Produttività aziendale: la differenza la fa il dinamismo dell’impresa

La produttività aziendale è uno dei principali indicatori dello stato di salute di un’impresa, grande o piccola. Ma cos'è esattamente e come si valuta la produttività di un’azienda? E quali sono oggi gli strumenti a supporto? Ne parliamo con Fabio Pieri, professore associato del Dipartimento di Economia e Management dell'Università di Trento

Produttività a lavoro

Migliorare la produttività aziendale è fondamentale per la competitività e la redditività di un'azienda in qualsiasi settore. È quindi importante comprendere il significato di un concetto che svolge un ruolo critico nel monitoraggio e miglioramento delle performance organizzative. Soprattutto nel mondo del lavoro odierno, contrassegnato da un ambiente economico sempre più volatile e competitivo e da continui cambiamenti tecnologici.

Il professor Fabio Pieri, associato del Dipartimento di Economia e Management dell'Università di Trento, ci offre una panoramica chiara su questo tema: «Possiamo definire la produttività come la capacità delle unità produttive di trasformare i fattori della produzione, quali il lavoro, il capitale fisico, ma anche l’energia, i beni e i servizi intermedi, in beni e servizi finali. Le unità produttive possono essere le singole imprese, ma anche aree geografiche, industrie o intere economie. La produttività è un concetto fondamentale in economia. Infatti, a livello macroeconomico, la dinamica della produttività è rilevante per i territori, i settori produttivi e i paesi perché, nel lungo periodo, è il principale “motore” della crescita. A livello microeconomico, cioè d’impresa, la produttività è un importante indicatore di performance, perché si lega strettamente ai costi e ai profitti delle imprese».

Produttività a lavoro

Ma quali sono le metriche utilizzate per la misurazione della produttività? «Una misura di produttività frequentemente impiegata è la produttività del lavoro, calcolata come rapporto tra il valore aggiunto e il numero degli occupati o il numero delle ore lavorate dagli stessi in un certo periodo di tempo, ad esempio, un anno. Questo rapporto ci restituisce l’informazione sul valore aggiunto dei beni e servizi finali prodotti da un’unità di lavoro. Dobbiamo però considerare che le unità produttive usano un mix di fattori produttivi, e il lavoro (seppur centrale) è solo uno di questi. È possibile quindi utilizzare una misura di produttività totale dei fattori (PTF) che misura il valore aggiunto dei beni e servizi finali prodotti impiegando una certa dotazione di lavoro e di capitale, come gli impianti, i macchinari, e tutte le strumentazioni a disposizione dei lavoratori.

La PTF – spiega il professor Pieri – è una metrica di efficienza nell’impiego di tutti i fattori produttivi. Per questo, l’aumento della PTF è la via maestra per favorire migliori remunerazioni e benefici per tutte le parti interessate: lavoratori, fornitori di beni intermedi e servizi, consumatori.

Per archi temporali lunghi, la crescita della produttività rappresenta nelle economie avanzate la quasi totalità della crescita del prodotto interno lordo (Pil). È così, ad esempio, per l’Italia e la Germania, dove il contributo percentuale della produttività del lavoro (valore aggiunto per ora lavorata) alla crescita del Pil è stato superiore al 100% nel decennio 1970-1980, ed è stato pari al 100% per la Germania e intorno al 75% per l’Italia nel decennio 1980-1990 (cfr. OCSE, Compendium of Productivity Indicators 2024)».

Produttività a lavoro

QUALI LEVE PER LA PRODUTTIVITÀ

Data la centralità della dinamica della produttività per la crescita economica, ed essendo le dinamiche “macro” il risultato di un’aggregazione di performance “micro”, è fondamentale domandarsi quali siano le leve della produttività su cui le imprese possono agire.

Prosegue Pieri: «Gli investimenti in capitale fisico, come gli impianti, i macchinari e le attrezzature a disposizione dei lavoratori giocano da sempre un ruolo importante per i miglioramenti della produttività, perché queste attività materiali contengono i miglioramenti tecnologici (embodied technological change) che rendono i lavoratori più produttivi. Nelle economie moderne la componente degli investimenti in attività immateriali ha assunto un ruolo sempre più importante, sia per il crescente peso che il settore dei servizi rappresenta, sia per i processi di digitalizzazione trasversali che riguardano tutti i settori economici. A livello aggregato, in Europa e negli Stati Uniti, nel periodo 1995-2015 la quota di investimenti in attività immateriali (intangibles) sul valore aggiunto, è passata dall’11% al 13.5%, e ha superato quella degli investimenti materiali, che si è ridotta dal 12% al 10% (cfr. Corrado e coautori, 2019) – chiarisce Pieri – Nel presente contesto, quindi, gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S), software e database, nel design di nuovi prodotti, in formazione on the job dei lavoratori, e l’adozione di migliori pratiche organizzative e manageriali risultano fattori determinanti per il miglioramento della produttività aziendale, perché sono strettamente collegati alla capacità delle imprese di innovare».

Produttività a lavoro

LA LENTA CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ IN ITALIA

La lenta crescita della produttività in Italia è vista da molti opinionisti come il principale ostacolo alla crescita del Paese nel lungo periodo. Dalla seconda metà degli anni ‘90, in particolare, la crescita della produttività dell’economia italiana è stata debole sia rispetto ai periodi precedenti, che ai principali partner dell’area euro.

«Occorre premettere che – precisa Pieri – ormai da vari decenni, le economie avanzate (Stati Uniti e Europa in primis) hanno assistito a un rallentamento della produttività. Al contempo, è importante rilevare che la produttività della manifattura italiana ha registrato alcuni recenti miglioramenti successivi alla crisi del periodo 2007-2013, a causa dell’espansione delle quote di mercato delle imprese più produttive e dell’uscita dal mercato di molte imprese poco produttive.

Tuttavia, se prendiamo in considerazione il periodo che va dal 1995 al 2016 (cfr. Bugamelli e coautori, 2018), la dinamica della produttività del lavoro – misurata come valore aggiunto per occupato – dell’economia italiana è stata deludente (-0.1%), e inferiore a quella mostrata da Germania (0,7%) e Francia (0.8%). È vero che la scarsa dinamica della produttività è, nei fatti, la principale causa della minor crescita dell’economia italiana: nello stesso periodo, infatti, l’economia italiana ha mostrato un tasso di crescita annuale medio del Pil (0.5%) inferiore a Germania (1.3%) e Francia (1.5%).

Produttività a lavoro

DIMENSIONE, DINAMISMO D’IMPRESA E PRODUTTIVITÀ

Nel sistema produttivo italiano esiste una “questione dimensionale”: secondo i dati Istati del 2021, il 95% delle attività italiane è una microimpresa, ovvero una realtà composta da 0 a 9 persone (professionisti, ditte individuali o aziende a conduzione familiare). Quanto pesa la questione dimensionale sul divario di produttività dell’economia italiana rispetto ai principali partner europei, anche a parità di settore? E quali sono i maggiori rischi del sottodimensionamento delle imprese italiane?

Il professor Pieri sottolinea che «tra le possibili spiegazioni della bassa crescita della produttività dell’economia italiana, hanno certamente ricevuto molta attenzione la specializzazione settoriale e la struttura dimensionale, che potrebbero penalizzare l’Italia rispetto ai principali partner europei. Alcuni contributi (cfr. De Nardis, 2014; Visco, 2020; Greco, 2023) hanno però “relativizzato” il ruolo che la specializzazione settoriale gioca nello spiegare i differenziali di produttività, mentre il ruolo della struttura dimensionale italiana sbilanciata verso il peso della micro-impresa continua ad essere oggetto di studio e dibattito».

È interessante, a questo punto, approfondire la relazione tra la dimensione e il grado di dinamismo di una impresa. Il professor Pieri evidenzia che «da un punto di vista statico, e concentrandosi sulla manifattura e i servizi di mercato (non finanziari), la struttura dimensionale penalizza la produttività aggregata italiana, sotto due punti vista. Primo, c’è un effetto “composizione”. In media, nelle principali economie europee (cfr. Bugamelli e coautori, 2018), nel periodo 2005-2014, le imprese micro (1-9 occupati) sono meno produttive delle imprese più grandi (250 occupati o più). Questo dato si associa ad un maggior peso che, in Italia, le micro imprese hanno in termini di quota di occupati: nel 2016, la quota di occupati impiegati nelle imprese micro era del 45% in Italia, circa il 38% in Spagna, 30% in Francia e 19% in Germania. Secondo, questo divario di produttività tra imprese di micro e grande dimensione è più accentuato in Italia, dove le imprese grandi sono circa 2.5 volte più produttive delle micro, che altrove (in Germania il rapporto è di circa una volta e mezzo)».

Questa visione statica, deve essere però arricchita da una dinamica, che tenga in considerazione almeno due elementi. «Innanzitutto, che negli ultimi anni è in corso in Italia un processo di trasformazione, soprattutto nell’industria e nei servizi di mercato, a favore di unità di dimensioni più grandi e produttive. Come sottolineato da Istat nell’ultimo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, nel periodo 2019-2022, nell’industria, vi è stata una riduzione di circa 7000 imprese attive, con un concomitante aumento del 2% in termini di addetti e del 19.8% in termini di valore aggiunto (cfr. Istat 2024). Inoltre, guardando ai dati più recenti (2022), e focalizzandosi sugli orientamenti strategici delle imprese con almeno 10 addetti, il Rapporto Istat propone un interessante “Indice di dinamismo strategico” delle imprese, che prende in considerazione varie dimensioni. Primo, la propensione a innovare in termini di nuovi prodotti e processi, di innovazioni organizzative e di marketing.

Secondo, gli investimenti nelle nuove tecnologie digitali (Big Data Analytics, sistemi intelligenti, IoT, cyber-security) e nella formazione del personale.

Terzo, la propensione a essere attive nei mercati internazionali.

Quarto, la struttura delle fonti finanziarie.

Sulla base di questo indice, le imprese vengono classificate in cinque gruppi in ordine crescente di “dinamismo”, da Basso (assenza di pianificazione strategica) ad Alto (elevata complessità organizzativa e strategica). Questo indice ci permette di apprezzare il ruolo rilevante che gli investimenti in attività immateriali hanno nel contesto attuale: infatti, un più alto grado di dinamismo strategico si associa, in media, a livelli più alti di produttività del lavoro. Inoltre, ne esce un quadro positivo anche per le imprese di minor dimensione.

«Nel 2022, sia nella manifattura sia nei servizi di mercato, le piccole imprese a dinamismo elevato hanno registrato livelli di produttività superiori alle imprese di media e grande dimensione con livelli di dinamismo basso. Il Rapporto Istat getta quindi una luce interessante su un tipo di dinamismo ad elevata intensità di intangibles che permette anche alle imprese di dimensione più piccola di ottenere performance aziendali di tutto rispetto in termini di produttività, in parte compensando i limiti derivanti dalla dimensione contenuta». Paola Mattavelli       

 

Riferimenti bibliografici

Bugamelli, M., Lotti, F., Amici, M., Ciapanna, E., Colonna, F., D’Amuri, F., ... & Sette, E. (2018). “Productivity growth in Italy: a tale of a slow-motion change”. Bank of Italy Occasional Paper, (422).

Corrado, C., Haskel, J., Iommi, M. and Jona-Lasinio, C. (2019) “Intangible Capital, Innovation, and Productivity à la Jorgenson: Evidence from Europe and the United States”, forthcoming in Barbara Fraumeni, Carol Corrado, Mun S. Ho, Hak K. Pyo, and Bart van Ark (eds.) Measuring Economic Growth and Productivity, Elsevier, Cambridge, MA.

De Nardis, S. (2014). Efficienza e specializzazione. Bologna: Ufficio Studi - Nomisma.

Greco, R. (2023) “A structural analysis of productivity in Italy: a cross-industry, cross-country perspective” Bank of Italy Occasional Paper (825).

Istat (2024), “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, Edizione 2024”, Istituto Nazionale di Statistica.

OECD Compendium of Productivity Indicators (2024), Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD). Link: https://www.oecd-ilibrary.org/sites/b96cd88a-en/index.html?itemId=/content/publication/b96cd88a-en

Visco, V. (2020). “Crescita economica e produttività: l’Italia e il ruolo della conoscenza”, EuroScience Open Forum 2020.