Imprese di famiglia, il manager fa per voi e il costo può trasformarsi in guadagno per l'azienda

Focus di Item sulla continuità generazionale: molte Pmi entro l'anno dovranno fare il grande salto. Conviene fermarsi e ragionare sulla figura alla quale affidare la leadership. Preconcetti? Tanti

Manager in azienda

Equilibrio, apertura, condivisione: sono le caratteristiche ideali per far convivere un manager e un’impresa familiare. È il tema di cui si è discusso nell’ultima puntata prima della pausa estiva di Item d’Impresa, il ciclo di approfondimenti online di Confartigianato Imprese Varese, a cui hanno partecipato il professore di economia aziendale dell’università Cattaneo - LIUC Salvatore Sciascia e il consulente aziendale e saggista Antonio Belloni.

Partendo da alcuni punti fermi, “fotografati” dai dati Istat: in uno scenario nazionale in cui il 99% delle imprese sono micro o piccole, risultano essere ben 3 su 4 le imprese familiari tra quelle con almeno tre addetti, mentre sono ben il 2% quelle che ogni anno vive un momento di passaggio generazionale. «Un numero destinato a salire in questi anni perché attualmente un’impresa su 4 è guidata da un “over 70” e addirittura una su 2 da un “over 60”» fa notare il professor Sciascia. «Ma il passaggio generazionale è una soluzione più che una minaccia alla continuità delle imprese. Sfatiamo questo grande malinteso: è vero che solo una su tre arriva alla seconda generazione, ma è anche vero che metà delle startup non dura cinque anni».

SCEGLIERE TRA MANAGER E FAMIGLIA
E se il passaggio generazionale può essere un’opportunità, bisogna capire se conviene farlo gestire ad un manager piuttosto che ad una persona della famiglia. «Nelle nostre imprese c’è tanta ritrosia ad aprire le porte a figure esterne - rileva Antonio Belloni – viene vissuta quasi come un’invasione di campo, visto che da noi c’è la tendenza a sovrapporre famiglia e azienda anche contabilmente e fisicamente, quando la casa è sopra al laboratorio. È una questione di mentalità da scardinare, ecco perché a volte si preferisce affidarsi ad un consulente, figura che, come il commercialista, mantiene ancora una certa distanza, piuttosto che ad un manager, che è quello che “decide al posto mio”».

Il consulente a volte diventa il passaggio intermedio prima di affidarsi ad un manager esterno

Così il consulente a volte diventa il passaggio intermedio prima di affidarsi ad un manager esterno. Scelte che vanno attentamente valutate. Affidarsi ad un manager “in famiglia” può avere «una serie di vantaggi - li elenca Salvatore Sciascia - di natura psicologica perché comprendono logiche e obiettivi familiari, a livello di migliore conoscenza dell'azienda, ma anche dal punto di vista emotivo, dato che l’attaccamento di un familiare alla propria azienda porta grande commitment».

D’altra parte il manager esterno, aggiunge il docente Liuc, «può frenare una certa invadenza da parte della famiglia nell’azienda, può portare competenze, idee e relazioni che arricchiscono il bagaglio dell’impresa, ma anche quel distacco emotivo per evitare che in azienda si trasferiscano conflitti familiari». Sciascia cita uno studio secondo cui «tra le imprese più piccole la soluzione che rende di più è quella di affidarsi ad un leader familiare purché circondato di figure competenti esterne». E in generale «la combinazione» tra figure familiari e manager esterni «può essere la formula vincente». E, come ricorda Belloni, ci sono tante storie (da Andrea Guerra con Merloni e Delvecchio a Gianni Mion con Benetton) in cui questa integrazione, con il manager al fianco dell’imprenditore, porta al successo aziendale. Magari «un mentore» che guida e consiglia dietro le quinte.

PORTA COMPETENZA ED ESPERIENZA
Di certo il manager in azienda serve. «Porta competenze ed esperienze che non ci sono, ultimamente anche di tipo tecnologico - sottolinea Antonio Belloni - costa ma fa respirare ossigeno nuovo e aria fresca all'azienda. il tema è sempre metterci la persona giusta. Con le attitudini giuste. Che venga da dentro o da fuori».

Sono due in particolare i “prezzi” da pagare: «Un costo economico, anche se spesso costa di più averlo che non averlo - aggiunge Sciascia - e un costo “politico”; che non entra nel bilancio ma può pesare. Perché delegare responsabilità e decisioni non è facile, ma spesso è decisivo per evitare che un’impresa sia troppo centrata sul leader familiare. Di certo è più facile convincere della convenienza economica che smuovere le corde della psicologia». Ma il prof. della Liuc è fiducioso sul fatto che le nuove generazioni, che stanno per entrare nelle imprese familiari, siano «più pronte ad accettare la presenza di manager esterni. Millennials e Generazione Z sono meno ossessionati dal lavoro e più votati alla condivisione».