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Cinque modi di avere “coraggio” in azienda per crescere (anche in team)

Cinque modi di avere “coraggio” in azienda per crescere (anche in team)
coraggio

Cos’è il coraggio? E perché è importante in un mondo del lavoro che cambia? È il non avere paura, la volontà di correre dei rischi o forse qualcosa di più, una soft skill trasversale che interessa le aziende nella loro totalità? Un’attitudine che si fa gesto concreto e quotidiano e non semplicemente una caratteristica astratta impossibile da allenare?

A fare chiarezza è Annalisa Galardi, fondatrice di “The Bravery Store”, docente di Comunicazione d’Impresa all’Università Cattolica di Milano e autrice di “Coraggio”, volume della collana “Voci del lavoro nuovo”, pubblicata da FrancoAngeli. Nel testo, la studiosa individua cinque interessanti dimensioni del coraggio, con esempi e istruzioni pratiche. Spiega infatti la docente: «Ho provato a dare una traduzione operativa di un tema astratto affinché le persone che ne sono interessate possano davvero portarlo nelle loro vite»

IL CORAGGIO DI DIRE

dire

Non avere paura di prendere una posizione, di far sentire la propria voce: è il coraggio del dire, prima declinazione del tema individuata da Annalisa Galardi. Una necessità fondamentale nel lavoro in team: «Ovviamente non è facile. Capita ad esempio di non fornire un feedback correttivo a un collega per evitare che quest’ultimo si rattristi o di evitare un commento perché crediamo sia contrario a ciò pensa il nostro superiore - nota la docente – Ma se tutti sappiamo che il confronto è costruttivo, che si inserisce in un orizzonte più ampio affinché tutti possano dare il meglio, allora diventa importante. Studi dimostrano infatti che i team che funzionano meglio sono quelli in cui i membri hanno la capacità di gestire il conflitto».

Per Galardi il coraggio del dire va oltre il feedback reciproco, ma si lega a un altro principio cardine della cultura organizzativa aziendale di oggi: il purpose. «Per le aziende diventa importante non soltanto comunicare il proprio specifico business, ma anche prendere posizione nei confronti di tematiche ambientali, sociali, dal forte interesse collettivo.  Le persone, soprattutto più giovani, sono sempre più guidate da elementi valoriali: il coraggio del dire diventa una leva per attrarre e trattenere i lavoratori, per creare un senso di appartenenza».

IL CORAGGIO DI DARE

Dare

L’appartenenza implica la condivisione, il mettere a disposizione degli altri conoscenze e idee. È il coraggio del dare, della generosità come fattore di sviluppo. La fondatrice di “The Bravery Store” sottolinea l’importanza di «lavorare insieme, di passarsi le informazioni con la consapevolezza che solo così si potrà evolvere».

A volte andando oltre i confini della singola impresa, fino a coinvolgere un intero settore: «Mi piace pensare a un’azienda generosa nei confronti di contesto più ampio, della comunità in cui è calata. E a volte anche dei competitor: ci sono esempi virtuosi di maggior apertura e collaborazioni, perché dalla condivisione delle informazioni possono nascere condizioni vantaggiose per tutti», nota sempre Galardi.

IL CORAGGIO DI FARE

Fare

Comunicare, collaborare… e poi fare. In un mondo dai tempi sempre più accelerati, è fondamentale avere il coraggio di agire. Sottolinea l’autrice: «Non basta più avere una buona idea. Bisogna essere capaci di realizzarla. E di farlo in tempi brevi».

Non senza difficoltà: perché creatività e produzione effettiva coinvolgono competenze diverse, con le aziende che faticano ad alimentare il flow creativo se non vi è una realizzazione concreta a breve termine. Agire implica provare, senza paura di sbagliare. «Sbagliare vuol dire “non esserci ancora riusciti”, è il magico potere del “non ancora” - rivela Galardi - Il coraggio di provare deve prevalere sulla cultura della colpa. È importante comprendere cosa si può imparare dagli errori, ovviamente quando non si tratta d’incuria, ma di sperimentazione».

Un coraggio, quello di fare, che i manager devono alimentare, fornendo feedback costruttivi e creando un ambiente carico di fiducia.

CORAGGIO DI ESSERE NELLA RELAZIONE

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Ascolto e fiducia: due parole chiave nel rapporto con l’altro, nelle relazioni personali come in quelle professionali. Ed è proprio questa la quarta dimensione presentata in “Coraggio”, dimensione che Galardi analizza da diversi punti di vista, partendo dal legame di autenticità tra il lavoratore e il paradigma valoriale dell’azienda per giungere alla rilevanza di una leadership altrocentrica.

«Non è sempre facile, ma è una questione molto attuale. Dar valore a ogni singola individualità: questo è essere inclusivi, nel rispetto dell’altro con le sue specifiche caratteristiche - evidenzia la docente dell’Università Cattolica - Oggi le aziende si sono rese conto che le culture più inclusive, cioè quelle più capaci, più accoglienti, sono quelle che poi generano il massimo vantaggio in termini d’innovazione perché sono capaci di ascoltare punti di vista anche molto diversi. E sono inoltre quelle realtà in cui le persone stanno meglio perché si sentono accolte per quello che sono, avvertono di poter essere autentiche».

CORAGGIO DI DECIDERE

Decidere

C’è tuttavia una dimensione, tra tutte quelle ben argomentate nel testo di Annalisa Galardi, che più di tutte evoca il tema del coraggio: decidere.

Abbandonare alcune vie, per privilegiare una singola opzione, implica rinunce. E difficoltà. Evidenzia l’autrice: «Quello della decisione è un momento molto delicato. Che porta il leader a una certa solitudine, perché – nonostante tutto e tutti – la persona che sceglie è una. Però è anche un momento positivo, quello in cui si accoglie il futuro nel presente, quello di una nuova strada da percorrere, affiancati da altre persone».  Chi sono allora i leader, i lavoratori, i professionisti coraggiosi di oggi? «Coloro che mettono saggezza nelle loro decisioni, facendo scelte al contempo lungimiranti e pro-sociali, ovvero persone che non diano il primato solamente ai risultati di breve periodo, ma che sappiano valutare le conseguenze anche in un'ottica di lungo periodo. Con un’attenzione agli effetti sulla collettività».

Perché – che l’azienda sia piccola, media o grande – non si può prescindere da un mondo, quello contemporaneo, sempre più interconnesso. Caterina Chiara Carpanè