Gli eventi socio-economici e ambientali che stanno interessando il mondo rendono ancor più urgenti i temi della transizione ecologica e dell’economia circolare per le policy europee e mondiali. Un ambito chiave è rappresentato dalla gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti, un passaggio imprescindibile per abilitare il recupero di materia ed energia.
In questo contesto è stato presentato nell’ambito del Forum di The European House – Ambrosetti, lo studio “Da NIMBY a PIMBY: economia circolare come volano della transizione ecologica e sostenibile del Paese e dei suoi territori”, realizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con A2A. La ricerca identifica i gap esistenti nei territori del Paese rispetto alla gestione dei rifiuti e ne analizza i fabbisogni impiantistici.
Vengono inoltre quantificati gli investimenti necessari per superare le attuali criticità ed evidenziati i relativi benefici economico-ambientali. L’auspicato passaggio dal fenomeno del NIMBY (Not In My Back Yard) - che indica la preferenza dei cittadini a localizzare impianti in luoghi distanti dalla propria quotidianità - al PIMBY (Please In My Back Yard) richiede di sfatare i falsi miti che bloccano la realizzazione delle infrastrutture favorendo meccanismi come il “Dibattito Pubblico”, previsti nel Codice degli Appalti, e comprimere i tempi della burocrazia per avviare le opere necessarie, in particolare nel Centro-Sud Italia, sia ad oggi che in prospettiva. L’analisi evidenzia che la capacità residua delle discariche in Italia si esaurirà nei prossimi 3 anni, con differenze significative tra Nord (4,5 anni) e Sud (1,5 anni), mentre il Paese è ancora lontano dall’obiettivo europeo del 10% di conferimento di rifiuti urbani in discarica al 2035, fissato dal Circular Economy Action Plan e si attesta nel 2019 al 20,9%.
Prendendo in considerazione solo la FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) lo studio mostra come, per raggiungere l’obiettivo di riciclo effettivo del 65% al 2035 fissato dal Circular Economy Package, sia necessario raccogliere e trattare tutta la quantità prodotta.
Ne discende la necessità di poter gestire questa tipologia di rifiuti recuperando materia (compost) ed energia (biogas) per ulteriori 3,2 milioni di tonnellate di FORSU - il 50% in più dei volumi attuali - e, di conseguenza, realizzare tra i 31 e i 38 nuovi impianti di trattamento, per un investimento complessivo di 1,1 - 1,3 miliardi di euro. Alla luce dei gap attuali, l’80% delle opere dovrà, inoltre, essere localizzato al Centro-Sud del Paese. Con lo sviluppo di infrastrutture dedicate al trattamento della FORSU è inoltre possibile abilitare una produzione di biometano fino a 768 milioni di metri cubi ottenuto dalla purificazione del biogas.
Lo studio dei fabbisogni impiantistici ha previsto anche un’analisi del recupero energetico dai rifiuti urbani e dai fanghi di depurazione. Dall’analisi dei dati su base regionale emerge che 17 regioni italiane avranno a tendere un gap impiantistico per questo tipo di attività, per colmare il quale il Paese necessita di 6-7 nuovi termoutilizzatori per i rifiuti urbani, per un investimento complessivo di 2,2 - 2,5 miliardi di euro. Il potenziale di recupero di energia dei fanghi di depurazione - il principale residuo dei trattamenti depurativi delle acque reflue - ammonta, inoltre, a 2,4 milioni di tonnellate che possono essere gestite grazie alla realizzazione di 8 linee aggiuntive in impianti esistenti e con un investimento di circa 700 milioni di euro.
La realizzazione di impianti per il trattamento della frazione organica determina inoltre un beneficio economico rilevante nelle Regioni con i minori tassi di raccolta differenziata, permettendo una riduzione della TARI per un valore complessivo superiore a 550 milioni di euro.
Dal punto di vista ambientale, lo studio arriva alla conclusione che colmare il gap impiantistico per il recupero energetico dei rifiuti urbani e dei fanghi di depurazione permetterebbe un risparmio netto complessivo di 3,7 milioni di tonnellate di emissione di CO2 rispetto al conferimento in discarica degli stessi. Grazie alla produzione elettrica associata, si determinerebbe inoltre un incremento di 0,7 punti percentuali della quota di energie rinnovabili sulla generazione complessiva del Paese, contribuendo così alla transizione energetica.