Pianificare per investire: avere le idee chiare aiuta

La cultura finanziaria deve essere patrimonio degli imprenditori. Investimenti bancari? Non sempre conviene

Cultura finanziaria nelle Pmi

Dritto al punto: «Ai privati, così come agli imprenditori, do lo stesso consiglio: per non farsi fregare, bisogna essere preparati». Paolo Coletti, docente di finanza computazionale alla Libera Università di Bolzano, youtuber di grande successo e divulgatore sui temi dell’educazione finanziaria, è un content creator che alla “filosofia” preferisce la realtà. Perché per gestire bene le proprie risorse bisogna conoscere i meccanismi che muovono i mercati.

Professore, una corretta educazione finanziaria aiuta l’imprenditore a gestire meglio le risorse aziendali e a presentarsi in banca con una maggiore consapevolezza?
Si deve sempre partire dall’importanza che riveste la gestione delle risorse in azienda. Infatti, spesso si parla della gestione aziendale come di un’entità distaccata da quella personale, eppure segue gli stessi principi. L’imprenditore, come il privato, deve farsi un’idea chiara delle funzioni del denaro: da un lato serve per pagare le tasse e investire in nuovi macchinari o in nuove assunzioni, dall’altro tutta quella parte di capitale che negli anni a venire non servirà all’attività potrà essere diretta verso gli investimenti in obbligazioni o azioni. Con le quali si investe in un’altra azienda. L’importante è investire seguendo una pianificazione temporale, e qui entra in gioco il rapporto con le banche: presentarsi a un istituto di credito con le idee chiare aiuta, perché si evita il rischio di acquistare prodotti spesso molto costosi ma poco adatti alla strategia dell’azienda, ai suoi scopi e ai suoi tempi. Poi, non è sempre detto che ad un imprenditore convenga investire: se questo ha un buon ritorno da ciò che fa ogni giorno, è bene che metta risorse nell’impresa.

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Da dove dovrebbe partire un piccolo imprenditore per muoversi con una certa sicurezza nell’ambito finanziario?
Un piccolo imprenditore che dispone di un patrimonio ingente da investire, dai 200mila euro in su, può affidarsi a consulenti finanziari autonomi. Si tratta di professionisti che consigliano i prodotti più adatti, e anche meno costosi, senza alcun conflitto di interesse e la cui consulenza costa circa l’1% del patrimonio gestito. Anche gli imprenditori potrebbero studiare il funzionamento delle obbligazioni e degli ETF azionari, che hanno basse commissioni di gestione e si negoziano in Borsa, come le azioni. Però, so benissimo che l’imprenditore è super indaffarato e non può tenere tutto sotto controllo: è per questo che nel suo staff dovrebbe avere qualcuno che possieda queste competenze.

Un’educazione finanziaria libera l’imprenditore dal bancocentrismo?
Le banche sono gli unici attori che hanno accesso al mercato, quindi da loro bisogna sempre passare. Ma se per il settore retail gli investimenti sono a basso costo, per gli imprenditori non troppo. Ricordo che l’attività di consulenza delle banche tende a piazzare prodotti che sono sì favorevoli al cliente, ma lo sono anche per l’istituto di credito perché i costi vengono scaricati sul cliente. Per evitare di incorrere in brutte sorprese – a volte i costi superano i rendimenti - serve una buona educazione finanziaria.

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Si parla molto di Fintech: una possibile soluzione per le piccole e medie imprese?
Si tratta sempre di intermediari finanziari, ma alcune Fintech non sono regolamentate: meglio evitare. È anche vero, però, che il mondo finanziario è in pesante evoluzione: l’imprenditore che ha tempo e voglia fa sicuramente bene a buttare l’occhio al di là della realtà locale alla quale è abituato. L’importante è affidarsi a strutture serie, anche estere, purché attive all’interno dell’Unione Europea. In sintesi: è sempre una buona prassi avere un aggancio con una banca locale perché gli intermediari online, o le banche estere, se ci dovessero essere problemi limiterebbero immediatamente l’accesso al denaro. Come privato tendo ad usare entrambi: lo consiglio anche alle imprese.

Un’impresa preparata in ambito finanziario è considerata più solida?
La solidità di un’azienda si vede più dal suo business che da come gestisce i suoi investimenti, che di certo non rappresentano il punto centrale per una tipica azienda italiana. Senza dubbio, però, si costruisce una relazione diversa perché il funzionario della banca sa che si sta confrontando con un interlocutore preparato. Quindi, c’è maggiore attenzione sulla proposta dei prodotti perché si conosce bene il profilo di rischio dell’impresa.

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Sono le stesse banche a chiedere agli imprenditori di essere più preparati sotto il profilo finanziario?
Spezzo una lancia a favore delle banche: se da un lato ci sono realtà alle quali fa senz’altro comodo relazionarsi con imprenditori che ignorano i fondamenti dell’educazione finanziaria, dall’altro ci sono istituti di credito che invece li incoraggiano a informarsi. Il problema è che il cliente, solitamente, non si lamenta dei costi dei prodotti ma del fatto che gli investimenti vanno male. È per questo che una persona educata a livello finanziario farebbe tanto comodo anche alle banche, perché sa cosa accade al mondo e sui mercati e le proteste nei confronti dell’istituto di credito sarebbero minori. Il vero problema sorge quando il cliente è profilato in modo errato. Non tutte le banche sono uguali.

Esiste un rapporto tra educazione finanziaria e criteri ESG?
I criteri ESG vanno di gran moda, ma al momento non procedono di pari passo con l’educazione finanziaria. Anzi, si tratta di due mondi lontani. Il fatto è che l’educazione finanziaria, così come tutte le discipline, aiuta ad ampliare le nostre conoscenze perché ne aggiunge sempre di nuove a quelle che già abbiamo. Quindi, è un aiuto valido anche per capire cosa sono i criteri ESG e quali prodotti sono classificati come sostenibili. Aiuta l’imprenditore a porsi qualche domanda su cosa, come e quando si deve investire. Davide Ielmini