Per chi è nato negli ultimi trent’anni il ritorno dell’inflazione è una novità con cui fare i conti. Se può essere semplice dare una definizione di inflazione, ovvero una crescita continuativa e generalizzata dei prezzi nel tempo, diventa invece complesso indagarne natura e implicazioni.
Le inflazioni non sono tutte uguali. E la storia insegna che, una volta salita ai livelli attuali, l’inflazione diventa una variabile difficile da controllare. Riportarla al 2% auspicato da banche centrali e governi è un po’ come rimettere il dentifricio nel suo tubetto. Ma che tipo di inflazione è quella odierna? «Le inflazioni, come i virus, cambiano nel tempo. Ogni definizione è quindi un fotogramma di un film molto più complesso e articolato – spiega l’economista Rony Hamaui – Se guardiamo nello specifico a questa inflazione, certamente le radici sono da ricercarsi in alcuni choc di offerta relativi alle materie prime, energetiche e non energetiche, alla rottura delle supply chain avvenuta durante il Covid, e a politiche monetarie e fiscali estremamente espansive. In un primo momento questi elementi sono stati dominanti, soprattutto gli choc di offerta, ma via via che il film procedeva sono mutati gli equilibri».
«Per esempio, anche quando i nodi riguardanti le catene di offerta si sono sciolti (con una progressiva diminuzione del prezzo di gas ed energia), l’innesco di questi choc aveva ormai messo in moto la macchina economica. Una macchina fatta da tanti soggetti economici. Il passaggio di testimone è quindi stato dagli choc di offerta, grandi e piccoli, a una situazione in cui le imprese (soprattutto quelle grandi) non hanno subito in maniera passiva ma sono riuscite a rialzare i prezzi, a tenere i margini e in alcuni casi anche ad accrescerli. Merito di un rafforzamento della domanda esterna e delle strozzature dal lato dell’offerta, specialmente all'inizio».
Pandemia, vincoli all’offerta, guerra in Ucraina, prezzi dei prodotti energetici e molto altro. Un'inflazione nata da offerta che si è gradualmente trasformata in una inflazione da domanda ma anzitutto da profitti, lasciando indietro salariati, pensionati e chi non ha avuto la forza per recuperare i margini. «Come si vede, questa è una situazione molto diversa da quella degli anni '70 dove lo choc iniziale fu sì uno choc d'offerta ma di fatto a quel tempo i profitti si ridussero e i salari tennero in termini reali.
L'Italia di allora era però assai differente sotto il profilo istituzionale e nel clima sociale: esistevano meccanismi di indicizzazione, la scala mobile e un clima sindacale differente. L'inflazione ha effetti distributivi molto importanti, effetti che troppo spesso vengono sottovalutati perché non ci si rende subito conto di quanto l'inflazione vada a toccare le tasche delle persone. L'atteggiamento che ne consegue, soprattutto in un Paese come l'Italia, è di non prestare particolare attenzione alla lotta contro l'inflazione, un male profondo che va a ridistribuire spesso in modo ingiusto e casuale la ricchezza e il reddito. Ci siamo quindi ritrovati in una situazione in cui alcune classi sociali hanno subito e altre hanno guadagnato. Un risultato che è frutto della nostra storia fatta di oltre un ventennio di bassissima inflazione che ha fatto venir meno tutta una serie di strumenti presenti negli anni '70, '80 e '90».
Cosa aspettarci come previsione per il futuro, sarà un’inflazione destinata a durare? Prosegue Hamaui: «Se da una parte l'inflazione aggregata sta scendendo, anche rapidamente, soprattutto per il contributo dei proventi energetici e in parte alimentari, dall’altra abbiamo una inflazione core (calcolata senza tenere conto dei beni più volatili come alimentari e l'energia) molto più resiliente che si attesta ancora intorno al 5,5%. Siamo in una situazione in cui l'inflazione generale sta scendendo, i prezzi delle materie prime sono diminuiti, ma permane una inflazione di fondo importante. Questo è un problema strutturale a tutte le inflazioni perché c'è un meccanismo di input-output tra i settori, di giochi tra lavoratori, produttori di materie prime, imprese, che fa sì che l'inflazione salga velocemente ma poi scenda molto più lentamente. È esattamente l'opposto della Borsa che scende rapidamente e sale lentamente. La previsione è quindi che l'inflazione non è destinate a sparire in breve tempo, soprattutto l’inflazione core, che è quella che ci preoccupa di più».
Quali dunque le politiche da adottare per fronteggiare l’inflazione persistente? «Le banche centrali hanno indubbiamente fatto bene ad alzare i tassi di interesse, non si poteva fare altrimenti perché erano molto sotto lo zero sia in termini nominali che reali; adesso però siamo arrivati al punto in cui ulteriori incrementi dei tassi di interessi entrano in gioco poco. Davanti a una inflazione da profitti, come quella attuale, la politica monetaria è un po' meno efficace perché i tassi di interesse più alti influenzano meno le decisioni di queste imprese, toccando maggiormente le famiglie che hanno mutui indicizzati. L’inflazione ha forti conseguenze su consumi, redditi e ricchezza degli individui. Una politica monetaria troppo restrittiva finisce per pesare sulle famiglie, sulla loro capacità di spesa, finendo infine per buttare giù la domanda e, a seguire, i prezzi. A volte in Italia si dà molto peso alla caduta del Pil e poco peso all'inflazione. Paradossalmente dal punto di vista distributivo siamo disposti ad accettare una inflazione del 10% ma non una riduzione del Pil di un punto percentuale che ha degli effetti distributivi molto più bassi. Si tratta di una carenza culturale del nostro Paese».
La politica monetaria da sola rischia di somministrare una dose di medicine molto alta con effetti collaterali altrettanto elevati. Diventano pertanto cruciali le politiche fiscali e le politiche ridistributive, le grandi assenti. «Si è lasciato l’onere alla politica monetaria, ma se fosse intervenuta una politica fiscale e una politica ridistributiva più ragionevoli avremmo avuto meno bisogno di quella medicina che è l'aumento dei tassi di interesse (e forse avremmo avuto una inflazione più bassa). Alcuni paesi come la Spagna l’hanno fatto, dove il governo Sànchez è riuscito a ottenere risultati significativi con politiche economiche non convenzionali quali lo sganciamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità, la riduzione della tassazione indiretta, l’imposizione di limiti ai prezzi dell’energia, la tassazione dei super-profitti delle banche. Forse è arrivato il momento di riflettere».
«Non si è parlato di inflazione per molti anni, quindi oggi abbiamo dovuto riscoprire qualcosa noto in passato che era stato un po’ dimenticato – conclude Hamaui – L'analisi economica continua a studiare. Per esempio, è stato recentemente pubblicato da quattro economisti europei un paper estremamente originale, “Narratives about the Macroeconomy”, che mostra come la formazione delle aspettative degli operatori è più influenzata dagli shock di offerta che da quelli di domanda. Le banche centrali sono convinte di influenzare le aspettative di inflazione, questo lavoro mostra come le aspettative siano influenzata dal nostro background culturale, politico ed economico. Grazie alla Behavioral economics oggi siamo in grado di valutare tutte queste variabili con occhi doversi». Paola Mattavelli