Uno dei problemi più grandi che imprese e lavoratori si trovano ad affrontare oggi è la procrastinazione, una tendenza sempre più diffusa, specialmente quando si parla di lavori di concetto, digitali e di servizi. Per chi non lo sapesse la procrastinazione è la tendenza a rimandare o posticipare un’attività che dovrebbe essere svolta, spostandola in un momento successivo.
In altre parole, si tratta di ritardare l’esecuzione di un compito o di una responsabilità, anche se ciò può comportare conseguenze negative come il mancato rispetto delle scadenze o la diminuzione della qualità del lavoro svolto. «Ciò può accadere sia per compiti lavorativi che per decisioni a livello mentale, non solo fisico. Infatti, spesso la procrastinazione è consapevole e si è ben consci delle conseguenze del proprio comportamento», spiega Anna Pompele, psicologa del lavoro, counselor e formatrice.
Pompele spiega quindi che la procrastinazione può essere influenzata da diversi fattori psicologici e può avere un impatto significativo sulla produttività al lavoro, ma anche sulla qualità della vita delle persone. «Può essere motivata dalla volontà di guadagnare tempo o dall’evitare di svolgere compiti poco graditi, questo a discapito delle priorità aziendali. In questi casi, le attività importanti vengono sostituite da attività meno urgenti, ma più piacevoli», afferma la psicologa, la quale spiega che la sostituzione può avvenire anche in modo consapevole e strategico, diventando un “rimandare organizzato” che ha un’altra natura. In alcuni casi la procrastinazione è la manifestazione di un’insicurezza rispetto alle proprie capacità, della mancanza di autostima, di frustrazione rispetto a un compito affidato che non è così gradito.
Non sempre, però, è l’espressione di un problema, ma può essere anche a valle di uno stato mentale, come la ricerca della perfezione. «Essere perfezionisti non è un difetto in sé, poiché la ricerca di qualità e produttività può rappresentare un vantaggio per l’azienda – spiega ancora Pompele – All’interno di un’azienda le persone che cercano sempre di migliorarsi e alzano l’asticella sono in genere validi collaboratori. Tuttavia, se il perfezionismo diventa eccessivo e si traduce in mancanza di autostima, stress e mancanza di autocontrollo, diventa un autogol». In questo contesto entra in gioco l’azienda, per la quale è importante definire obiettivi chiari e raggiungibili.
«Si pensi anche che molti imprenditori e manager sono loro stessi dei perfezionisti, quindi si capisce che questo comportamento può essere utile se gestito in modo appropriato», prosegue la psicologa del lavoro.
In ogni caso la procrastinazione rappresenta un problema per l’azienda, poiché comporta la perdita di produttività e di opportunità, ma anche un aumento di costi. La mancata presa di decisioni tempestive può impedire all'azienda di reagire in modo rapido ed efficace alle situazioni che si presentano.
Per risolvere il problema è bene tenere a mente che «la procrastinazione non è una patologia, ma un’abitudine che può essere modificata – prosegue Pompele – Il titolare dell’azienda o il manager, possono aiutare i collaboratori identificando la causa della procrastinazione che, come abbiamo detto, può essere dovuta a pigrizia, mancanza di motivazione, timore di insuccesso, distonia di valori o anche perfezionismo. La gestione dello stress e il senso di colpa sono anche importanti fattori da considerare».
Talvolta succede che da parte dell’azienda ci sia confusione nell’identificazione appunto del compito, quindi dell’obiettivo, nel processo aziendale, nelle regole, nelle tempistiche, oppure l’obiettivo è fuori portata, fuori dal controllo del collaboratore, e quindi questa persona va “in tilt”, in sofferenza, e esprime questo stato d’animo in questo modo, rimandando il compito, proprio perché non si ritiene all’altezza in quel momento, non ritiene di avere le competenze, o non ha capito. Quindi la procrastinazione può derivare da molte cause diverse, che possono anche coesistere contemporaneamente.
L’azienda può svolgere un ruolo cruciale per risolvere, o quanto meno minimizzare, il problema. Secondo l’esperienza di Pompele, innanzitutto è importante la consapevolezza, sia da parte del collaboratore che del manager o titolare dell’impresa, in modo da intercettare il problema, fermarsi, analizzarlo e cercare una strategia diversa per rendere consapevoli i dipendenti e centrare le scadenze. A seconda dei casi, l’azienda può:
«Tutto questo dovrebbe essere fatto in collaborazione tra l’azienda e i dipendenti, in modo da trovare un equilibrio tra ciò che serve all’azienda e ciò per cui le persone sono preparate o sono pronte a fare» prosegue Pompele.
Infine, non va sottovalutato l’aspetto personale, della vita dei lavoratori, che è importante come quello lavorativo. «Alcune attività come mindfulness, respirazione e training autogeno possono aiutare ad aumentare la consapevolezza e pianificare meglio le attività di un collaboratore – conclude Pompele – Per queste attività l’azienda può anche chiedere aiuto a dei professionisti esterni, ma la soluzione migliore è spesso all’interno del gruppo di lavoro stesso, attraverso la collaborazione e la ricerca di soluzioni mirate a seconda dei compiti affidati».