La nuova sfida dei territori: attrarre, innovare, crescere
La professoressa Maria Prezioso dell’Università di Roma Tor Vergata sottolinea l’importanza della pianificazione territoriale, del capitale umano e della governance integrata per rilanciare la competitività dei sistemi locali, superando la logica dell’emergenza

Nel dibattito sul futuro dei territori, tra transizioni ecologiche, digitali e sociali, la questione dell’attrattività torna al centro dell’agenda europea e nazionale. Non si tratta solo di richiamare investimenti, ma di costruire contesti in cui imprese, comunità e istituzioni possano crescere in modo sostenibile e coeso. Infrastrutture, capitale umano e governance diventano così i cardini di una nuova idea di sviluppo locale, in cui il territorio smette di essere sfondo passivo e diventa motore attivo del cambiamento.
Per la professoressa Maria Prezioso, ordinaria di Geografia economica e politica e di Economia e pianificazione del territorio, direttore del Master MEPE e del laboratorio STeMA presso la facoltà di Economia all’Università di Roma Tor Vergata, la vera sfida per l’attrattività dei territori sta nell’attivazione di strategie integrate di sviluppo sostenibile. Le politiche europee – da Lisbona a Gothenburg, fino a Europa 2020 – hanno già tracciato la strada, indicando nell’innovazione tecnologica, nel capitale umano e nella dotazione infrastrutturale i pilastri fondamentali.
DISTRETTI INDUSTRIALI IN TRASFORMAZIONE

I distretti industriali hanno rappresentato a lungo un motore di sviluppo per l’economia italiana. Tuttavia, il processo di sovradimensionamento fisico e occupazionale ha progressivamente eroso i vantaggi legati alle economie di scala, generando inefficienze e perdita di competitività. Fattori, questi, che hanno minato la stessa sostenibilità economica di tale modello economico, trasformando i punti di forza in limiti strutturali. Una crisi che ha evidenziato le fragilità strutturali dei distretti industriali, rendendo necessario un ripensamento critico dei paradigmi interpretativi tradizionali.
«È il territorio con la sua capacità di produrre in modo coerente e coesivo a fare la differenza: lì dove ci sono comunità veramente integrate con le proprie risorse, c’è sviluppo economico. Non parlo solo di ‘crescita’ ma di sviluppo lento, articolato, sostenibile. Una relazione virtuosa che si ritrova nei paesaggi che hanno una forma di industrializzazione molto bassa – spiega la professoressa Prezioso – Taranto e Bagnoli sono esempi di interventi fallimentari, dove all’inadeguatezza di un piano coerente di programmazione si è sommata la carenza di manodopera qualificata e di risorse. È dunque necessario partire da una domanda nodale: quali sono le reali risorse dei nostri territori? Una questione che può sembrare dissonante in un mercato globale dominato da logiche di consumo rapido».
COMUNITÀ TERRITORIALI E COESIONE SOCIALE

Una riflessione sui modelli di sviluppo economico suggerisce una transizione verso paradigmi che valorizzino la sostenibilità, l'innovazione e la coesione territoriale. Non solo sistemi produttivi, ma vere e proprie comunità territoriali coese basate su capitale sociale, relazioni di prossimità e saperi taciti. In questo contesto, esistono strategie specifiche per attrarre Pmi che siano catalizzatori di un cambiamento responsabile e collaborativo?
«Le infrastrutture immateriali rivestono un ruolo fondamentale nel facilitare lo sviluppo di servizi a valore aggiunto, ottimizzando e potenziando le infrastrutture fisiche esistenti. Queste infrastrutture includono le reti digitali e le piattaforme tecnologiche per la gestione intelligente dei trasporti, il capitale umano e sociale con le competenze necessarie per sfruttarne le potenzialità, oltre ai servizi ecosistemici e culturali che rendono i territori più attrattivi per investimenti e turismo – chiarisce la professoressa – Le aree interne italiane, pur disponendo di numerose risorse, risultano penalizzate da lacune infrastrutturali che impediscono l'incontro efficace tra domanda e offerta in un mercato ormai globale».
Un approccio olistico che combini infrastrutture materiali e immateriali diventa così essenziale per generare valore economico, coesione sociale e resilienza ambientale, trasformando anche i territori più periferici in ecosistemi viventi dove le persone possano interagire, lavorare e prosperare.
BUONE PRATICHE E NUOVI PARADIGMI ECONOMICI
Guardando a buone pratiche in Europa e in Italia, su ciò che rende produttive le aree, si può notare come condividano un approccio comune: il rispetto totale per i luoghi attraverso una conservazione attiva piuttosto che passiva del territorio.
«Nelle Alpi, ad esempio, sono state sviluppate forme di Green Infrastructure che integrano soluzioni di economia circolare, delineando un modello di sviluppo economico innovativo che si distacca dall'approccio neokeynesiano tradizionale – sottolinea Prezioso – In questo nuovo paradigma il mercato viene creato con l’originalità sia dei sistemi produttivi che del prodotto in quanto tale».
La crescita passa anche dalla formazione e dalla qualità della manodopera. «La competitività di un territorio non dipende solo dalla presenza di imprese, ma dalla capacità di queste di dialogare con università, centri di ricerca e istituzioni, creando una rete virtuosa di trasferimento di conoscenza».
Gli investimenti per la trasformazione tecnologica e l'innovazione, inclusi i fondi europei, rappresentano strumenti cruciali in questo processo. Ma non bastano. «Le micro imprese e le imprese artigiane italiane hanno ancora notevoli difficoltà nell'accesso a questo tipo di sostegno e aiuti, spesso contributi a fondo perduto, perché manca spesso una cultura progettuale e una visione condivisa del futuro – commenta la professoressa – Il capitale europeo deve essere affiancato da investimenti coerenti e progetti realizzabili in tempi congrui. Non si può pensare di fondare lo sviluppo solo sui fondi europei. Senza capitale privato, senza rischio personale, non si può fare impresa».
LA CRISI DEI DISTRETTI E IL POTENZIALE DELLE AREE DISMESSE
La letteratura recente conferma che la competitività di un sistema innovativo locale si costruisce su due elementi: la qualità degli attori coinvolti (imprese, università, istituzioni) e la capacità di generare sinergie efficaci. «La coesione sociale e culturale è un fattore determinante – puntualizza Prezioso – Penso alle storiche aree dell'industria tessile, nate sulla base di competenze artigiane e di un patrimonio di relazioni che ha dato vita alla localizzazione di importanti insediamenti produttivi nel centro-nord. Aree oggi abbandonate, di archeologia industriale, che potrebbero essere facilmente riqualificate per diventare luoghi di localizzazione di una microimpresa integrata».
Gli effetti positivi del distretto industriale erano determinati proprio dal dialogo tra tutti i soggetti che appartenevano a quel determinato comparto. Approfondendo ulteriormente il meccanismo che rendeva efficace questo modello, «si trattava di un insieme finemente reticolare di relazioni economiche e sociali che davano vita a una comunità̀ locale all’interno della quale operavano le singole imprese. Una condizione di esistenza delle imprese stesse. Là dove c’era dialogo, condivisione e rispetto delle risorse ambientali, si è generata ricchezza sostenibile. Quando questa relazione è venuta meno, il modello distrettuale ha smesso di essere produttivo – pensiamo ai distretti della ceramica, delle seterie, delle coltellerie – e molte aziende locali hanno abbandonato l’identità̀ culturale locale e la competenza industriale comune, cambiando il paesaggio economico, sociale e naturale».
MODELLI AVANZATI E LIMITI DELLA REPLICABILITÀ
Diverso è il discorso per i distretti legati ai beni culturali e per quelli tecnologicamente avanzati – come il farmaceutico, l’aerospaziale o l’automotive – in cui il forte impiego della tecnologia e di manodopera altamente qualificata rappresentano elementi centrali di una buona progettazione.
«Per sostenere questa nuova visione, l’Unione Europea ha promosso il New European Bauhaus (NEB), un’iniziativa che valorizza progetti capaci di coniugare sostenibilità, bellezza e inclusione. Ogni territorio ha le sue peculiarità. Serve un’idea di Paese che valorizzi le differenze e costruisca su di esse strategie originali – insiste la professoressa – In Italia esistono competenze elevate, basti pensare all’area di Roma, dove convivono oltre 16 università pubbliche e private, che generano un bacino di professionalità qualificate e di alto profilo tecnologico. Realtà che non sono facilmente replicabili ovunque: non si possono copiare e incollare modelli di sviluppo».
PIANIFICAZIONE E GOVERNANCE: IL NODO STRATEGICO
L’innovazione tecnologica si ascrive come l’elemento infrastrutturale chiave per assicurare alle Pmi e ai territori di cui esse sono parte una crescita competitiva e sostenibile. Le grandi imprese internazionali che investono in innovazione – ad esempio nell’intelligenza artificiale – portano con sé risorse, visione e capacità di rischio. Al contrario, le imprese che si insediano in zone economiche speciali attratte solo da incentivi fiscali, spesso si rivelano instabili: quando gli aiuti si esauriscono, tendono ad abbandonare il territorio.
Alla base di tutto, secondo Prezioso, c’è la necessità di un ritorno alla pianificazione territoriale, oggi spesso trascurata. «Non ritengo che localizzare una microimpresa in aree economiche speciali, come possono essere le free zone con agevolazioni fiscali, possa essere lo start per lo sviluppo. La storia insegna che queste realtà si esauriscono quando vengono meno gli incentivi, desertificando ancora di più il territorio. Non si può localizzare un’impresa ‘a caso’, senza una pianificazione territoriale. Servono strumenti di valutazione dell’impatto territoriale, analisi avanzate dei benefici e degli effetti collaterali, interventi di mitigazione e salvaguardia della biodiversità. Tutto questo è complesso, e purtroppo, in Italia abbiamo smesso di fare piani di programmazione e valutazione ex ante».
PER UN NUOVO MODELLO MULTILIVELLO
A questo si collega un’altra questione critica: la governance. Occorre un modello serio, strutturato, multilivello, come quelli già attivi in Europa.
«In Europa esistono strumenti come gli EGTC – European Grouping of Territorial Cooperation – che consentono di superare i confini amministrativi creando ‘meso-dimensioni’ produttive efficaci. Gli EGTC permettono di attuare progetti comuni, scambiare competenze e migliorare il coordinamento in termini di pianificazione territoriale».
Dalle parole della professoressa Prezioso emerge una visione lucida: i territori non crescono per imitazione, ma per coerenza, relazione e progettualità. Solo recuperando un approccio integrato – fatto di pianificazione, capitale umano, cultura e innovazione – sarà possibile costruire territori davvero attrattivi, e non solo competitivi (7. continua). Paola Mattavelli