Come dare valore all’impresa in un momento di massima incertezza come quello del post-pandemia. Prova a spiegarlo, dando qualche linea guida, Chiara Mauri, direttore della scuola di economia e management dell’università Cattaneo di Castellanza, protagonista della diretta di Item d’Impresa di Confartigianato Imprese Varese.
«Navigare a vista non è più possibile, ma per me non lo è mai stato - spiega la prof. Mauri - L’incertezza va prevista e governata con un approccio flessibile. Pensiamo solo a cosa può aver determinato la nave incagliata nel canale di Suez, per non parlare della nuova ondata del Covid: il ridisegno dei processi logistici, l’allungamento dei tempi di consegna, l’aumento dei prezzi. Tutte cose che vanno previste».
Anche perché «il futuro ha sempre elementi di incertezza ma oggi ci sono anche tanti strumenti per comprendere la realtà, dati e metodi per leggere il futuro. Le previsioni, che non sono mai certe, bisognerebbe farle sempre, pandemia o no, e prepararsi con flessibilità a gestire le opportunità, e mantenere un intervallo di incertezza è sintomo di lungimiranza, e di capacità di predisporsi a soluzioni flessibili». Serve, appunto, lungimiranza: per “fissarla” «vengono in aiuto i piani, business plan o piani industriali. Utili se voluti, non se calati o fatti per forza - rimarca il direttore - un piano deve durare non meno di tre anni, ma non è il “vangelo” da mettere in pratica così com’è». Ci vuole, come detto, flessibilità. Partendo dal presupposto che «non esistono piani e strategie efficaci senza esecuzione operativa. Mentre si realizza si corregge: tutte le strategie sono concrete, si traducono in azioni». E devono essere condivise all’interno dell’azienda, «dalla centralinista che risponde al telefono, e che può aprire o chiudere una porta, fino al direttore generale. È la pratica che fa la differenza. Ed è motivante sapere che anche un contributo apparentemente marginale è essenziale in un disegno complessivo».
Sono diversi gli elementi su cui Chiara Mauri invita a porre attenzione. A partire dal taglio dei costi, esercizio a cui oggi molte imprese guardano per necessità. In realtà «le aziende eccellenti sono sempre attente ai costi, e continuano ad individuare aree di miglioramento. Non con la forbice ovunque e comunque, ma per recuperare redditività. È saggio iniziare dai costi prima che dai ricavi».
E ancora, il tema del valore. Che «per l’impresa è il flusso attualizzato di profitti futuri», un tema che tocca la «redditività e la redditività prospettica», mentre «per il cliente è il prezzo che è disposto a pagare, il cosiddetto “value for money”». Non si tratta dunque di «giocare su due tavoli ma di considerare sempre l’interesse dell’impresa e quello del cliente».
Cliente che può anche essere un costo per l’impresa: succede quando «costano più di quel che rendono e pagano meno di quel che dovrebbero. È il caso di clienti molto esigenti che all’atto pratico comprano pochissimo o chiedono servizi extra senza essere disposti a pagarli, e di clienti che ottengono condizioni di favore, magari per un portato storico», che annullano la marginalità prospettica dell’impresa.
È un valore il cambiamento, ma non c’è una ricetta valida per tutti, secondo Chiara Mauri: «Cambiare modello di business, ma chi ha detto che non funziona? Magari è solo mal realizzato. Spesso non è neppure esplicito, non lo sanno le stesse imprese, che agiscono in un certo modo e lo evolvono cammin facendo». Ed è un valore la formazione: Chiara Mauri invita ad «usare sempre il condizionale, per predisporsi ad oltrepassare confini ed esplorare nuove vie». Come insegna un libro di Primo Levi (“La chiave a stella”): «Dai clienti difficili s’impara».
Ma se c’è una previsione su cui Chiara Mauri «non ha il minimo dubbio» è che «le Pmi saranno ancora per molto il motore» dell’economia del nostro Paese. Perché «la cultura italiana è fatta da individualisti» ma anche perché «nel mondo viene riconosciuto il valore degli individui che fanno cose speciali».
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