sono i più facili e immediati da qualificare. Si tratta di un investimento: non si deve cercare di ridurli subito, ma di ammortizzarli nel tempo con un processo lungo e paziente senza farsi tradire dalla fretta. Serve piuttosto un’onesta e benfatta analisi di export, seguita da un business plan. Non bruciare le tappe vuol dire non sprecare risorse».
Poi ci sono le fiere, importantissime, che stanno man mano riaprendo con le dovute e inevitabili differenze rispetto al pre Covid. L’analisi è di Brioschi. «La riduzione ovvia del numero di fiere (che si fa sentire nei paesi dove la pandemia è più percepita) genera un’offerta inferiore e un mercato più concentrato. Le ultime hanno garantito presenza e opportunità di business soddisfacenti, con alcune criticità. La situazione difficoltosa dei voli rende arduo raggiungere il luogo di destinazione, soprattutto se si rischia a lasciare il campionario nel bagaglio in stiva. La guerra ha ridisegnato anche la mappa delle fiere: vengono a mancare quegli hub dei paesi ex sovietici, di confine, preziosi nel settore calzaturiero». Se non si finalizzano gli affari, i costi per la mera partecipazione rischiano di essere insostenibili. Quindi bisogna anche saper gestire il post fiera.
Non è facile come sembra: il cliente straniero – così Ghezzi – è diverso da noi, e quindi è sbagliato pretendere di gestirlo come il nostro. L'azienda italiana deve essere capace di ridurre la distanza culturale, che ricade sulla percezione del prodotto, l’immagine aziendale e il listino prezzi. La Pmi nostrana è giustamente molto attaccata alle peculiarità del proprio prodotto, ma sarebbe meglio adattarlo alle esigenze del mercato e capire su quali elementi lavorare. Il prezzo, anche se non è la prima cosa. Il packaging. Il catalogo. Ecco, il catalogo.
«Spesso lo facciamo orgogliosamente a casa, in modo artigianale, e il cliente se ne accorge. Affidiamoci a un grafico e paghiamolo, perché creerà un eccellente biglietto da visita per noi». Gli fa eco Brioschi: «L'internazionalizzazione è una scelta dell'impresa, quindi devi essere cosciente che se vuoi vendere a un cliente estero devi comprendere la diversità culturale. La finalità è concludere l'affare, e poi curare il cliente è vitale per la fidelizzazione, nella pianificazione a medio e lungo termine. Bisogna saper seguire questo processo parlando almeno inglese”.
Ma l'internazionalizzazione è per tutti? Ghezzi: «Non basta solo avere il prodotto, anche se è un po' più facile imporsi quando si vende qualcosa di nicchia, perché c'è meno competizione sul prezzo e perché nessun’altro ce l’ha. Il consiglio è di stilare un business plan che metta a nudo anche le criticità. Come al solito, è questione di preparazione”.
Un altro grande tema trattato nella diretta è quello dei fondi. In Italia, soprattutto ultimamente, non mancano. Nel caso dell'internazionalizzazione ci sono sostegni per Pmi che vogliano andare all'estero? E per le fiere? Come intercettarli? Secondo Brioschi, ci sono fondi per le operazioni spot (la famiglia dei bandi per le fiere). Ogni Camera di Commercio lombarda li lancia annualmente, una o due finestre. Regione Lombardia finanzia ogni anno le fiere internazionali che si tengono qui. Si tratta di opportunità importanti che permettono di spalmare gli investimenti in uno o due anni. Inoltre il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto una quota a fondo perduto del 25 per cento circa tra Nord e Sud, per le fiere. Riassume tutto Daniele Ghezzi: «Oggi le risorse ci sono, provengono da varie matrici pubbliche».
Per finire, non si può non fare i conti con l’e-commerce. La vendita online. Ghezzi, scherzando, consiglia di «legarsi alla sedia e tapparsi le orecchie» per il richiamo della sirena. Più che un ostacolo, può rivelarsi una delusione. Aspettative elevate, tante risorse usate, e disappunto per scarse performance. Per evitare questo, l'imprenditore deve essere il primo a capire come sfruttare tutte le potenzialità della rete, in primis come rimanere in alto nei motori di ricerca. I dati diventano vecchi rapidamente, già quelli di 5 mesi fa sono obsoleti. «In questi mesi – chiarisce l’esperto dell’università Cattolica – stiamo vedendo un calo dell'e-commerce, con bilanci in forte perdita». Brioschi sottolinea come «alcuni prodotti ha senso venderli online, altri no. Dove il brand costa meno, la discriminante poi è il prezzo»: è possibile ormai comprare una mozzarella fresca dall’agro aversano e farla arrivare in poche ore a Milano. Tornando alle imprese, se c’è un problema di competitività, l'e-commerce non risolve il problema. Né risolve quello sul mercato estero, se il problema è già interno.
Vanno fatti “i compiti a casa”. chiedersi le ragioni delle scelte dei consumatori, capire le implicazioni organizzative. Qualche imprenditore ci riesce, grazie alla disponibilità della sua azienda a mettere in gioco tutte le proprie abitudini e studiare. Occorrono disponibilità al cambiamento, la comprensione di cosa sia un modello di business e di e-commerce. Non bisogna essere superficiali. Serve autoformazione. Serve sempre. Serve adesso.