Report e analisi dei risultati per la sostenibilità "sostenibile"
La transizione sostenibile offre vantaggi competitivi per le imprese se vista come investimento, non imposizione
Transizione sostenibile: quanto è importante che diventi un investimento per le imprese, anziché un’imposizione? Andrea Urbinati, ricercatore di Strategy & business design alla scuola di ingegneria industriale della LIUC Università Cattaneo di Castellanza, ne parlava in un articolo sul quotidiano Il Sole 24 Ore. Lo firmava insieme a Pierluigi Zerbino, ingegnere gestionale e ricercatore all’università di Pisa.
«È importante – spiega ora Urbinati – che la transizione sostenibile sia percepita come un’opportunità di investimento, non come un obbligo imposto dall’esterno, perché è solo attraverso questo cambio di prospettiva che le imprese possono trasformare le sfide legate alla sostenibilità in vantaggi competitivi tangibili. Adottare pratiche sostenibili non solo migliora l’efficienza energetica e riduce i costi operativi a lungo termine, ma rafforza anche la reputazione dell’azienda. Questi aspetti rappresentano solo alcuni dei segnali attraverso i quali è possibile vedere la transizione verso la sostenibilità come un motore di crescita, piuttosto che un onere. Non bisogna infatti dimenticare che le imprese che investono nella sostenibilità godono di una maggiore fidelizzazione dei clienti, che sempre più spesso preferiscono prodotti e servizi provenienti da aziende responsabili dal punto di vista ambientale e sociale».
Allo stesso modo, la transizione sostenibile non può essere affrontata efficacemente da un singolo Paese, ma richiede un piano industriale integrato a livello europeo poiché le sfide ambientali, come il cambiamento climatico, l’inquinamento e la gestione delle risorse naturali, sono problemi globali che superano i confini nazionali.
Secondo l’esperto, gli interventi dei singoli Stati, sebbene importanti, rischiano di essere insufficienti se non coordinati su scala più ampia. Un approccio che coinvolge tutti i Paesi europei garantisce l’adozione di standard e pratiche comuni e obiettivi condivisi al fine di affrontare le sfide della transizione sostenibile in maniera coordinata, evitando squilibri competitivi tra i Paesi membri.
«Fortunatamente – prosegue Urbinati – abbiamo alcuni segnali dall’Europa che riflettono questa visione d’assieme sulla sostenibilità, dagli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 al Green Deal europeo, fino alla Tassonomia EU».
Spesso per le aziende il peso della transizione sostenibile è duplice: investimenti in macchinari e competenze da una parte, e riduzione della competitività nei confronti di aziende in Paesi meno attenti alla sostenibilità. Come affrontare questo problema senza rallentare la transizione sostenibile? Urbinati: «Per affrontare con efficacia gli investimenti in risorse e competenze senza compromettere la propria competitività, le aziende devono vedere la transizione sostenibile come un’opportunità a lungo termine. Investire in tecnologie efficienti e competenze avanzate migliora la produttività e riduce i costi operativi, trasformando le sfide in vantaggi competitivi. Quindi, gli investimenti in pratiche sostenibili non devono favorire solo il risultato economico, sociale e ambientale di breve periodo, ma veicolare la sostenibilità sul lungo periodo».
«Deve essere chiaro che le aziende da sole non possono riuscirci, soprattutto alla luce del vincolo della scarsità di risorse finanziarie con le quali operano. In questo caso sia i policymaker che gli stakeholder finanziari giocano un ruolo chiave per permettere alle nostre imprese di superare la barriera economico-finanziaria e raggiungere un giusto bilanciamento tra sostenibilità e competitività».
Non si deve dimenticare come, con una numerosità di oltre il 90 per cento sul totale delle aziende presenti in Europa e impiegando una porzione consistente della forza lavoro, le Pmi rappresentano l’ossatura del nostro sistema industriale e non possono non essere messe al centro della transizione sostenibile. Non si tratta solo di una questione etica, ma di pura logica numerica: se vogliamo davvero avere un impatto significativo dal punto di vista della neutralità climatica, così come un maggiore impatto sulla nostra economia e sulle persone, dobbiamo fare in modo di supportare queste imprese a 360 gradi. Per farlo, non possiamo limitare la sostenibilità alle sole grandi aziende. Si tenga anche conto di come non è facile stabilire quale sia il miglior investimento per le imprese che vogliono intraprendere la transizione sostenibile, poiché dipende dalle peculiarità di ogni azienda: settore, dimensione e modello di business.
«Altrimenti detto – conclude l’esperto – non esiste una soluzione “one-size-fits-all”. Ad esempio, nel caso di un’impresa manifatturiera, una strategia potrebbe essere quella di partire dall’adozione di pratiche che non stravolgano il business, come i più riconosciuti interventi di efficientamento energetico, per poi passare gradatamente a pratiche più complesse che possono significare maggiore invasività sui processi, come l’adozione di nuovi materiali per la realizzazione dei prodotti, il ridisegno delle linee di produzione, l’integrazione di nuove tecnologie nei processi. Due strumenti su tutti possono aiutare a percorrere questo cammino. Il primo è il reporting di sostenibilità, disciplinato dalla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive (UE) 2022/2464) e dagli standard di rendicontazione ESRS (European Sustainability Reporting Standards), emanati dall’ EFRAG (European Financial Reporting Advisory), e recepita in Italia il 30 agosto di questo anno con decreto legislativo in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il reporting di sostenibilità permette alle aziende di capire gli impatti che le questioni di sostenibilità possono avere sul loro business e al tempo stesso di comprendere quale impatto esse possano avere sulle questioni di sostenibilità».
«In parole povere, grazie al reporting, le imprese possono costruirsi una propria strategia di sostenibilità, quindi un piano dettagliato di obiettivi di sostenibilità e di azioni per raggiungerli, che risponde anche alle richieste crescenti di trasparenza da parte di clienti, investitori e normative».
«Il secondo strumento è la misurazione. Definiti obiettivi e azioni, questi devono poi essere misurati, al fine di valutare nel tempo l’andamento del proprio cammino di transizione verso una maggiore sostenibilità del proprio business e identificare le aree di miglioramento. In ambito energetico, ad esempio, l’analisi del ciclo di vita (LCA) di un prodotto e/o il calcolo dell’impronta carbonio possono consentire alle imprese di comprendere in modo chiaro dove agire per ridurre l’impatto ambientale. Quindi reporting di sostenibilità e misurazione possono rappresentare oggi per le imprese alcuni degli strumenti più rilevanti per pianificare gli interventi di breve, medio e lungo periodo in ambito sostenibilità, a monitorarne le prestazioni nel tempo, a identificare eventuali aree critiche su cui focalizzare i propri interventi di miglioramento». Davide Maniaci