A pensarci bene, sono quasi 15 anni che il mondo vive una fase di choc ripetuti, intermittenti, a intervalli regolari. La domanda è lecita e sorge spontanea: in un contesto internazionale come questo, venato da conflitti bellici ma anche da divisioni in nuovi blocchi di influenza, come è cambiata, o è destinata a cambiare la catena del valore? E, ancora, la carenza di materie prime, che continua ad essere un problema per le nostre imprese, come incide sulla catena del valore e sulla possibilità, per le Pmi, di mantenersi competitive sul mercato? A queste e ad altre domande di strettissima attualità ha risposto il professor Rodolfo Helg, ordinario di economia politica della Liuc Università Cattaneo nell’ultimo item firmato Confartigianato Imprese e Territorio in occasione della diretta Item “Le catene del valore: si va verso il Km0?”.
«Dalla grande recensione del 2008 in poi – esordisce l’esperto – conto uno choc economico e due choc politici, cioè la Brexit e l'ascesa politica di Trump, con la conseguente guerra commerciale contro Cina e Stati Uniti. Poi ecco la pandemia di Covid, choc immenso di carattere sanitario ma che ha poi coinvolto ogni settore della nostra esistenza. Ora l’invasione dell’Ucraina: come fai a dare una lettura serena, subito dopo?».
Lo choc, quindi, e scusate la ripetizione ma nessuna parola rende meglio l’idea, ha coinvolto il processo produttivo, da tempo in giro per il mondo, con basi diverse. Siano esse Shanghai, Seoul, Kuala Lumpur. Questo meccanismo a lungo ha portato ad un’efficienza economica generale e che ora sta arretrando. “Homeshoring”, “nearshoring” o “friendshoring” sono concetti di cui ormai si parla sempre di più. Cioè si arretra, si torna a casa o comunque più vicini. O, in ogni caso, si va altrove, come dalla Cina al Sudest asiatico.
«L’invasione ucraina della Russia – prosegue il professor Helg – ha avuto un impatto indiretto nel costo delle materie prime e ha creato grandi problemi alle aziende più piccole, dato che sono aumentati i trasporti e la delocalizzazione è risultata improvvisamente meno conveniente dato che l’Unione Europea è carente di materie prime, che quindi devono arrivare dall'estero. Si alzano i costi e si dilava il processo produttivo. Gran parte delle catene del valore erano nate perché era più efficiente produrre in quel modo, e a costi inferiori. Andare in Asia conveniva, e poche aziende facevano analisi serie di rischio. Ora è fondamentale. Un consiglio ovvio: abbiate almeno due fonti di approvvigionamento della materia prima».
Ma quindi, il Km0 esiste nelle prospettive di mercato? Helg: «Il punto chiave è sapere come avviene. Se l'analisi del rischio tiene conto di costi e benefici, va bene. Attualmente sono le imprese che hanno scelto l'attuale allocazione della produzione nelle catene del valore. Tanti guadagni sono stati generati negli ultimi 60 anni, grazie alle esportazioni. Ora però cambia la riallocazione. Il gap tra salario medio cinese ed europeo si è andato riducendo nel tempo: è un segnale che la convenienza a produrre lì per motivi di costo si è ridotta. Anche la tecnologia ha fatto sì che una serie di processi produttivi non abbiano più bisogno di lavoratori non qualificati. Quindi non ha più senso andare a cercare questi ultimi dove costano poco”. “Vedendo dall'esterno – prosegue il professore – l’azienda deve sempre guardare se ci sono fornitori più efficienti o se possono ridurre il rischio. Un’attività che deve essere continua nel tempo e non specifica di questo periodo di turbolenze economiche politiche, militari, sanitarie».
Nel recente incontro a Bali, in Indonesia, i due leader Biden e Xi si sono stretti la mano, sorridenti. Dopo anni senza rapporti, magari ora ridiscuteranno la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e i dazi imposti. Un dazio è fondamentale sulle scelte d’impresa, e le Pmi devono stare particolarmente attente perché spesso non hanno la forza per affrontare cambiamenti drastici. Possono però innovare velocemente e colmare il ritardo. Ora si parla tanto di “politiche industriali”. «Spero però – conclude l’ospite – che lo Stato stia attento a come interviene: in passato ha fatto disastri. Servirebbe, questo è certo, che all’interno delle Pmi siano diffuse le nuove tecnologie».