Sei dipendenti, fatturato immutato nonostante gli anni di crisi, impresa da tre generazioni – nonno, papà e ora lui, Gianni Cleopazzo con la sorella Mariangela - e da oltre 30 anni a Varese. Classe 1968, studi al Liceo Scientifico, un servizio su Capital nel 2010 (che ha inserito la sua sartoria tra le prime dieci in tutta Italia) e in bottega dall’età di diciotto anni.
Un po’ tardi, non crede?
Senza dubbio, però la mia non è stata una scelta ma una vocazione. Inizialmente odiavo il lavoro dei miei genitori: erano sempre in bottega. Poi ci ho ripensato, nonostante i miei credessero fossi troppo grande per cominciare. Nonostante tutto, ce l’ho fatta.
Sartoria Vergallo, anzi atelier: esclusivamente da uomo. Con il prodotto di nicchia si può superare la crisi?
Sì, anche se per noi parlare di crisi è difficile. Però, se negli anni scorsi ad aprile non si accettava più lavoro per la stagione estiva, ora lo si accetta sempre.
Il principio che un buon sarto non deve mai tradire?
Esiste una regola assoluta: l’onestà nei confronti del cliente legata al prodotto.
Ovvia, no?
L’onestà può essere ovvia, ma negli ultimi anni sono nate tantissime false sartorie che promettono l’abito “su misura”. La misura in effetti c’è, ma è a livello industriale. La piega è fatta con la pressa e l’abito che porto io lo può portare chiunque. Oggi, nel pubblico, manca la reale percezione dell’abito sartoriale: per un capo ci vogliono quaranta ore di lavoro e tutto dev’essere fatto a mano. Qui si fanno abiti che possono essere indossati solo ed esclusivamente dal cliente che li ha ordinati, perché modellati su di lui.
Mi permetto: il discorso non fa una piega…
…La forma è data dalla lavorazione, ma il capo lavorato da un artigiano deve fare le pieghe. E’ bene che non esista la perfezione: è una qualità, non una pecca.
Lei si sente più artigiano o più artista?
Come dice mia sorella, sono un artigiano nel cervello.
Parliamo di clienti: quali sono i più esigenti, i più eleganti, i più capricciosi e i più coraggiosi?
Italiani, italiani e ancora italiani. Per il coraggio cito i francesi, perché è anche grazie a loro se mi sono impegnato su abiti al di fuori dei miei standard.
E gli inglesi?
Vogliono sostanza e nessun fronzolo: abito intero, grigio o blu. Per loro, l’abito è da lavoro.
Come ha fatto a conquistare clienti in tutto il mondo?
Con il passaparola, perché i miei abiti sono il mio miglior biglietto da visita. Così è accaduto che un ingegnere italiano parlasse di me ai ministri del Ciad, e sono entrato in contatto. Sa, chi si rivolge al mio atelier è di ceto medio-alto, quindi le conoscenze hanno la loro importanza.
Cosa è la moda per un sarto?
Sono in sartoria da 22 anni e molti mi chiedono: “Cosa va adesso?”. Quello che andava 20 o 40 anni fa. E’ cambiata solo la vestibilità ma non la modellistica: giacca a due o tre bottoni, un petto o doppiopetto, con spacco o senza. Poi si deve tener conto di un certo approccio, da parte del pubblico, televisivo e visivo nei negozi. Alla moda ci si adegua, ma rendendo tutto molto sobrio.
Cosa è l’impresa per lei?
Il mio laboratorio.
Si parla di riscoperta degli antichi mestieri artigiani. Quanto c’è di antico nella sua bottega?
Da 30 anni le lavorazioni sono sempre le stesse: 90% affidate alla manualità, 10% alla stiratrice che possono avere in casa tutte le mamme.
Ma lei con i suoi clienti ci sa fare: li coccola?
Sono io a volare a Praga, Parigi o Londra per le prove degli abiti. Diciamo che il cliente lo si deve viziare, lo si asseconda e lo si accontenta. Abito per il fine settimana in poco tempo, l’orlo urgente per i jeans, le fodere delle giacche da sistemare: ci si rende disponibili.
Un rapporto esclusivo che si fa confidenziale?
Io incontro il cliente almeno quattro volte prima di consegnare il lavoro: è quasi automatico passare dal Lei al Tu. Alcune volte mi diverto a pensare che sono uno dei pochi a vedere il proprio cliente in mutande. Ovviamente escluso il medico. Capirà, quando hai di fronte uno senza pantaloni meglio darsi del tu, no?
Che idea si è fatto della crisi economica?
Abbiamo vissuto per troppi anni in un mondo finto dove tutti potevano avere ciò che volevano senza averne però le possibilità. E così sono nate tante attività senza alcuna competenza: era inevitabile arrivare al punto di rottura. Soprattutto quando si vende ciò che non c’é. Nel mio lavoro, invece, si crea dal nulla.
E Capital l’ha premiato…
…Avrebbe dovuto premiare anche altre sartorie, ma sui prezzi siamo competitivi: noi vendiamo un abito completo a 1.300 euro; lo stesso, a Milano, costa dai 2.400 euro in su.
La sua più grande soddisfazione?
Non la più grande ma la più bella: quando un mio cliente ha ricevuto i complimenti da Luca Montezemolo per l’abito che indossava. E lui mi ha telefonato davanti al presidente.
Il suo primo errore?
Quando si comincia, non mancano. E tante volte ho piantato l’ago e me ne sono andato. Il trucco sta tutto nel formare la mano, ma prima arriva lo studio. E’ ciò che dico qui in bottega: ragazzi, prendete il diploma e se volete continuate. Oppure, considerate il laboratorio come la vostra università.
Educare al lavoro?
Certo. E soprattutto trasmettere i segreti del mestiere, perché la crisi della sartoria è stata data proprio dal fatto che molti imprenditori hanno tenuto per loro quelle lavorazioni particolari che fanno di un apprendista un sarto. Poi, grazie anche ad alcuni grandi nomi del nostro mondo si è scoperto il giusto valore della sartoria con tutta la storia del fare abiti. La gente deve sapere come stanno le cose, ed ora si sa qualcosa in più.
Però, cosa non va?
Le istituzioni dovrebbero impegnarsi su due fronti: dare la possibilità agli imprenditori di poter accedere anche ad una minima liquidità (microcredito) e permettere ai giovani di aprirsi la loro bottega, ed elaborare azioni mirate per l’assunzione. Le micro e piccole imprese devono essere aiutate nel poter assumere personale. Pensi ad una sartoria: camiciaia, pantalonaia e sarta. Con qualche agevolazione, i posti di lavoro si moltiplicherebbero. L’artigianato non dà solo lavoro: lo crea.
E’ questa l’importanza dell’artigianato per il futuro dell’Italia?
Senza dubbio, perché si tratta di settori che possono garantire un buon bacino di lavoro. Guardiamoci in faccia: tempo fa gli italiani hanno abbandonato i “lavori umili” per l’università; ora incontro i vecchi amici di liceo, tutti laureati, che mi dicono “hai fatto la scelta giusta”. Meglio rivalutare ciò che si è lasciato.
Come sogna il futuro del suo atelier?
La sartoria è un ambiente prettamente maschile. In aprile il laboratorio si sposterà al piano superiore, così forse riuscirò ad aprire il club Vergallo. Un ritrovo di clienti dove ci si possa rilassare bevendo un drink e parlare di come va il mondo. Una sorta di punto di riferimento per riprendersi dal lavoro e poi fare ritorno a casa.
Ad un giovane consiglierebbe di fare l’artigiano, vero?
Per tutta la vita.
SARTORIA VERGALLO
Via Rossini, 14
21100 - Varese (Italia)
Tel. 0332 231072
Mail. info@sartoriavergallo.it