L’impresa possibile: cambiare mentalità per formare davvero
Scopri perché la formazione continua è vitale per le Pmi e come il reskilling può diventare la chiave per affrontare il futuro del lavoro in modo strategico

Il mondo del lavoro cambia a ritmi sempre più sostenuti. Sono cambiamenti basati sulla trasformazione digitale e sulla transizione green, ma anche sulla frammentazione economica e sui cambiamenti demografici. Le aziende, a loro volta, sono chiamate a cambiare. Evolversi. Per restare competitive e continuare a crescere, o più semplicemente per sopravvivere. E se le grandi realtà imprenditoriali hanno già avviato tale processo, troppe piccole e medie imprese accumulano ritardi che rischiano di far male. Da un lato appaiono consapevoli dei gap di competenze e della necessità di colmarli, dall’altro sembra non abbiano ancora preso pienamente coscienza di quanto importante sia il reskilling dei dipendenti. Cioè l’acquisizione di nuove competenze e un mutamento dei ruoli. Ma perché il reskilling appare come una sorta di “blocco”? Come definire un percorso che non risulti traumatico ma porti i suoi frutti? Ci siamo confrontati con Alberto Ferraris, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università di Torino.
Secondo il World Economic Forum, tra il 2025 e il 2030 il 39% delle competenze esistenti verranno trasformate o diventeranno obsolete. Il 63% degli imprenditori ritiene che le lacune nelle competenze siano il più grande ostacolo alla trasformazione aziendale. Ma quest’ultimo dato quasi decade guardando alle realtà delle Pmi italiane: «Nel loro caso – commenta Alberto Ferraris – il vero problema riguarda la formazione». E se manca una formazione adeguata, non può esserci riqualificazione.

SENZA FORMAZIONE NON C’È RESKILLING
«Ancora oggi – continua Ferraris – la formazione è vista da molte Pmi solo come un obbligo. La fanno perché devono farla. Ma quasi sempre si tratta di corsi saltuari e, soprattutto, non viene considerato il ritorno dell’investimento in formazione. Misurare il Roi relativo alla formazione è effettivamente complesso, e anche per questo motivo si tende a trascurarlo». Un altro errore.
La riflessione del docente trova conferma in una recente ricerca condotta dall’Osservatorio innovazione digitale nelle pmi del Politecnico di Milano: 31% delle piccole e medie imprese ritiene la formazione importante ma non l’ha integrata nella propria strategia. Per il 18% non è una priorità. Il 37% non ha definito una programmazione ad hoc e il 19% lo fa ogni 2-3 anni. Simili dati dimostrano anche quanto poco sia preso in considerazione il reskilling.
UNA QUESTIONE DI MENTALITÀ
Alberto Ferraris lo dice senza mezzi termini: «Quando si tratta di Pmi, la cultura di molti imprenditori appare ancora tradizionalista. Ancorata a una mentalità superata, che non può tradursi in un giusto approccio all’innovazione. Spesso non c’è un reale interesse per la formazione, né tantomeno il tema del reskilling è ritenuto importante. Tra l’altro, questo stesso tema può sfociare in una maggiore autonomia per i lavoratori». E ciò può non esser visto di buon grado.
L’HR MANAGER PUÒ ESSERE LA FIGURA RISOLUTIVA
Come smantellare le resistenze? Il professor Ferraris non ha dubbi: un ruolo chiave spetta all’Hr manager. Presenza imprescindibile nelle grandi aziende, dovrebbe esserlo anche nelle Pmi.
Un corretto processo di reskilling parte dal vertice ma dovrebbe passare anche dal responsabile delle risorse umane, perché non solo seleziona e recluta i lavoratori ma fa le mappature delle competenze, con la facoltà di promuoverne lo sviluppo e quindi colmare lo skill gap; si occupa dei programmi di formazione (e può quindi rivoluzionarne l’approccio), monitora le prestazioni e opera affinché migliorino costantemente. L’Hr manager mette inoltre pratiche che aumentano l’engagement e la retention e può anticipare/prevedere le sfide del futuro, in primis quelle legate alla digital transformation.

LA STRADA ALTERNATIVA
Senza reskilling non c’è futuro. O, comunque, il futuro appare critico. «Chi non entra in quest’ottica – avverte Ferraris – rimane fuori dal mercato. Privo delle competenze per essere competitivo, per cui subentra anche la difficoltà nell’attrarre capitale umano. I più illuminati ne prendono atto, anche perché i campanelli di allarme non mancano: persone che se ne vanno, lamentele, conflitti».
Ma quale l’alternativa, se in un’azienda manca l’Hr manager? «Si può pensare – risponde il docente – di rivolgersi a consulenti che diano una mano dal punto di vista organizzativo e strategico. E magari anche di definire un vero e proprio pool, creando un rapporto duraturo. Un riferimento nel lungo termine».
IKEA, UN ESEMPIO PREZIOSO
Alberto Ferraris cita entusiasta il reskilling attuato da Ikea. Che è un colosso, ma rappresenta un valido esempio anche per le Pmi. Qualche tempo fa ha introdotto un chatbot AI per gestire il servizio clienti. Che si è rivelato molto efficiente. Ciò non ha però comportato il taglio di posti di lavoro: Ikea ha scelto di riqualificare 8.500 dipendenti.
Ad alcuni, per esempio, è stato affidato il compito di revisionare e migliorare le risposte del chatbot; altri sono stati riqualificati come consulenti di interior design. Altri ancora sono stati formati per gestire interventi di assistenza clienti più complessi che richiedono empatia e risoluzione creativa dei problemi. Ikea ha dimostrato come la riqualificazione strategica, insieme all’adozione dell'AI, favorisca sia il successo aziendale che la crescita dei dipendenti. Risultato? Un fatturato aggiuntivo di 1,4 miliardi di dollari.
IL CERCHIO SI CHIUDE
Insieme al professor Alberto Ferraris proviamo a immaginare un’azione di reskilling per un’azienda piccola o media. «Gli addetti alle paghe e alla segreteria sono tra le figure che potrebbero essere totalmente sostituite dall’intelligenza artificiale. Una buona idea è quella di reskillare virando dalle attività amministrative a quelle tipiche della gestione delle risorse umane: selezione e recruiting, per esempio».
Il cerchio si chiude, siamo tornati all’importanza della formazione. «Ogni Pmi – conclude Ferraris – dovrebbe adottare sia strategie digitali che strategie formative. Anche puntando di più sull’ingaggio motivazionale dei dipendenti». E il reskilling diventerebbe una conseguenza naturale. Nadine Solano