Transizione ecologica, in azienda è questione di cultura: la devono conoscere tutti, dal manager ai collaboratori

Transizione ecologica, in azienda è questione di cultura: la devono conoscere tutti, dal manager ai collaboratori

La transizione ecologica è adesso, ed è «un processo epocale che va fatto, per non essere travolti», come sottolinea il professor Nicola Armaroli, research director dell'istituto Isof-Cnr, intervenuto nel corso della diretta di Item d'Impresa di Confartigianato Imprese Varese. Nei giorni in cui alla Cop26 di Glasgow i grandi della Terra discutono su come frenare il riscaldamento globale, è evidente che anche le nostre piccole imprese devono chiedersi come comportarsi di fronte alla sfida della crescita sostenibile.

«La crescita è sostenibile quando sono in equilibri le tre leve ambientale, sociale ed economica – introduce il tema Alessandro Vezzil, Sustainaible strategies and Business developer in energy transition per Snam - quando si parla di transizione ecologica parliamo di una transizione eco-sostenibile, anche per le PMI, che è possibile se gli investimenti sono finanziariamente sostenibili. È un cambiamento di paradigma del modello gestionale, e la sfida vera è riuscire ad avere le informazioni per accelerare le innovazioni di prodotto e di processo”.

Una sfida che non può essere più rimandata. «Non è un di più ma è la sostanza - rimarca Armaroli -  bisogna entrare nell'ottica di ridurre i consumi del 30% e tutti, dal top manager all'ultimo assunto in azienda, devono essere responsabilizzati su questo. Per rendere operativo questo processo tutti i dipendenti devono essere consapevoli che comporterà sacrifici per tutti ma anche grandi opportunità».

SIAMO SULL'ONDA DELLO TSUNAMI

D'altra parte, gli accordi in vigore impongono per i prossimi 10 anni di «abbattere le emissioni di gas climalteranti sette volte più velocemente di quanto fatto negli ultimi 30 anni - sottolinea Nicola Armaroli - è una sfida pazzesca. È inevitabile che l'Europa non possa lasciarci per strada, e il “Fit for 55” è questo: una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% rispetto ai livelli del 1990. Siamo come quelli che sono sull'onda dello tsunami: o stanno fermi e vengono travolti o corrono e si salvano. Ce la faremo? Non so, ma in tanti stanno lavorando per definirlo in modo possibile e praticabile. È un obiettivo enorme, ma non c'è un piano B”.

Come affrontarlo nella pratica quotidiana? Per Alessandro Vezzil «è necessario iniziare da un fortissimo commitment e da una visione» all'interno dell'azienda: «Investire in questo tipo di competenze significa avere la certezza di avere queste competenze in azienda tra dieci anni. Occorre capire quali sono gli impatti della propria attività e il costo dell'inefficienza e dell'inazione, considerato che ogni chilogrammo di CO2 prodotto è un segno di inefficienza, ma anche come si muovono i mercati e i competitor, e l'evoluzione del sistema legislativo a livello nazionale e internazionale. Oggi gli strumenti di analisi e valutazione degli impatti e dei rischi ci sono, ed è bene affidarsi agli esperti - aggiunge Vezzil - pianificare ora è fondamentale, perché se non lo si fa i costi di un successivo rientro potrebbero essere insostenibili».

CAMBIARE PRODOTTU E FIGURE PROFESSIONALI

La progettazione toccherà i prodotti, «dal loro ciclo di vita al loro fine vita, verso il riuso o il riciclo», ma anche le figure all'interno del management. «Nuove figure come il CSR Manager o il Sustainability Manager sono consulenti che tenderanno a sparire perché le loro competenze dovranno essere trasversali a tutte le funzioni aziendali e diffuse - prevede Vezzil - tutto il management dovrà essere sostenibile e socialmente responsabile».

Il tema delle competenze tocca anche il sistema formativo: «Abbiamo dormito sulla transizione - ammette Nicola Armaroli - ci siamo svegliati a seguito di una catastrofe e ci siamo accorti che c'era da organizzare la transizione. E non si fa in pochi mesi. Si stanno muovendo tutti, in ritardo. Purtroppo dobbiamo ricreare da zero perché abbiamo un drammatico bisogno di competenze che le aziende cominciano a non trovare già adesso». ITS e università stanno rincorrendo. Anche perché l'urgenza di agire la si è scoperta con le ultime bollette energetiche in arrivo.

«Ma il caro-energia che stiamo vivendo - chiarisce il direttore di Isof-Cnr - è solo l'ultima di una serie di oscillazioni che sono fuori dal nostro controllo. Non è vero che la transizione verso le rinnovabili è la causa del problema: queste oscillazioni dipendono da una serie di fattori sconnessi tra loro. È ora di uscire da questa situazione, e la soluzione è proprio il passaggio a forme di energia il cui approvvigionamento non è soggetto a questo tipo di sbalzi improvvisi. I pannelli fotovoltaici sopra i capannoni, ad esempio. È vero che oggi si fanno in Cina, ma dobbiamo riappropriarci della produzione di questi beni, perché la richiesta sarà sempre maggiore. E il problema non sarà la quantità di materia prima, come il litio, ma il tempo per stare dietro all'aumento della produzione».

FATE SCELTE PRIMA CHE DIVENTINO OBBLIGHI

È dunque una questione di scelte. Prima che diventino obblighi. Pensiamo alla tassa sulla CO2, che imporrà agli imprenditori di «valutare gli impatti e l'innovazione dei propri prodotti e processi per ridurne i costi» e che produrrà conseguenze inevitabili in particolare in determinati settori, come «alimentare, automotive e moda, che hanno filiere lunghissime ma anche consumatori sempre più attenti alla sostenibilità, quindi i grandi player chiederanno ai loro fornitori di essere più sostenibili».

Oppure alla mobilità. Su quella per il trasporto privato, sottolinea Armaroli, «la partita è chiusa, prevarrà l'elettrico. Anche per i furgoni utilizzati dal 70% delle imprese. Per il trasporto pesante invece ancora c'è solo un grandissimo punto interrogativo, un'incertezza, come ai tempi di VHS e Betamax per le videocassette, se prevarranno le celle a combustibile a idrogeno oppure la batteria elettrica ora non possiamo dirlo. E finché non è chiarissimo quale prevarrà, non si svilupperà l'infrastruttura conseguente».

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