Crisi demografica e lavoro: il ruolo delle imprese
Affrontare il tema della condizione giovanile nel mondo del lavoro ha un livello di complessità che arriva da svariati fattori. Uno di questi interessa il tempo in cui viviamo, con generazioni diventate adulte in un secolo che, per la prima volta dal secondo dopoguerra, offre prospettive di crescita inferiori rispetto ai precedenti. Ne parliamo con Chiara Gigliarano, professore ordinario di Statistica Economica alla Liuc-Università Cattaneo di Castellanza

La demografia è una chiave di lettura interessante della situazione giovanile, soprattutto alla luce dell’attuale crisi demografica e dell’urgenza che questa solleva. La domanda da porsi è come valorizzare le nuove generazioni in un mercato del lavoro meno accogliente rispetto agli altri Paesi europei. Una società che non investe sulla presenza quantitativa e qualitativa dei giovani si trova inevitabilmente a veder diminuire la propria capacità di crescita, ad ampliare squilibri demografici e diseguaglianze sociali.
«Ormai da qualche anno illustri esperti di demografia – e lo stesso Istat (Istituto Nazionale di Statistica) – stanno lanciando un importante allarme riguardo alla situazione demografica del nostro Paese. Da un lato l’Italia è tra i paesi al mondo con la più alta speranza di vita alla nascita. Ciò è ovviamente un aspetto positivo, che implica però un invecchiamento sempre crescente della popolazione, con importanti conseguenze sul sistema di welfare italiano. Dall’altro lato siamo tra i paesi europei con il più basso tasso di natalità, che è in costante calo negli ultimi anni. Dunque, la popolazione italiana sta rapidamente invecchiando perché le persone vivono più a lungo e fanno meno figli – puntualizza Chiara Gigliarano, Professore Ordinario di Statistica Economica alla LIUC-Università Cattaneo – Le previsioni demografiche ci rivelano che i giovani (e dunque la forza lavoro) saranno una risorsa sempre meno disponibile in futuro per l’Italia. Nei prossimi anni sarà inevitabilmente necessario mettere in campo azioni che riducano gli effetti di questa tendenza sul mondo del lavoro e del welfare. Infatti, il tasso di dipendenza degli anziani, dato dal rapporto tra gli over sessantacinquenni e le persone in età lavorativa, sta aumentando - e aumenterà - rapidamente in Italia, mettendo a rischio la sostenibilità del sistema socio-assistenziale e previdenziale italiano. Altri paesi europei (quali Germania e Svezia) hanno già avviato da tempo strategie per rallentare questa crescita, adottando, ad esempio, politiche di integrazione degli immigrati e di sostegno per le famiglie con figli minori e per l’infanzia».
DARE PIÙ VALORE ALLE NUOVE GENERAZIONI

Il processo da una parte di invecchiamento e dall'altra di “degiovanimento” della società sta rendendo debole il contributo dei giovani. In particolare, l’età media dei lavoratori italiani è più alta rispetto a quella dell’Unione europea, con i giovani e le giovani donne a essere i più a rischio di precariato e di basso salario. La popolazione sta conseguentemente invecchiando così come la forza lavoro, eppure è proprio da un migliore inserimento della base giovanile nel mondo del lavoro che una società si rinnova e mette solide radici per il proprio futuro. Come valorizzare le nuove generazioni all’interno delle imprese?
«È importante attuare politiche che favoriscano maggiormente sia l’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro sia la conciliazione tra lavoro e famiglia. Queste decisioni non riguardano solo i decisori pubblici e politici ma anche le imprese, che dovrebbero collaborare per rendere tali sfide delle vere opportunità di crescita e sviluppo. Per contrastare, infatti, il calo di forza lavoro dovuto all’invecchiamento della popolazione è importante far leva da un lato sull’innalzamento dell’occupazione femminile e dall’altro sulla riduzione dei NEET, acronimo di Not in Employment, Education or Training, ovvero i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione – spiega Gigliarano – La partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia, seppur in aumento negli anni, è ancora a livelli decisamente inferiori rispetto alla media europea (nel 2022 il 57,3% delle 25-64enni in Italia era occupata contro la media EU27 pari a 71,2%). Per favorirla è importante ridurre i divari di genere in termini retributivi e di opportunità lavorative, ed aumentare la disponibilità di servizi per l’infanzia e la cura di minori e di membri fragili (disabili, anziani, persone non autosufficienti) della famiglia. Forti sono anche le disuguaglianze generazionali nel mercato del lavoro italiano: nel 2022 il 30% dei giovani occupati di 15-34 anni erano precari con contratti a termine. Tale percentuale scende al 10,2% tra gli occupati di 35-49 anni e al 6,2% tra gli occupati ultracinquantenni. È dunque importante che aziende e istituzioni garantiscano ai giovani lavoratori e alle giovani lavoratrici una stabilità lavorativa e salariale che consenta loro di rendersi presto indipendenti dai genitori e poter formare così una nuova famiglia con figli».
COME SUPERARE IL MISMATCH TRA DOMANDA E OFFERTA

Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è oggi un tema di grande rilevanza, soprattutto per le economie povere di tale capitale umano come l’Italia. Ovvero mancanti di giovani preparati e qualificati, con capacità utili oggi e domani. Certamente, le imprese possono aiutare il superamento del mismatch lavorando nella direzione di una maggiore attrattività, garantendo non soltanto equa retribuzione, stabilità contrattuale e una migliore collocazione professionale, ma anche welfare aziendale, inclusività e una equilibrata conciliazione vita/lavoro proporzionata alle richieste esigenze emergenti delle giovani generazioni. Istruzione e formazione rimangono però leve cruciali. In che modo invertire questa spirale negativa di bassa vitalità imprenditoriale e basse opportunità di lavoro? E come rafforzare il processo di transizione scuola-lavoro?
Prosegue la professoressa Gigliarano: «I dati Excelsior-Unioncamere mostrano che le imprese hanno difficoltà a trovare lavoratori con diploma o formazione professionale e con laurea. Il disallineamento tra domanda e offerta dei laureati è anche legato alle scelte degli studenti riguardo al percorso di studi universitario, che sembrano rispondere solo parzialmente a quanto richiesto dal mercato del lavoro. Negli ultimi anni si sta registrando comunque un aumento di laureati in quegli ambiti maggiormente richiesti dalle imprese (in campo scientifico, medico-sanitario, economico, ingegneristico e informatico), anche se l’incremento risulta ancora troppo basso rispetto alle richieste del mercato del lavoro. Le università hanno dunque un ruolo fondamentale nel preparare i giovani al mondo del lavoro, e devono sapersi innovare rinforzando il dialogo con il mondo delle imprese. L’Italia deve poi affrontare la sfida dei giovani che abbandonano precocemente gli studi (gli ELET: Early Leaver from Education and Training): nel 2022 la quota di 18-24enni con al più un titolo di studio secondario inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione è pari all’11,5%. E solo il 39% di chi abbandona precocemente gli studi riesce a trovare lavoro, rivelando come la mancanza di opportunità educative implichi una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro. Una possibile soluzione per ridurre sia il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro sia l’abbandono scolastico è rinforzare i percorsi di orientamento per i ragazzi all’interno del corso di studi, così da aiutarli a valutare i loro talenti e le loro aspirazioni anche confrontandosi con il mondo delle imprese».
EMERGENZA NEET

Come sottolineato, il peso dell’andamento demografico ha enormi implicazioni sulla composizione del mercato del lavoro, quindi sulla disponibilità di risorse e, più in generale, sull’andamento dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. In un contesto demografico come quello italiano in cui mancano giovani (e, di conseguenza, forza lavoro giovanile), è interessante evidenziare come esiste un’alta percentuale di NEET. Come far rientrare nel circuito del lavoro un capitale umano che nessuno valorizza?
«È particolarmente preoccupante che nel 2022 circa il 19% (quasi 1,7 milioni) dei giovani tra i 15 e i 29 anni in Italia non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione. Il tasso italiano di NEET è di oltre 7 punti percentuali superiore alla media europea, 11,7%, e secondo solo alla Romania. Non dovremmo però considerare i NEET solamente come dei giovani sfiduciati. L’Istat infatti ci informa che, nel 2022, quasi due terzi dei NEET in Italia si dichiarano interessati e disponibili a lavorare (disoccupati o forze di lavoro potenziali), mentre solo poco più di un terzo sono effettivamente inattivi, cioè non cercano un impiego e non sono disponibili a lavorare. Il fenomeno dei NEET è per fortuna in calo negli anni post-pandemici e interessa di più le ragazze (20,5%) rispetto ai maschi (17,7%). Le differenze territoriali sono molto elevate: nel Mezzogiorno la quota di NEET arriva al 27,9%, al Centro è pari a 15,3%, mentre nel Nord-Est e Nord-Ovest si attesta rispettivamente al 12,5% e al 14,2% – chiarisce Gigliarano – L’istruzione ha un ruolo centrale nel favorire la partecipazione al mercato del lavoro e ridurre così le disuguaglianze di opportunità che penalizzano le nuove generazioni. Nel 2022, infatti, il tasso di occupazione dei laureati di età 25-64 anni è di 30 punti superiore a quello di chi conseguito al massimo la licenza media (83,4% contro 53,5%) e di 11 punti rispetto a quello dei diplomati (72,4%). Ciò significa che la laurea offre decisamente maggiori chance di occupabilità, ed è dunque sull’aumento del livello e della qualità dell’istruzione che il nostro Paese deve investire. Tali investimenti sono necessari anche per poter invertire la rotta della scarsa mobilità sociale che da sempre caratterizza l’Italia: il retroterra familiare, infatti, condiziona fortemente la possibilità che un giovane raggiunga un alto livello di istruzione. I dati Istat riportano che nelle famiglie con almeno un genitore laureato la quota di figli 25-34enni che hanno conseguito la laurea è pari al 67,6%; se almeno un genitore è diplomato cala al 39,1% e scende al 12,3% quando i genitori possiedono al più un titolo secondario inferiore». Paola Mattavelli