News

Finanza aziendale: cinque mosse per mettere in sicurezza i conti

Finanza aziendale: cinque mosse per mettere in sicurezza i conti
Finanza aziendale

Il tessuto imprenditoriale italiano sta vivendo una congiuntura economica complessa, di profonda incertezza, che mina la solidità e le prospettive di crescita. Tra crisi “endemiche” caratterizzate da una loro ciclicità e nuovi fenomeni emergenziali di portata globale, le Pmi non riescono a riguadagnare terreno con la stessa capacità delle imprese più grandi.

L’ultimo rapporto Deloitte-Assifact sul costo del debito e le difficoltà di accesso al credito tratteggia uno scenario preoccupante: nel 2023 una impresa su due rischia di non far fronte ai creditori. Una situazione, dunque, che vede l’aggravarsi di un quadro già non roseo tra il 2021 e il 2022, quando le imprese a elevato rischio di credito o in situazione di vulnerabilità finanziaria erano passate dal 41,9% del 2019 al 48,7% nel 2022. Sale anche il tasso di deterioramento dei crediti che passa dal 2,3% del 2022 al 3,8% nel 2023. Stime e percentuali che mettono in evidenza il rischio di un grave corto circuito dell’economia italiana e del suo sistema produttivo. Uno tra i principali fattori che compromettono la solidità delle imprese italiane è certamente la maggiore difficoltà nell'accesso al credito.

Maurizio Dallocchio, professore di Corporate Finance in SDA Bocconi School of Management e all’Università Bocconi di Milano ci aiuta a capire nel concreto l’attuale contesto economico e come incrementare la liquidità delle Pmi anche attraverso canali alternativi.

INDEBITAMENTO DELLO STATO

Finanza aziendale

«L’attuale contesto economico si caratterizza per quattro elementi distintivi che è doveroso tenere presente. Il primo fattore da considerare riguarda l'indebitamento dello Stato. Innanzitutto, è bene chiedersi se il nostro indebitamento, preso in quanto tale, sia effettivamente gravoso come molte fonti internazionali (anche accreditate, tra cui l'Europa) ci addebitano. Un fatto che andrebbe esaminato con maggiore serenità e minore visione politica concerne gli attivi dello Stato. L’Italia differentemente da altre nazioni con le quali veniamo paragonati, ha attivi immobiliari o finanziari (basti pensare alle grandi aziende partecipate dallo Stato come Enel ed Eni) che andrebbero portati a deduzione del debito complessivo per valutare il reale indebitamento netto complessivo – precisa il professor Dallocchio – Purtroppo invece, lo Stato italiano viene percepito come fortemente indebitato perché in rapporto al prodotto interno lordo ci troviamo in una situazione di tensione strutturale. Questa percezione di forte indebitamento fa sì che l’Italia sia internazionalmente identificata come instabile e finanziariamente debole rispetto ad altri paesi europei».

BANCHE E CONTRAZIONE DEI PRESTITI

Finanza aziendale

Una seconda considerazione interessa le banche e la contrazione dei prestiti. Prosegue il professor Dallocchio: «Nel tempo è avvenuto un indebolimento delle banche a livello globale che, soprattutto dopo la crisi del debito sovrano degli anni tra il 2011 e il 2014, si sono trovate a dover affrontare una situazione di estrema complessità che ha minato la loro stessa solidità patrimoniale. Ne consegue che le banche, in passato un interlocutore aperto al mondo imprenditoriale, sono oggi decisamente meno aperte, sia in quanto parte di un sistema Paese che abbiamo visto essere percepito come molto indebitato, sia perché a loro volta hanno patito una perdita di patrimonio dovuta ai crediti inesigibili. Banche che sono inoltre esposte alla regolamentazione sovranazionale di Basilea che fa sì che prestare denaro a prenditori (come le piccole imprese) percepiti come rischiosi, comporti un elevato assorbimento di capitale. La banca è oggettivamente un generatore di liquidità per le imprese più arido e meno “generoso” di un tempo, in quanto è diventato difficile e costoso prestare denaro a entità piccole e avvertite come rischiose».

TASSI DI INTERESSE

Finanza aziendale

Terzo elemento: i tassi di interesse. «Negli ultimi 12-18 mesi abbiamo sperimentato una inflazione mai vista nell’ultimo ventennio. È chiaro che con il crescere dell'inflazione, cresce (pesantemente) il costo delle risorse attraverso cui le imprese possono approvvigionarsi di denaro a titolo di debito: con un’inflazione elevata il costo del denaro sale in modo significativo, così come aumenta il gravame sui conti economici e sui risultati reddituali. Ne consegue che viene depressa la capacità di investimento perché si riducono la possibilità per le aziende di risorse monetarie a condizioni economiche “normali”. Ciò non solo per progetti espansivi o di rinnovo dei macchinari, ma anche per finanziare la gestione ordinaria: diventa difficile agevolare i propri clienti e permettere pagamenti a 60/90 giorni o finanziare il magazzino – spiega ancora il professor Dallocchio – La buona notizia è che tutte le fonti più accreditate mostrano con chiarezza che nei prossimi mesi ci sarà una riduzione rilevante dell'inflazione e dei tassi, dando in questo modo la possibilità di trarre un respiro un poco più profondo alle imprese che riusciranno ad avere accesso al credito».

CANALI ALTERNATIVI DI FINANZIAMENTO

Finanza aziendale

Va infine considerata la particolarità dell’ecosistema delle Pmi italiane, una galassia variegata ed eterogenea che ha plasmato il modello economico del nostro Paese. «Il nostro è un sistema largamente fondato sulle piccole e medie imprese che in passato è stato abituato ad avere accesso a due uniche fonti di finanziamento: l'imprenditore e la banca. Parliamo di una caratteristica peculiare dei paesi del sud dell'Europa e, in generale, di realtà produttive del sud del mondo – precisa il professor Dallocchio – La difficoltà odierna del sistema bancario nel far fronte alle esigenze di credito delle imprese comporta inevitabilmente che le imprese si debbano in qualche modo scuotere dal torpore dell'abitudine di avere denaro unicamente dall'imprenditore e dalla banca».

Ma cosa possono fare le imprese e dove trovare liquidità? Oltre ai tradizionali canali bancari esistono canali alternativi di finanziamento. Uno di questi è il factoring, una soluzione che facilita l’accesso a nuova liquidità con cui le Pmi hanno poca familiarità. Il factoring, disciplinato dalla L. n. 52/1991, è il contratto con il quale un imprenditore – denominato “cedente” o “fornitore” – si impegna a cedere (pro soluto o pro solvendo) a un altro soggetto professionale – denominato “factor” – tutti i crediti presenti e futuri derivati dall’esercizio d’impresa.

«Esistono numerose fonti che possono soddisfare il bisogno di liquidità delle imprese: in primo luogo la fonte del factoring, che è una forma importante di smobilizzo del credito e di ottenimento di liquidità anticipata, a un costo in linea di principio sostenibile (e comunque non significativamente più oneroso del credito bancario) che una volta entrato in funzione si rivela snello da un punto di vista procedurale: cessa un credito ne inizia un altro con la società di factoring pronta a sostituire il credito una volta che il credito a è arrivato all'incasso – aggiunge – Il factoring è una forma interessante a cui fare riferimento ma esistono altre soluzioni, una di queste è il private credit, una forma di credito che autorevolmente si sta facendo strada nel nostro paese proprio a fronte delle difficoltà delle banche di dare accesso al credito alle imprese di piccole e medie dimensioni. I basket bond sono un’ulteriore modalità di accesso a risorse liquide che le Pmi stanno scoprendo. Si tratta in realtà di un tipo di obbligazione che ha più di un emittente e che viene di conseguenza collocato “collettivamente”. In questo caso, più imprese di medie e piccole dimensioni dello stesso contesto geografico o settoriale, bisognose di raccogliere credito, possono decidere di collocare a investitori istituzionali i propri titoli obbligazionari emessi in forma collettiva per raggiungere una dimensione appetibile appunto al mondo finanziario istituzionale». I vantaggi per emittenti e investitori sono chiari: l’ampio numero di emittenti di obbligazioni concorre alla diversificazione del rischio; la capacità di emettere congiuntamente obbligazioni collettive permette di emettere obbligazioni anche ai piccoli emittenti.

IL FATTORE “CULTURAL CHANGE” NELLE PMI

Finanza aziendale

Qui si innesta un fattore di natura culturale che impone alle aziende di evolvere per continuare a essere competitive. «L’imprenditoria italiana deve aprirsi al cambiamento. Soprattutto sul fronte del reperimento dei capitali. In questo momento ci sono investitori finanziari (operatori di private equity in particolare) che sono desiderosi di investire nelle imprese italiane anche di piccole dimensioni. È imperativo in questa fase evolutiva, che queste imprese si rendano disponibili ad aprire il capitale proprio e ad accogliere nuovi soci competenti e “contributivi” sulla base delle competenze ed esperienze maturate nel tempo. Il capitale proprio rafforza le imprese, mentre il debito, a parità di altre condizioni, le appesantisce».

«Va sottolineato che i fondi di private equity che si interessano alle piccole e medie imprese italiane sono sempre più numerosi perché percepiscono la qualità del Made in Italy e sono dunque pronti a “pagarne” il valore – conclude – L'imprenditore deve aprire il capitale, altrimenti il rischio è di non crescere, se non addirittura di non sopravvivere: infatti, di tanto cresce il capitale proprio, di tanto (almeno) cresce la capacità di raccogliere ulteriore credito. Permane nell’imprenditore una sorta di gelosia della propria autonomia e indipendenza che può mettere in seria difficoltà la propria sostenibilità. Le imprese italiane sono chiamate ad affrontare sfide globali che richiedono un profondo ripensamento delle proprie visioni e valori. La visione strettamente familiare della proprietà può essere vantaggiosa finché l’ambiente in cui l’impresa opera è stabile e prevedibile ma può rivelarsi deleteria in congiunture storiche aride di risorse, come l’attuale». Paola Mattavelli