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La leadership per le imprese del futuro è “partecipativa”

La leadership per le imprese del futuro è “partecipativa”
Leadership partecipativa

Cosa significa essere “capo” di qualcuno? Tra le definizioni che continuano a non mettere d’accordo accademici e studiosi delle organizzazioni c’è quella di leadership. Un concetto che si è trasformato negli anni e per il quale spesso si parla di stili. Direttivo, persuasivo, autoritario, visionario. Sul tema Claudio Catalano, psicologo del lavoro, consulente Hr e coach non ha dubbi: non esiste una leadership che non sia una leadership partecipativa.

Catalano, secondo lei che cos’è la leadership?

Credo sia la capacità di decidere ciò che va fatto e fare in modo che gli altri desiderino farlo. Il coinvolgimento dei collaboratori nella presa delle decisioni rappresenta un suo prerequisito, altrimenti si parlerebbe di approcci autoritari, ovvero calati dall’alto, oppure “distaccati”, in cui un collaboratore non ha la possibilità di confrontarsi con il suo capo e quindi subisce le direttive che gli vengono appunto imposte. Non si può parlare di leadership senza partecipazione.

Nel dettaglio, lei ha elaborato un modello di leadership basato su 3c, a cosa fanno riferimento?

Leadership partecipativa

Comunicazione, coerenza e crescita. In primo luogo – anche se sembra banale ricordarlo – la comunicazione, sia orizzontale sia verticale, è fondamentale in un’impresa. Con i collaboratori servono apertura e trasparenza a 360 gradi. Questo non significa che il proprietario o il manager debbano svelare segreti aziendali o informazioni relative alla loro sfera personale. Devono invece parlare con chiarezza e costanza di strategia, obiettivi e visione aziendale. Insomma, non ci devono essere segreti per quando riguarda l’operatività dell’organizzazione. La seconda c fa riferimento alla coerenza, una parola che viene sempre citata dai dipendenti delle imprese, che osservano da vicino i leader e si aspettano che siano i primi a dare l’esempio. Per questo ogni giorno il capo deve svolgere la sua attività coerentemente con ciò che afferma davanti ai suoi sottoposti e ammettere i suoi errori, quando vengono commessi. Inoltre, vi deve essere una coerenza a livello aziendale nelle azioni dei diversi manager.

E infine la terza componente fondamentale della leadership, la crescita dei collaboratori...

Leadership partecipativa

Un aspetto a volte trascurato: può accadere che i manager temano la crescita di competenze dei loro collaboratori per paura di essere esautorati dal loro ruolo e perdere importanza, ma non si può vivere solo dello status quo, perché i cambiamenti sono fisiologici. Invece occorre sempre prevedere una progressione dei lavoratori, pianificata e concordata, ovvero che preveda un loro coinvolgimento. La crescita delle competenze deve essere sia orizzontale, di tipologia delle competenze, sia verticale, con una specializzazione su un determinato ambito. Spesso invece l’azienda organizza corsi di formazioni calati dall’alto, che si rivelano poi di scarso interesse per i dipendenti. Talvolta, inoltre, la crescita dei collaboratori non viene incoraggiata per motivi economici: si pensa infatti che, fornendo maggiori competenze, i lavoratori saranno in grado di svolgere un maggior numero di attività oppure le stesse attività ma in modo migliore e per questo chiederanno aumenti di retribuzione. Questo timore rappresenta un rischio per l’azienda, perché i dipendenti insoddisfatti del proprio lavoro e della propria retribuzione possono decidere di lasciare l’azienda. Per questo oggi si parla molto di grandi (o piccole) dimissioni; un fenomeno iniziato con la pandemia e legato al desiderio di trovare ambienti lavorativi più stimolanti e appaganti. Ricordiamoci che la selezione del personale è un costo enorme per le piccole e medie imprese.

Quali sono i vantaggi che questo approccio apporta all’azienda?

Leadership partecipativa

I dipendenti che si sentono coinvolti e valorizzati dai propri superiori – anche sul piano decisionale – avvertono anche una maggiore responsabilità nelle attività che svolgono. Tutto questo aumenta la loro motivazione: ciò significa che saranno disposti a impegnarsi molto più, tenendosi lontano dal cosiddetto quiet quitting, il fenomeno per il quale il dipendente fa il minimo indispensabile (nel rigoroso rispetto delle mansioni assegnate e dell'orario di lavoro), una soglia al di sotto della quale sarebbe rimproverato dai suoi superiori. Il coinvolgimento insomma aiuta a dare un senso al lavoro, contribuendo a creare un ambiente migliore e più produttivo e a non perdere talenti. A volte bastano pochi minuti per far sentire un dipendente valorizzato. Per esempio, in un’azienda metalmeccanica con un centinaio di dipendenti presso la quale ho svolto una consulenza, un saldatore si è sentito soddisfatto perché era stato coinvolto dalla proprietà nella scelta di una nuova saldatrice da acquistare per l’officina. Il lavoratore aveva avanzato la sua proposta, che era stata ascoltata e accolta.

Infine, può dare qualche consiglio a chi intende migliorare le proprie capacità manageriali?

Nei miei interventi nelle aziende suggerisco sempre ai manager di sviluppare innanzitutto le competenze basilari di ascolto e comunicazione. Solo dopo si può parlare di vera e propria leadership, che significa saper gestire le riunioni, ascoltare, motivare, dare dei riscontri e valorizzare le risorse. Da psicologo, però, mi sento di sottolineare come quello della leadership sia un tema in cui i risvolti personali, individuali e interiori, sono molto importanti. Spesso la gestione del personale porta a rivivere degli schemi che abbiamo vissuto in passato. Oggi ci sono molti leader autoritari oppure, all’opposto, troppo deboli perché non sanno dialogare con sé stessi. Il primo consiglio che mi sento di dare è quello di conoscere sé stessi per capire cosa succede nel nostro scenario interiore quando ci confrontiamo con un collaboratore: che cosa proviamo e se ci sono situazioni che possono metterci in difficoltà, sulla base del nostro vissuto. Se un leader sa padroneggiare ciò che è dentro di sé, è in grado di fare la differenza ed entrare in relazione con l’altro. Alessandra Favazzo