Il numero di ore non conta più, la produttività è questione di obiettivi
Cosa fare per cambiare? Passare dal controllo delle ore lavorative al controllo del raggiungimento degli obiettivi condivisi, attribuire maggiori responsabilità ai lavoratori e monitorare le performance raggiunte

«Non c’è niente di bello nell’avere l’agenda di lavoro piena. Questa tendenza a sovraccaricarsi di attività, soprattutto nelle grandi aziende, porta le persone a lavorare molte più ore del necessario e a disperdere energie e concentrazione».
Lo spunto di riflessione arriva da Raffaele Gaito, coach, autore, blogger. Abbiamo pensato di affrontare il dubbio che pone chiedendo un sintetico approfondimento ad esperti di organizzazione aziendale: Barbara Imperatori, professore ordinario di Organizzazione aziendale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e Alessandra Lazazzara, professore ordinario di Organizzazione aziendale all’Università Statale di Milano.
Ne è emersa la convinzione che un più ampio orario lavorativo non sia direttamente proporzionale alla produttività, ma al contempo, per migliorare la produttività ponendo ai dipendenti vincoli meno rigidi su tempi e spazi di lavoro, occorrono degli accorgimenti.
Sul tema sono disponibili dati Ocse che entrambi i docenti prendono in considerazione: l’Italia è nelle prime posizioni in Europa per numero di ore lavorate alla settimana, insieme ai paesi dell’Est, mentre sprofonda agli ultimi posti per livelli di produttività del lavoro. Al contrario nel Nord Europa si lavora per meno ore ma la produttività risulta molto maggiore.
SCARSA EFFICIENZA NON POCHE ORE

Per Alessandra Lazzazara, prima di tutto bisogna scardinare il dualismo secondo il quale passare più ore di lavoro in presenza in ufficio sia correlato a una maggiore produttività. «E’ il mio punto di partenza quando parlo di smart working e di forme di lavoro ibride», chiarisce la docente.
La maggior quantità di tempo necessaria per un’attività può significare due cose: o la complessità eccessiva della mansione assegnata a una o più persone, o la scarsa efficienza del personale, o, ancora, uno staff sottorganico. Dall’altra parte, la perdita di tempo o il tempo eccessivo passato al lavoro comportano la demotivazione, la fatica e il rischio di burn out per il lavoratore. «Tutti abbiamo bisogno di un approccio più umano e questo non significa per forza ridurre la propria produttività».
Come possono comportarsi le imprese al riguardo? Prima di tutto è bene non perdere una delle migliori occasioni offerte dal periodo della pandemia: si può mantenere la possibilità di svolgere una parte del lavoro a distanza e si può consentire un orario più flessibile, per i ruoli dove questo è possibile, con una gestione del lavoro differente e innovativa.
- passare dal controllo delle ore lavorative al controllo del raggiungimento degli obiettivi condivisi e precedentemente stabiliti
- cambiamento culturale e formazione da parte dell’azienda e dei manager
- maggiore responsabilità attribuita ai lavoratori
- monitoraggio costante e frequente delle performance raggiunte
Un tema essenziale che affronta Barbara Imperatori è quello della produttività. «Bisogna capire cosa si intende con “produttività” - precisa - I modi con cui le aziende grandi o piccole organizzano il lavoro ha un impatto in termini di costi e benefici per la collettività e per le singole persone. Hanno ragione sia coloro che sostengono tutti in ufficio sia coloro che propongono tutti in smart working».
Lo smart working per alcuni giorni a settimana, ad esempio, ha ridotto gli spostamenti e di conseguenza l’inquinamento ambientale. Un esempio all’opposto: quando gran parte dei lavoratori svolgevano le proprie mansioni da casa, le piccole attività di ristorazione che vivono sulla pausa pranzo hanno sofferto o chiuso i battenti.
I FATTORI DA CONSIDERARE

Ecco quali fattori vale la pena di considerare:
- Non si può generalizzare: smart working e settimana breve si possono proporre solo per alcuni tipi di mansioni. Vanno identificate quelle che lo consentono
- Considerare il tema dell’equità: pre covid era normale che tutti andassero ogni giorno sul posto di lavoro, oggi c’è chi è nelle condizioni di lavorare ugualmente quando preferisce e dal luogo che preferisce, e c’è chi non le ha. Questa situazione genera una divisione tra tipologie di lavoro
- Lavorare per obiettivi
- Riprogettare l’organizzazione del lavoro, i capi devono acquisire nuove competenze per essere in grado di gestire le persone, sapendo che in alcuni giorni non saranno fisicamente presenti
- Assicurare competenze nell'organizzazione del lavoro ibrido ai manager e nell’utilizzo di strumenti per il lavoro a distanza a tutti
- E’ fondamentale la motivazione dei lavoratori, che è un mix tra quanto ci si aspetta da loro e quanto/come lo vogliono fare. Il lavoratore sa come lavorare in modo efficiente a distanza e vuole farlo?
In definitiva, non esiste una ricetta uguale per tutti ma è possibile lasciare margini di scelta alle persone, con il vincolo irrinunciabile del coordinamento da parte dell’azienda.