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Il posto fisso diventa liquido: cambia la geografia del lavoro

Il posto fisso diventa liquido: cambia la geografia del lavoro
Lavoro liquido

Il posto fisso che diventa “liquido“. Le crisi cicliche dei sistemi economici e le previsioni che cambiano col variare dei governi e delle stagioni politiche. Ma la scrivania è rimasta sempre lì, scenario ideale per veri e propri viaggi mentali nati dalla commedia e dal dramma oggi icona storica di un paese che cambia dal «Fantozzi» di Luciano Salce agli «Impiegati» di Pupi Avati.

Al massimo arriva l’open space a scardinare i giochi di chi varca ogni mattino il luogo di lavoro. Ma le incognite di una pandemia globale scardinano anche quelle certezze e rimettono tutto in pista. E cosa succederà ora? Domanda impegnativa. Per questo ne abbiamo parlato con Elena Granata, professore associato al Politecnico di Milano. Laureata in Architettura, dottore di ricerca in Pianificazione Ambientale e Territoriale, insegna Analisi della città e del Territorio e Urbanistica presso il corso di laurea in Urbanistica e di Architettura. È docente presso l’Istituto Universitario Sophia (IUS).

Professoressa come sono cambiati gli spazi di lavoro? In particolare, la vita negli uffici?

Lavoro liquido

Per lungo tempo gli uffici hanno mantenuto un assetto immutabile: poco più di un sistema di scatole dove il problema più complesso era quello di spostare qualche scrivania. Poi si è cominciato a pensare che per smontare la rigidità dei modelli organizzativi aziendali bisognasse lavorare anche attraverso una radicale e decisa rimodulazione degli spazi di lavoro. L’open space è parso la panacea liberatrice dalle gabbie di un’organizzazione aziendale rigida e desueta. Cambiare gli spazi per cambiare la propria organizzazione interna. Spazi fluidi, tempi fluidi, lavoro su mansioni, timidi esperimenti di lavoro agile. Questa trasformazione degli spazi di lavoro ha riguardato il design degli interni, entro un assetto urbano sostanzialmente stabile e senza stravolgere il sistema delle vite delle persone, ancora legate al tragitto casa-lavoro/lavoro-casa.

Poi è arrivata la pandemia, lo smart working e tutto è cambiato. Che cosa sta accadendo oggi?

Lavoro liquido

La pandemia ha inferto un colpo fatale a quell’impianto di lavoro, costringendo milioni di persone a lavorare da casa. Sono venuti meno i luoghi stessi del lavoro e il loro senso. È venuta meno l’unità di tempo e di luogo del nostro essere lavoratori: possiamo lavorare in qualunque momento e da qualunque luogo. Ovviamente questo pone problemi di ordine organizzativo non solo sul fronte delle vite personali ma anche sulla vita collettiva di tutta l’azienda. Oggi alcune cominciano a capire che non si tornerà più agli assetti precedenti, che dovremo immaginare al più presto nuove modalità di organizzazione del lavoro.

Ora quale direzione prenderà l'organizzazione di questi spazi nel prossimo futuro?

Dovremo ripensare l’idea stessa di azienda come una piattaforma capace di integrare le tre dimensioni dello spazio lavorativo: quella strettamente spaziale (ufficio-città-casa), quella che ha a che fare con la relazione tra spazio fisico e spazio digitale, quella che armonizza domanda di spazio intimo-personale ed esigenza di spazi comuni e condivisi. Serviranno luoghi di lavoro ibridi e flessibili ma anche capaci di ospitare quel lavoro protetto e privato che il “lavoro da qualsiasi luogo” rende difficile alle persone.  Lavorare da casa ha rivelato la grande eterogeneità delle condizioni ed esigenze domestiche di ciascuno e di come queste possano incidere radicalmente sulla produttività e concentrazione nel lavoro. 

Occorrono nuove figure professionali per la gestione degli spazi aziendali oppure va rivalutata la competenza dei manager?

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Se fino ad ora la gestione e organizzazione degli spazi poteva essere in qualche modo delegata a tecnici e designer di interni, perché si trattava di ridefinire solo la funzionalità spaziale, oggi si configura una vera e propria competenza di placemaking (cfr. Granata, Placemaker. Gli inventori dei luoghi che abiteremo, Einaudi, 2021), capace di lavorare sulle tre nuove dimensioni dello spazio: in sede, da remoto, su piattaforme condivise, attraverso attività sincrone e asincrone, in presenza e a distanza. Si tratta di competenze strettamente progettuali che hanno come obiettivo di consentire alle persone di ottenere insieme quello che da soli non potrebbero mai raggiungere, ma in forme e tempi diversi dal passato. Questo cambiamento radicale delle modalità dei nostri modi di lavorare destabilizza e stimola il ruolo e le competenze di manager e HR, costringendoli a passare da una modalità bidimensionale - saper organizzare al meglio le attività di un personale stabile entro spazi e tempi definiti - ad una logica tridimensionale che ospiti spazi/tempi/relazioni eterodosse.

Il luogo di lavoro tornerà ad essere anche luogo di socialità, e in che modo?

Non possiamo neppure pensare solo alle esigenze personali e individuali, perché ci sono alcuni valori collettivi e civili che potremmo tornare a coltivare proprio nello spazio del lavoro. Così come un tempo è stato nelle fabbriche, straordinari luoghi di fatica, di produzione ma anche di partecipazione politica e civile.  Il lavoro può instillare nelle persone un comportamento sociale di tipo dialogico. Collaborare è un’attività creativa che prescinde dalla debolezza e dalla forza dei singoli, perché non dimentica il senso e l’obiettivo comune. È capacità di unirsi attorno ad un progetto. Sta tutto qui il potenziale degli sforzi umani: consentire alle persone di ottenere insieme quello che da soli non potrebbero mai raggiungere. Progettare spazi che aumentino il benessere individuale non è sufficiente, servono luoghi dove le persone scambiano esperienze, si confrontano con le loro differenti visioni.