Viviamo in un'epoca di profonde trasformazioni, dove i mercati globali sono in continua evoluzione e le dinamiche della domanda possono cambiare rapidamente. L'inflazione ha rallentato, ma i prezzi si sono stabilizzati su livelli più alti rispetto al passato, costringendo le imprese a confrontarsi con nuove sfide. La riduzione dei consumi in molti settori - dal retail all'automotive, fino alle tecnologie - ha portato a una contrazione dei volumi di vendita, spingendo le aziende a rivedere le proprie strategie produttive.
Ma cosa significa realmente scegliere di produrre meno? Non si tratta solo di una reazione passiva alla diminuzione della domanda, ma può rappresentare una decisione strategica. Questo tema è stato approfondito durante un evento live, trasmesso il 22 ottobre 2024 dalle piattaforme social di Imprese Territorio, che ha visto la partecipazione di Antonio Belloni, coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, Alfonso Del Giudice, professore Ordinario di Finanza Aziendale all'Università Cattolica del Sacro Cuore, e Annalisa Tunisini, professoressa OrdRidurinaria di Economia e Gestione delle Imprese nella stessa università e autrice del libro “Economia e management delle imprese”.
Ridurre la produzione per aumentare la competitività: una strategia che potrebbe sembrare controintuitiva, ma che sta guadagnando terreno tra le aziende in cerca di maggiore efficienza. Esperti di economia e gestione aziendale hanno esplorato come questa pratica possa portare non solo a un uso più ottimale delle risorse, ma anche a una produzione di maggiore qualità.
È ormai appurato, infatti, che a causa degli alti costi di produzione molte piccole e medie imprese stanno già riducendo la produzione. La questione centrale, ha introdotto Belloni, è capire quando è il momento di cambiare strategia e quali indicatori monitorare per anticipare le esigenze del mercato. Tra i segnali principali ci sono gli indicatori economici "hard", come i dati sui consumi, che permettono di analizzare le tendenze generali e specifiche di ogni settore. Oltre a questi, è fondamentale osservare anche i cosiddetti indicatori “soft”, cioè quelli provenienti da settori limitrofi che, pur non essendo direttamente collegati, possono avere effetti rilevanti.
«Un esempio? Un produttore di elettrodomestici potrebbe trovare utile monitorare i dati relativi alla produzione di microchip, perché rappresentano un segnale rilevante per la sua attività. Allo stesso modo, un produttore di pomodori dovrebbe prestare attenzione al fatturato del comparto della pasta», ricorda. Anche fattori laterali, come il risparmio e i mutui immobiliari, offrono segnali importanti sullo stato di salute dell'economia. «Non dimentichiamo i cambiamenti nelle abitudini di consumo, che possono avere un impatto significativo anche in settori apparentemente stabili». Per esempio, il disinteresse dei giovani per l'acquisto di automobili sono fenomeni che influenzano profondamente il mercato. Comprendere la domanda, dunque, è un processo complesso che richiede di tenere conto di molti elementi, anche quelli inaspettati.
È d’accordo Alfonso Del Giudice, professore Ordinario di Finanza Aziendale all'Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha anche analizzato gli effetti finanziari legati alla riduzione della produzione, evidenziando che tutto dipende dalle motivazioni che spingono un'azienda a ridimensionarsi. Se la causa è un calo della domanda, che comporta una diminuzione dell'attività, anche le risorse finanziarie ne risentiranno. «Un'impresa che si trova in questa situazione deve rivedere i suoi investimenti fissi e diminuire le risorse finanziarie destinate a sostenerli», ha spiegato. Tuttavia, secondo il professore, la riduzione della produzione può essere interpretata anche in modo positivo. In settori con margini di guadagno bassi, può essere vantaggioso spostarsi su una produzione meno orientata alla quantità e più focalizzata sulla qualità. In questo contesto, la questione principale riguarda il capitale circolante, con l'azienda che dovrà adattare la propria gestione, ottimizzando i tempi di gestione di crediti, debiti commerciali e scorte.
Il ridimensionamento di un'impresa, comunque, non segna sempre il declino del business. «Prendiamo l'esempio del settore vinicolo, dove un recente studio ha mostrato un calo del consumo di alcolici, specialmente tra le nuove generazioni e in alcune regioni. Questo potrebbe tradursi in una produzione ridotta di bottiglie oppure in una maggiore attenzione alla qualità, cercando di mantenere o addirittura aumentare i margini, senza ridurre il fatturato». Le ripercussioni finanziarie, quindi, dipendono dalle aree su cui si interviene: se si agisce sul capitale circolante, è necessario ridurre i debiti a breve termine, mentre se si riducono gli investimenti fissi, è importante diminuire il debito a medio-lungo termine.
Annalisa Tunisini, professoressa Ordinaria di Economia e Gestione delle Imprese nello stesso ateneo, ha aggiunto che la riduzione dei volumi produttivi, spesso necessaria per contenere i costi, richiede una strategia precisa per mantenere i margini di profitto. A suo avviso, la chiave risiede nel concentrarsi sulla qualità e sul valore di ciò che viene prodotto. L'adozione di una strategia produttiva che privilegi piccoli lotti e produzioni speciali, puntando su prodotti che facciano la differenza e che siano strettamente legati all'identità dell'azienda, potrebbe essere una buona idea. Questi prodotti, sempre meno standardizzati, rappresentano infatti un'opportunità per differenziarsi in un mercato globalizzato, dove la concorrenza sui costi è spesso molto aggressiva.
«Però bisogna lavorare molto sul marketing e rivolgersi a un target che apprezza la produzione speciale, disposta a pagare di più per prodotti in quantità minore», ha spiegato, enfatizzando l'importanza di costruire una clientela quasi di nicchia. In questo modo, il valore dei prodotti può essere incrementato, arricchendoli con elementi che li rendano unici e appetibili per un mercato disposto a investire in qualità. Tunisini ha poi ricordato che, in contesti dove i margini di guadagno sono bassi, è fondamentale differenziarsi dalla concorrenza globale e focalizzarsi su articoli di alto valore aggiunto. «Questo approccio non solo consente all'azienda di essere competitiva, ma permette anche di resistere alle pressioni esterne legate ai costi», ha osservato. Belloni ha completato l'analisi, osservando che, nonostante l'inflazione stia scendendo, i costi produttivi rimangono comunque elevati, soprattutto in questa fase di transizione verso l'industria 5.0 e la sostenibilità. «Inoltre, la riduzione della produzione può avere effetti significativi sul territorio, aprendo nuove possibilità di integrazione sia all'interno delle aziende che verso l'esterno. Questo processo permette alle imprese di diversificarsi e uscire dal semplice ruolo di terzisti, rafforzando il proprio peso all'interno di una rete produttiva più ampia e generando nuove opportunità di sviluppo».
A proposito di distretto produttivo, Del Giudice ha ricordato che gestire i costi fissi e variabili durante una fase di riduzione della produzione è una delle sfide più complesse per le imprese. «La profittabilità e la redditività sono due facce della stessa medaglia, ma molte aziende faticano ad adattare la loro struttura di costi fissi al nuovo contesto economico». Le imprese con una struttura più snella, che hanno maggiore flessibilità nei costi, risultano meglio preparate per affrontare tali cambiamenti. Tuttavia, Del Giudice ha sottolineato che quando il problema diventa sistemico e colpisce interi settori o distretti produttivi, il singolo sforzo dell'azienda non basta: è necessaria una politica industriale che intervenga a livello pubblico per sostenere il cambiamento.
«Un esempio è la filiera dell’automobile, dove molte piccole imprese, scarsamente collegate tra loro, sono costrette a subire i prezzi e i margini imposti dai grandi attori del mercato». La mancanza di cooperazione all'interno del settore aggrava la situazione, rendendo difficile per le aziende più piccole rimanere competitive. «Situazioni analoghe si osservano nel comparto agricolo italiano, e questi squilibri tra diversi segmenti della filiera evidenziano la necessità di una maggiore integrazione tra le imprese per affrontare le sfide globali», un punto sul quale Del Giudice ha insistito, chiedendo interventi coordinati a livello di sistema.
Tunisini ha portato un altro tema cruciale per le aziende in trasformazione: come utilizzare gli strumenti di marketing per gestire i cambiamenti e preservare la reputazione del brand. Secondo la professoressa, il rischio reputazionale è uno dei pericoli più significativi che le imprese devono affrontare in periodi di trasformazione, specialmente quando si riducono i volumi produttivi o si cambia la strategia aziendale. Nel settore B2B (in cui le transazioni commerciali avvengono tra aziende), ha spiegato, è fondamentale passare dalla logica della semplice vendita di un prodotto a quella dell’offerta di soluzioni integrate. «Non è solo un prodotto con assistenza, ma un accompagnamento completo», ha dichiarato, sottolineando come le aziende debbano entrare in una nuova mentalità, basata su un rapporto duraturo con il cliente. Questo accompagnamento non solo rafforza la fedeltà del cliente, ma aiuta a costruire un’immagine di affidabilità e professionalità.
Per quanto riguarda il B2C (dall’azienda al consumatore), Tunisini ha indicato che il successo risiede nella capacità di coinvolgere i consumatori attraverso i valori del brand e gli elementi intangibili che ruotano attorno al prodotto. Il marketing non deve limitarsi a spingere una vendita immediata, ma deve lavorare per creare una relazione di lungo termine con il cliente. Le emozioni che un prodotto riesce a trasmettere, insieme alla qualità intrinseca, giocano un ruolo fondamentale nella soddisfazione del consumatore. «Il vero marketing non è vendere oggi per sparire domani, ma fidelizzare i clienti nel tempo», ha spiegato, evidenziando l'importanza di un cambio di paradigma.
«Le imprese devono quindi lavorare su diversi segmenti di clientela, concentrandosi su ciò che ogni gruppo considera di valore. Questo approccio richiede un marketing strategico e mirato, capace di adattarsi alle esigenze mutevoli di un pubblico sempre più sofisticato e consapevole». Intervenire sul packaging e sul design, per esempio, aiuta a trasformare l’offerta partendo dal prodotto d’eccellenza. «È importante anche coinvolgere i clienti, fornitori e partner, nel ripensamento e nell’innovazione: una strategia open». Belloni ha portato l’esempio del settore del lusso: in Francia, e non solo, alcuni brand offrono la riparazione compresa a vita delle borse. «Anche tante aziende di calzature stanno offrendo questo servizio o personalizzano acquisti nuovi e usati».
Uno dei principali problemi che le piccole e medie imprese affrontano è l'efficientamento del capitale circolante. Molte di queste aziende, infatti, trascurano la corretta gestione delle tempistiche di incasso e pagamento, oltre al mantenimento dei magazzini, che spesso risultano troppo onerosi. «Spesso le piccole imprese fungono da banca per quelle più grandi», ha spiegato Del Giudice, evidenziando come il capitale circolante rappresenti un costo significativo, che deve essere ottimizzato, soprattutto durante i periodi di ridimensionamento.
«Molte aziende, durante i periodi favorevoli, non distribuiscono dividendi per evitare la pressione fiscale e non investono in espansione, accumulando così riserve di liquidità nei conti correnti. Questa liquidità può ora essere utilizzata per ristrutturare il business o per gestire meglio il capitale circolante», suggerisce il professore. In caso di crisi sistemica della domanda, è poi fondamentale che le imprese rinegozino il debito con le banche, rischedulando le scadenze di pagamento per adeguarsi alle nuove circostanze. Un altro punto critico è la mancanza di un CFO in molte piccole aziende, dove spesso l’imprenditore si trova a svolgere molteplici ruoli. «In questi casi, è consigliabile rivolgersi ad associazioni di settore per ottenere supporto nell’accesso al credito e nella gestione finanziaria».
Belloni ha confermato che le aziende associate si stanno presentando con richieste relative al credito, ma la novità rispetto al passato, è che c’è una preferenza sostanziale per l’utilizzo della liquidità disponibile piuttosto che una riorganizzazione finanziaria o un’aggressiva ricerca di acquisizioni. «Parliamo di aziende che magari hanno 100 milioni di fatturato, con 5 o 10 milioni sul conto corrente. Forse si sta perdendo quella paura atavica di non uscire mai dal proprio recinto, quella paura di crescere», ha dichiarato.
Ecco cinque consigli: