I dipendenti e i collaboratori rappresentano una delle risorse più preziose a disposizione di un'impresa. Non solo svolgono il loro lavoro con impegno e dedizione, ma possono anche agire come influencer interni, contribuendo a rafforzare la reputazione dell'azienda operando una narrazione concreta e positiva sui social e sui moderni canali digitali. Tutto ciò riguarda anche la credibilità stessa dell’impresa: è dimostrato che ci si fida maggiormente di ciò che dicono le persone che un’azienda la vivono, piuttosto che della narrazione istituzionale. «Ma c’è anche una questione legata alla visibilità - interviene Mauro Lupi, docente all’università Iulm e formatore di digital business – perché se contiamo quante persone può raggiungere un’azienda con i suoi canali digitali, e rapportiamo questo numero al totale delle persone raggiungibili sommando i network di tutti i dipendenti, spesso questo secondo dato è superiore. Quindi l’audience raggiungibile è maggiore». Se il lavoratore può quindi essere il primo e più importante influencer, certo tutto ciò non può essere improvvisato. Un argomento complesso, che abbiamo riassunto in dieci punti.
- La comunicazione non deve essere imposta dall’azienda: «Capita che sia l’impresa stessa a chiedere, e alle volte addirittura imporre ai dipendenti - spiega Lupi - di condividere e segnalare i contenuti veicolati dall’azienda. Si creano così dinamiche forzate, poco efficaci e che possono minare le relazioni interne».
- Vanno valutati i rischi di danno reputazionale: occorre ricordare che i social non sono un mezzo di comunicazione, ma di relazione. «Se uno spot televisivo non funziona, non ottengo risultati e vado oltre - commenta l’esperto - ma se opero male sui social il rischio è che la comunicazione diventi un boomerang, oltre alla scarsa efficacia andrei a perdere credibilità.
- I collaboratori devono percepire come gratificante il loro coinvolgimento, vanno guidati e facilitati: non possono essere considerati come meri strumenti per amplificare l’audience. Pertanto, è importante che le aziende investano nella soddisfazione e benessere dei loro dipendenti, promuovendo un ambiente di lavoro positivo e incentivando il coinvolgimento attivo dei dipendenti nella vita aziendale. Solo in questo modo sarà possibile sfruttare al meglio il potenziale degli influencer interni e contribuire a costruire una solida reputazione aziendale.
- Ci si fida maggiormente di un lavoratore o un manager che lavora in un’azienda piuttosto che del CEO e ancor peggio di un classico comunicato stampa. «Non so se sia giusto o sbagliato – dice Lupi – ma è così».
- Determinante è la formazione. Non ci si improvvisa, d’altronde, influencer. Non sempre si ha la consapevolezza di quale debba essere la grammatica da utilizzare in un determinato canale. Occorre uno stile adeguato, unito a un senso di responsabilità.
- È necessaria una pianificazione, che ci consentirà di capire anche di quanti argomenti l’azienda dispone. Inutile partire “a razzo”, e poi fermarsi dopo poche settimane per mancanza di argomenti. Pianificare è quindi importante per capire anche la frequenza con cui veicolare i contenuti.
- Serve costanza nella pubblicazione di contenuti. È utile presidiare temi che non devono essere solamente quelli istituzionali, che comunque è bene siano presenti. Ogni azienda deve produrre contenuti, altrimenti è inutile avere canali digitali inattivi.
- L’imprenditore deve essere sempre più sensibile all’argomento, anche alla luce dell’evoluzione dell’ambito digitale, si pensi all’avvento dell’intelligenza artificiale che potrà modificare molte dinamiche.
- Può capitare di sbagliare, ma è necessario non fermarsi.
- Bisogna affrontare l’argomento seriamente, senza affidarsi a scorciatoie inadeguate. «C’è stato un periodo - conclude Lupi - in cui si sono affacciati strumenti per comprare follower. Un approccio sbagliato». Comunicare nel modo giusto oggi è una via imprescindibile, domani potrebbe essere tardi.