Imprenditori e Manager: la sfida culturale del prossimo decennio

Perché tante Pmi falliscono dopo aver assunto manager brillanti? Il problema non è tecnico: è la frattura invisibile tra chi ha fondato l'impresa e chi deve farla crescere

Manager e imprenditori

di Rosario Bucca *

Nel cuore del nostro tessuto produttivo — un ecosistema unico per complessità e capacità di adattamento — si cela una sfida che, più di ogni altra, può determinare il futuro delle nostre imprese. Oggi più che mai, il dibattito sul rilancio delle Pmi si è concentrato su leve classiche: governance, internazionalizzazione, innovazione di prodotto, sviluppo di nuovi mercati, necessità di interventi governativi. Tutti temi essenziali, certo. Ma ce n’è uno più profondo, spesso trascurato, che agisce come vero fattore abilitante o bloccante di qualsiasi piano di sviluppo: la natura della relazione tra l’imprenditore e il manager. Due figure diverse per storia, linguaggio e mentalità, ma naturalmente complementari. Un equilibrio delicato, difficile da leggere o da ricomporre, perché appartiene alla sfera emozionale, quella meno visibile ma più determinante per la vita dell’impresa.

DUE CULTURE, UN’UNICA IMPRESA

L’imprenditore vive l’impresa come estensione della propria identità. È il custode della visione e dei valori fondativi, mosso da intuizione e coraggio. Per lui, l’impresa è vita. Il manager, invece, nasce per governare la complessità attraverso metodo e struttura. Porta strumenti, introduce metriche e logiche di misurazione che aiutano a trasformare la visione in organizzazione e sostenibilità sul lungo periodo. Due linguaggi che, se non si parlano, si respingono: l’imprenditore teme di perdere il controllo, il manager soffre il fatto di non essere ascoltato. Il risultato è spesso una paralisi silenziosa fatta di frustrazioni e conflitti. L’impresa resta prigioniera delle proprie abitudini, sospesa tra i vecchi successi e la necessità di cambiare sé stessa per adattarsi alle nuove logiche dei mercati.

QUANDO IL LEGAME SI SPEZZA

Manager e imprenditori

Troppo spesso, i fallimenti di questa relazione vengono liquidati in modo semplicistico: da una parte il “manager incapace”, dall’altra l’imprenditore accentratore o caratterialmente difficile. In realtà, il problema è più profondo: manca un linguaggio comune. Molti imprenditori, cresciuti con le logiche del fare e del decidere, non hanno mai sperimentato la vera condivisione del potere decisionale. Molti manager, formati in contesti multinazionali, portano strumenti sofisticati ma un linguaggio distante. Si dimenticano che la priorità nelle nostre Pmi è anche la crescita delle competenze interne e la capacità di spiegare con pazienza e chiarezza il “perché” delle scelte e dei cambiamenti. Ne nasce una frattura invisibile: l’imprenditore si chiude e perde la fiducia, il manager si rifugia nei numeri e nei processi. E l’impresa perde slancio.

VERSO UNA NUOVA SINERGIA TRA VISIONE E METODO

Superare questo dualismo non è questione di forma, ma di cultura. Serve un nuovo paradigma fondato su tre pilastri chiave.

1. Linguaggio condiviso e adattamento reciproco. Imprenditori e manager devono imparare a parlarsi in modo nuovo. Il manager deve saper adattare il proprio linguaggio e il proprio metodo di lavoro alle realtà delle Pmi, spesso caratterizzate da un approccio più orientato alla persona che ai processi. L’imprenditore, a sua volta, deve accettare che il mondo di oggi richiede strumenti manageriali evoluti, guidati dai dati e replicabili. Non si può più costruire una strategia di sviluppo fondata solo su fatturato e volumi. Senza questa convergenza culturale, nessuna trasformazione è davvero possibile.

2. Fiducia e delega. La crescita nasce solo dove esiste una fiducia reciproca. L’imprenditore deve saper lasciare spazio e autonomia; il manager deve comprendere che la fiducia si conquista giorno dopo giorno, con coerenza, umiltà e risultati. La formazione e le esperienze pregresse, da sole, non bastano: contano l’ascolto, la capacità di adattarsi e la volontà di rimettersi in gioco. Ogni nuova collaborazione richiede di ricostruire da zero la propria relazione professionale.

3. Visione condivisa. Ogni piano di sviluppo, ogni passaggio generazionale, ogni progetto di espansione deve partire da una visione comune. Il manager deve saper integrare i successi del passato con le nuove sfide, valorizzando il patrimonio identitario dell’impresa. La mancanza di questa integrazione è, ad esempio, una delle principali cause di insuccesso nei processi di acquisizione delle PMI da parte dei fondi di investimento: dove la managerialità viene messa in primo piano a discapito della cultura imprenditoriale e della capacità di mantenere coerenza strategica tra passato e futuro.

UN CASO CONCRETO

Manager e imprenditori

Un’azienda familiare della componentistica plastica, cresciuta da zero a 360 milioni di euro in venticinque anni, agli inizi del 2005 si era fermata: stagnazione, margini in calo, turnover manageriale elevato. Il fondatore, geniale ma refrattario al linguaggio manageriale, decise infine di rimettere tutto in discussione. Si partì da una mappatura delle competenze e da una ridefinizione chiara di ruoli e percorsi di crescita. Dopo un lungo cammino — dieci anni — si raggiunse un nuovo equilibrio: il fondatore imparò a delegare, i manager guadagnarono fiducia e autonomia, e l’impresa tornò a crescere in modo sostenibile, combinando crescita organica e inorganica.

LA SFIDA CULTURALE DEL PROSSIMO DECENNIO

La vera sfida che le nostre Pmi dovranno affrontare nel prossimo decennio non sarà solo tecnologica o finanziaria, ma soprattutto culturale: una cultura capace di superare il dualismo tra visione e gestione; di costruire un ecosistema in cui l’imprenditore continui a ispirare, ma lasci spazio a una managerialità matura, capace di scalare, innovare e rendere sostenibile la crescita. Dove il manager non impone modelli esterni, ma costruisce valore a partire dalla cultura dell’impresa. Solo integrando visione e metodo, cuore e testa, storia e futuro, il nostro sistema produttivo potrà esprimere il suo pieno potenziale. Il giorno in cui imprenditori e manager smetteranno di difendere i propri ruoli e cominceranno a costruire insieme il linguaggio del futuro, quel giorno l’Italia avrà compiuto la sua vera rivoluzione industriale — non nelle fabbriche, ma nella cultura d’impresa.

* Corporate & Business Strategy Advisor di Artser