DOPO LA DIRETTA. La via "italiana" all'e-commerce: un portale (o un sito) ad hoc, tanta comunicazione e contenuti efficaci

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E-commerce, essere online non basta. «La chiave è il contenuto. E l’obiettivo deve essere diventare opinion leader del proprio settore». Tutti i segreti degli esperti per affrontare la sfida della vetrina virtuale, che è diventato un passaggio obbligato per le imprese nel periodo del lockdown, nella nuova puntata del ciclo Dialoghi in diretta di Confartigianato Imprese Varese. Come realizzare un sito ecommerce e come posizionarsi per far sì che sia efficace è la domanda che molti imprenditori, soprattutto quelli che prima del Covid erano più “allergici” al digitale, si stanno ponendo di fronte alla necessità di utilizzare anche il canale di vendita online.

«Costruirsi una propria pagina costa di più che entrare in marketplace o piattaforme esistenti, che però chiedono fee annuali o percentuali sulle vendite - mette in chiaro Antonio Belloni, saggista e consulente di Confartigianato Imprese Varese - soprattutto però bisogna tenere in considerazione che quando si aprono piattaforme di ecommerce le si devono popolare sia di venditori sia di acquirenti, perché il web è pieno di tanti magnifici portali adeguati, che nessuno visita. Nel caso di piattaforme “proprietarie” comporta un investimento per promuovere questi siti». Non è una passeggiata, insomma. «Non pensiamo che “vado, faccio l’ecommerce e vendo”: non funziona così, purtroppo è un percorso complicato - spiega Rudy Bandiera, autore di libri sul digital marketing e sulla tecnologia - innanzitutto bisogna capire se esiste un mercato di riferimento. Faccio un esempio: nella mia Ferrara un ecommerce di prodotti tipici come la salama da sugo “potenzialmente” aprirebbe quel mercato verso il mondo, ma nessun ferrarese acquisterebbe online quel prodotto e fuori da Ferrara non lo conosce nessuno. Prima bisogna consapevolizzare il mercato sul prodotto, che può essere ipercompetitivo oppure molto di nicchia, anche attraverso l’influence marketing, e poi si può vendere».

MOSTRIAMO LE NOSTRE FACCE E I PRODOTTI CHE VENDIAMO Chi nell’ecommerce ha trovato successo e soddisfazioni, grazie alle sue felici intuizioni, è Paolo Ambrosetti, noto commerciante di Varese con l’attività di famiglia, Valigeria Ambrosetti, di cui è la quarta generazione alla guida. Per stare al passo con l’innovazione si è inventato storyteller e blogger e ha puntato molto su un sito ecommerce “proprietario” per la propria attività. «Che è particolare, perché i miei stessi concorrenti sono le mie stesse aziende, in quanto vendo prodotti di brand, che possono permettersi di fare delle promozioni e una scontistica, soprattutto in questo momento di lockdown, che io non posso fare». Ma il percorso che ha fatto non è partito da zero. «Prima abbiamo lanciato una comunicazione con un bel sito per far vedere le nostre facce, i nostri prodotti, come lavoriamo e i servizi che offriamo - racconta Paolo Ambrosetti - dopo aver fatto un po’ di branding, abbiamo iniziato con l’ecommerce, utile anche per attirare i clienti nel negozio. Nessun marketplace, perché Amazon al di là delle percentuali altissime chiede un numero elevato di prodotti in “vetrina” e limita molto i contenuti legati al prodotto, mentre io voglio raccontare i miei articoli».

«La chiave di tutto è il contenuto - interviene Rudy Bandiera - non c’è brand se non si genera contenuto. Tanto contenuto». Come? «Dobbiamo smettere di essere venditori e diventare consulenti, passando dal fare il nostro interesse al fare quello di chi acquista. Ciascuno con le sue attitudini e peculiarità - aggiunge l’esperto di digital marketing - che sia una valigeria o una salumeria, bisogna cercare di diventare opinion leader, perché come una valigeria non vende borse ma viaggi ed esperienze, anche una macelleria non vende carne, ma convivialità».

Tra gli strumenti, Rudy Bandiera suggerisce quello del “Corporate blog”, una piattaforma «che non parla del nostro prodotto ma del nostro settore di appartenenza, e che crea contenuti non solo autocelebrativi, ma che raccontino cose inerenti quel settore per interessare la nicchia di persone che andranno a cercare su google le chiavi di ricerca del settore. Serve per posizionarci come esperti di settore, perché per ogni prodotto ognuno ha nella testa una persona o un negozio di riferimento: dobbiamo occupare nella testa delle persone questa casellina». Ci vuole impegno e costanza: «Non è uno schiocco di dita, ma è fondamentale la durata con cui si sta sul mercato con quei contenuti». E occorre fare quello che si definisce «il carotaggio - aggiunge Bandiera - individuare il proprio target da raggiungere e puntare su quello. Perché sul nostro ecommerce non serve generare tanto traffico, ma che sia mirato sul target giusto». Sintetizza Antonio Belloni: «Bisogna lavorare sull’autorevolezza, per diventare punti di riferimento del settore. Uno degli errori è l’autoreferenzialità: parlare troppo di se stessi poi stanca».

SERIO NON E' SERIOSO E LEGGERO NON E' SUPERFICIALE Paolo Ambrosetti, nella sua esperienza, ha inventato molte azioni di “branding”: dal suo avatar che accompagna i contenuti del negozio sulle sue pagine personali a format che puntano a diventare virali sui social, come quello dei clienti invitati a bere il caffè in valigeria, le “sitcom” con la moglie Michela, o l’hashtag #iorestoacasaconlamiaborsa per mantenere il contatto con i clienti nel lockdown, senza vendere niente. Fino alla novità del portamascherina per la riapertura del negozio fisico. «Bravissimo - applaude Rudy Bandiera - serio non vuol dire serioso, e leggero non vuol dire superficiale, se riusciamo a strappare un sorriso ad un cliente probabilmente tornerà nel nostro negozio. Ma ognuno ha le sue attitudini, non possiamo essere tutti Paolo Ambrosetti, occorre differenziarsi in base alle caratteristiche di ciascuno».

L’approccio personale però può essere vincente, come sottolinea Antonio Belloni: «Metterci la propria faccia è decisivo, perché contribuisce a ridurre la freddezza dell’ecommerce, che per molti è il regno del disservizio e degli ostacoli, e fa recuperare terreno nel rapporto diretto con il cliente. A volte la persona è l’unica cosa che ti tiene attaccata ad un negozio distante 300 chilometri». Poi ci sono anche le criticità dell’ecommerce, a rendere ancora più complessa la sfida: non solo promozione e riconoscibilità, ma anche packaging, resi e recessi con tutte le problematiche conseguenti. Tra B2B o B2C, in fondo, le differenze non sono così grandi: «Kotler parlava di H2H, human-to-human, perché il consumatore o l’azienda sono sempre persone, anche se i canali, la comunicazione e l’imprinting sono diversi. È sbagliato pensare che sia più facile vendere sneakers, ormai online si vende anche l’acciaio».

Il futuro, per Rudy Bandiera, è nell’«ibridazione tra online e offline. Gli ecommerce sono destinati a cambiare pelle, come appendice dei luoghi presenti fisicamente, ma c’è una grande prateria davanti, anche un po’ spaventosa perché non sappiamo dove stiamo andando, ma ricca di opportunità straordinarie».