Quando l’impresa non basta a sé stessa: il valore dell’ecosistema
Come cambia il ruolo delle Pmi nel contesto produttivo italiano: dalla subordinazione alla grande impresa a partner strategici

Nel mondo produttivo contemporaneo, caratterizzato da incertezza e cambiamento costante, le piccole e medie imprese italiane si trovano di fronte a una trasformazione profonda. Devono ripensare il loro ruolo nella filiera: non più semplici fornitori, ma partner attivi e insostituibili.
Il professor Fabio Nonino, ordinario di Ingegneria Gestionale e docente di Project Management all’Università La Sapienza di Roma, propone sul tema una chiave di lettura alternativa al tradizionale approccio lineare: quella dell’ecosistema produttivo. «Più che parlare di sistema, preferisco parlare di ecosistema: un ambiente dove vi è una fitta rete di attori interdipendenti. Un contesto dove grandi e piccole imprese convivono e cooperano, spesso in prossimità territoriale», afferma Nonino. È un cambio di paradigma, che chiede di superare la visione gerarchica e verticalizzata della produzione, per approdare a un modello fatto di relazioni simbiotiche e flessibili.
DA PIETRA ANGOLARE A CHIAVE DI VOLTA
Nel panorama italiano, la presenza di grandi aziende ha storicamente plasmato interi distretti industriali. Ma secondo Nonino, è necessario ridefinirne il ruolo: «Abbiamo esempi storici di territori costruiti attorno a grandi imprese, come Electrolux tra Pordenone e il Veneto, Fincantieri a Monfalcone, e tutte le eccellenze italiane ed internazionali che ben conosciamo. In passato alcune aziende (non quelle che ho nominato) talvolta si sono comportate da dominatori orientati ad assorbire valore, ma dovrebbero essere invece delle Keystone, imprese “chiave di volta” che lo redistribuiscono per valorizzare l’intero ecosistema». Questo significa favorire la crescita dei fornitori, stimolare l’innovazione diffusa, condividere opportunità anziché accentrarle. È un invito, soprattutto per le multinazionali estere presenti in Italia, a non vedere il territorio come una semplice base operativa, ma come una risorsa da far crescere. «Il rischio è che l’impresa straniera assorba tutto il valore e, a un certo punto, decida di andarsene. In quel caso, tutto l’ecosistema collassa. Per questo è fondamentale un approccio che tenga conto del territorio come valore in sé» sottolinea il professore.
PIATTAFORME E INNOVAZIONE DIFFUSA

Un tema centrale nella visione di Nonino è quello della piattaforma: un prodotto o servizio che diventa base per l’innovazione di più attori. «L’iPhone non è solo un prodotto: è una piattaforma. Intorno a esso si sviluppano app, software, servizi. Anche un’automobile, una cucina, un impianto industriale possono diventare piattaforme. Su queste si innestano soluzioni e contributi di diversi fornitori» è l’esempio fatto dal docente. Questa logica permette anche alle Pmi di esprimere tutto il proprio potenziale, se la grande impresa accetta che l’innovazione possa nascere “dal basso” e non solo al proprio interno. «All’interno di un ecosistema, l’innovazione emerge dal basso e si autogenera. Bisogna accettare che anche una piccola impresa possa introdurre una soluzione che arricchisce il prodotto finale. Questo implica una rivoluzione culturale» spiega ancora Nonino.
INTERDIPENDENZA, NON INDIVIDUALISMO
Secondo Nonino, uno dei nodi principali resta culturale: passare da un approccio competitivo a uno competitivo-collaborativo: «La sfida è uscire dalla logica dell’individualismo: ciascuno per sé, ognuno che massimizza il proprio interesse. Bisogna invece accettare l’interdipendenza: il destino di tutti gli attori di un ecosistema è comune». Una lezione che vale anche per le relazioni tra Pmi, spesso concorrenti sullo stesso territorio. Ma Nonino non demonizza la competizione: al contrario, ne riconosce la funzione, purché non diventi autodistruttiva. «Già anni fa si parlava di coopetition: competizione e collaborazione insieme. Se competiamo solo per il margine, il rischio è che muoiano tutti. Meglio creare piattaforme condivise, dove il valore cresce per tutti, e ciascuno diventa più forte» sottolinea.
LA FORZA DELLA NICCHIA

Nonino individua nella strategia di nicchia una delle strade più efficaci per le Pmi che vogliono diventare partner insostituibili: «Una piccola impresa molto specializzata, che sviluppa un prodotto o un servizio innovativo e riconosciuto come ad alto valore, può creare un fenomeno di lock-in. Anche se la grande impresa si sposta altrove, non potrà fare a meno di quel fornitore».
Per raggiungere questo livello, servono alcuni fattori chiave:
- un altissimo grado di specializzazione;
- differenziazione chiara e continua innovazione;
- investimenti nel capitale umano e nella formazione;
- connessione stretta con il contesto locale.
«Produrre commodities, ovvero prodotti o servizi a basso valore aggiunto è una strategia perdente. La vera sfida è innovare, formare, trattenere competenze nel territorio» aggiunge il professore.
ECOSISTEMA DI PERSONE E ISTITUZIONI
Il territorio, per Nonino, non è solo uno spazio economico: è un contesto sociale e umano che deve essere preservato e valorizzato: «Il territorio è un valore non negoziabile. La sua perdita significa la morte del territorio stesso. Le persone devono avere un luogo dove vivere con qualità, non solo lavorare».
Per questo, un ecosistema produttivo deve includere anche:
- scuole e università che dialogano con le imprese;
- istituzioni pubbliche proattive;
- banche e finanziatori che sostengano il rischio imprenditoriale;
- una rete sociale e infrastrutturale che favorisca la permanenza e la crescita delle persone.
«Alla fine, gli studenti ambiscono a lavorare nelle grandi imprese. Ma ci sono medie imprese d’eccellenza dove i giovani possono crescere e innovare. Bisogna creare contesti in cui questo diventi possibile» aggiunge.
DALLA VENDITA AL SERVIZIO

Uno degli snodi più profondi riguarda il passaggio da un’economia del prodotto a una del servizio. Un cambiamento che riconfigura la filiera e impone nuovi modelli di business: «Non si acquista più un prodotto, ma un servizio».
In questo contesto, anche le Pmi devono:
- saper integrare tecnologia, consulenza e servizio;
- adattarsi a filiere più corte, dinamiche e orientate all’uso;
- contribuire allo sviluppo di piattaforme-servizio innovative.
«Le medie imprese, a volte, innovano più delle grandi. Perché la grande impresa è spesso bloccata dalla logica del fondo: deve rendere ai suoi investitori. La media impresa, invece, innova per sopravvivere» afferma il professore.
VANTAGGI MISURABILI MA NON GARANTITI
Il modello ecosistemico porta benefici misurabili, ma richiede visione, coordinamento e continuità: «Il vero vantaggio è la crescita del valore complessivo: si sviluppano relazioni, competenze, opportunità. Cresce il capitale sociale e intellettuale del territorio».
I segnali tangibili di un ecosistema sano sono:
- maggiore internazionalizzazione delle imprese;
- stipendi più alti e ricchezza distribuita;
- infrastrutture e servizi adeguati;
- crescita culturale e formativa del territorio.
«Questi risultati si vedono, ma vanno mantenuti. È questo il vero problema: rendere sostenibile nel tempo il valore generato. Altrimenti, tutto si perde» conclude il professor Fabio Nonino (1. continua). Annarita Cacciamani