Passaggio generazionale: le quattro competenze necessarie per trasformarlo in opportunità

Parola d’ordine: adeguarsi e prendere la giusta mira, che non significa rinunciare alla programmazione, ma lasciare anche spazio alla flessibilità e al cambiamento, senza paura di rivoluzionare gli approcci manageriali. Chi riesce a essere flessibile, evita un errore che potrebbe rivelarsi fatale: buttare ciò che appartiene al passato

passaggio generazionale

Il passaggio generazionale viene tendenzialmente vissuto come una fase critica, e in effetti spesso si rivela tale. Stando al più recente Rapporto sulle imprese Istat, nell’ultimo decennio poco più di un quinto delle imprese familiari (ovvero il 20,6 per cento) è arrivato al giro di boa; un terzo ha invece optato per la cessazione e soltanto il 13 per cento ha raggiunto la terza generazione. Ma c’è un altro dato, invece positivo: chi è riuscito a trovare la chiave giusta, affrontando il passaggio generazionale come un’opportunità di rilancio, nel 2021 ha visto incrementare i propri ricavi del 20,1 per cento. Una percentuale superiore alla media.   

Alessandra Tognazzo, ricercatrice e docente di family business all’Università di Padova, non è affatto sorpresa. Ricorda quel detto ormai famoso a proposito di Pmi: «La prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge». Ma sfatare le dicerie si può, eccome, sfruttando competenze e capacità che, se in possesso dei giovani imprenditori, si traducono in una leadership vincente. Dunque, in un’impresa non solo più longeva, ma anche più solida e fruttuosa. Da ogni punto di vista.   

FLESSIBILITÀ E APERTURA MENTALE

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I tempi sono cambiati, occorre quindi cambiare il modo di fare impresa. «Prima – riflette Alessandra Tognazzo – gli imprenditori potevano programmare e definire i piani d’azione con una certa precisione e anche a lungo termine. Oggi ci stiamo accorgendo che la pianificazione, quando si parla di imprese familiari, ha dei limiti notevoli». Perché siamo in un momento storico particolare, bene identificato dall’acronimo Vuca: Volatility, uncertainty, complexity, ambiguity.

Adeguarsi e prendere la giusta mira non significa rinunciare alla programmazione, «ma lasciare anche spazio alla flessibilità e al cambiamento, senza paura di rivoluzionare gli approcci manageriali». Chi riesce a essere flessibile, evita anche un errore che potrebbe rivelarsi fatale: buttare ciò che appartiene al passato. «È positivo avere nuove idee, però è sbagliato pensare di cancellare tutto, rivoluzionando completamente l’azienda».

L’heritage è un valore da coltivare, la generazione uscente può supportare i nuovi business cui guarda quella entrante, anche perché potrebbero diventare nel tempo le migliori soluzioni per adattarsi al cambiamento. Ma è bene che il processo sia graduale e portato avanti con cognizione di causa.    

DIALOGO E DIBATTITO

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La seconda competenza necessaria per una giovane leadership vincente si traduce in due parole: dialogo e dibattito. Troppo spesso il passaggio generazionale accende grandi conflitti, che di certo non giovano all’azienda. Saper dialogare, senza prevaricazioni e nel rispetto di tutti, è invece una capacità fondamentale. Come importante è saper gestire la divergenza di idee, tra l’altro assolutamente normale.

«Sono rarissimi – spiega Alessandra Tognazzo – i casi in cui si hanno le stesse idee e la stessa visione. È una cosa naturale e va bene così, purché sia sana. Intendo dire che è possibile mettere insieme gli insegnamenti e le tradizioni aziendali con una visione più attuale e anche orientata al futuro. Quindi le idee possono restare diverse anche a fronte di un confronto, ma si trovano comunque strade per creare qualcosa di positivo. Rimanere in dialogo per aumentare il dibattito: questo dovrebbe essere un obiettivo prioritario».

CAPACITÀ DI ANALIZZARE DATI COMPLESSI

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Occorre inoltre che la next gen sappia analizzare dati complessi. Quindi «non focalizzarsi su una o due cose e mantenerle distinte, ma comprendere come siano legate tra loro». Questa capacità trova l’esempio più interessante nella sostenibilità. Se ne fa un gran parlare, perché effettivamente rappresenta un argomento urgente e determinante, ma spesso le Pmi non sanno bene come passare dalla teoria alla pratica. O perlomeno, come farlo nel modo più giusto e completo.

«Non basta – continua l’esperta di family business – usare prodotti green, per dirne una. Bisogna maturare una visione globale, rivedere la maniera in cui si osservano le cose e i valori dell’impresa. Stabilendo nuove priorità».

Un’azienda sostenibile è un’azienda etica. Che dà il giusto valore anche alle persone e al loro benessere. Che riesce a trasmettere un sentire. La docente segnala un dato positivo quanto incoraggiante, che ha potuto verificare personalmente durante un’esperienza di insegnamento con studenti giovanissimi: «Ho capito che i ragazzi sono molto sensibili a determinate dinamiche riguardanti non soltanto l’ambiente circostante ma anche, appunto, le persone. Ho visto le loro reazioni quando abbiamo approfondito il modus operandi della fast fashion. È stato un segnale molto importante. Anche se c’è ancora molta strada da fare».

CAPACITÀ DI PRENDERSI LE RESPONSABILITA’

Infine, affinché la leadership giovane in una Pmi risulti vincente è necessario che sappia prendersi le responsabilità. Ma c’è da dire che in questo trova un ostacolo proprio nella generazione uscente: «Incontro diversi ragazzi – commenta Tognazzo - che vorrebbero entrare e lamentano di non trovare spazio. Non è una questione di cattiva volontà: la generazione uscente spesso ha paura di dare responsabilità a quella entrante e arriva a studiare tutte le soluzioni possibili per ridurle al minimo».

Cercare di ridurre i rischi è sacrosanto, «ma il passaggio generazionale deve comportare anche un passaggio di responsabilità. Perché è soltanto così che si impara a prendere decisioni». Nadine Solano