di Gianfranco Fabi *
La sfida è tanto semplice da affermare quanto complessa da mettere in pratica. Trasformare i punti di crisi in opportunità. Viviamo in un momento in cui le emergenze si sommano, si intersecano, moltiplicano i loro effetti negativi: dalla pandemia all’aggressione all’Ucraina, dall’esplosione dei costi dell’energia alla ripresa galoppante dell’inflazione, dalla fine del mondo aperto agli scambi globali alle incertezze sui mercati finanziari.
Mai come in questo periodo è allora importante mantenere in primo piano gli elementi positivi, quelli attorno ai quali è possibile costruire una visione di futuro capace di valorizzare i molti aspetti che già in questi ultimi mesi hanno dimostrato capacità di resilienza, di adattamento ai nuovi scenari, di volontà di trovare nuove strade di crescita.
Al di là delle valutazioni politiche tra le novità del nuovo governo guidato da Giorgia Meloni c’è un significativo cambiamento di nome: il Ministero dello sviluppo economico è stato ribattezzato Ministero delle imprese e del made in Italy. Una scelta che indica, almeno nominalmente, una valutazione ben precisa: lo sviluppo non può che nascere dalle imprese ed è sulle imprese che vanno concentrati gli sforzi per dare competitività al Paese.
Parlare di competitività vuol dire allora parlare di politica industriale. Mai come ora l’Italia ha bisogno di quello che potremmo chiamare un ecosistema favorevole alle imprese. Non solo e non tanto bonus e sussidi, che peraltro sono stati importanti per affrontare i momenti più difficili, quanto la riscoperta della capacità dello Stato di far funzionare il mercato. E quindi meno burocrazia e più confronto aperto, meno pressione fiscale e forte semplificazione di processi e procedure.
L’Italia ha il più basso tasso di occupazione tra i paesi europei. Questo vuol dire che vi è una forte carenza di competenze per rispondere alle potenziali offerte di lavoro e questo sollecita una diversa e più coraggiosa strategia dell’educazione e della formazione.
In Italia negli ultimi anni la crescita della produttività è stata la più lenta d’Europa, quasi un passo del gambero. È un indicatore dell’insufficiente flusso finanziario per gli investimenti in ricerca&sviluppo, nonostante che la quota di risparmio resti a livelli più alti d’Europa.
L’Italia ha i tempi più lunghi nella definizione degli appalti, nell’esecuzione dei processi, nell’assegnazione di licenze e autorizzazioni. Una tendenza che rende ancora più esplicite le carenze burocratico-istituzionali, le necessità di semplificare insieme alla capacità di acquisire rapidamente le grandi opportunità dell’informatica e delle comunicazioni.
Ogni sistema economico ha bisogno di regole chiare, rispettate e fatte rispettare. Ha bisogno che la concorrenza non venga travolta da monopoli e posizioni dominanti. Ha bisogno di potersi adattare con flessibilità alle mutevoli condizioni dei mercati. E questo vale soprattutto le piccole e medie imprese e soprattutto per un territorio come quello varesino che ha dimostrato e continua a dimostrare la capacità di competere con le regioni più dinamiche d’Europa.
* Giornalista ed editorialista