Le "grandi dimissioni" cambiano il lavoro: oggi in azienda la rigidità fa male

Le "grandi dimissioni" cambiano il lavoro: oggi in azienda la rigidità fa male
Item Great Resignation

La pandemia ha cambiato tutto. Nessuno, prima del 2020, sentiva frasi come “i giovani non hanno voglia di lavorare”, e leggeva a ritmo quasi quotidiano sui giornali di imprese disperate perché non riescono a trovare personale. Adesso è un altro mondo, e “credere obbedire lavorare” non è più il motto che anima le persone. I dati, come al solito, lo spiegano: quasi un dipendente su 2 vuole cambiare lavoro, come certifica lo studio del Politecnico di Milano diretto dal professor Mariano Corso.

Ha questo tema l’ultimo Item d'impresa di Confartigianato Imprese e Territorio. «Con la pandemia – è la premessa – il mondo del lavoro è cambiato e non tornerà ad essere quello di prima. Questo ha scatenato il fenomeno delle “grandi dimissioni” e le aziende sono chiamate ad attivarsi se non vogliono perdere i loro talenti, o il proprio personale. Sono cambiate le priorità dei lavoratori, persino i punti di vista e le aspettative. La riscoperta di alcuni valori fondamentali come la salute e la famiglia, così come la difficoltà di trovare il perfetto equilibrio tra vita privata e professionale durante i vari lockdown, ha portato molte persone a ritenere insostenibile il proprio stile di vita». Cerchiamo di capire con Roberta Zantedeschi, HR Business Writing - Comunicazione interna - Business Coach e Antonio Belloni, Coordinatore Centro Studi Imprese e Territorio come prevenire, o affrontare, la fuga.

DIMISSIONI ALL'ITALIANA

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Lo scorso anno in Lombardia le dimissioni volontarie sono state circa 200mila. Nel primo semestre del 2022, già 300 mila. Un esodo verso chissà dove, col principio che la propria serenità vale più del posto fisso. «Le chiamo dimissioni all’italiana – esordisce Roberta Zantedeschi – All'italiana perché non corrispondono a quello che è accaduto negli States, da dove il fenomeno arriva. Si è mutuato un termine che ha voluto evidenziare come le persone stiano valutando un cambiamento all'interno del proprio percorso professionale. Infatti si parla di “cambiare lavoro”, non di lasciarlo. Dobbiamo chiederci cosa cerchino le persone, tenendo conto che la pandemia c’entra di sicuro».

Stanno cambiando le priorità: ora al primo posto c’è qualcosa di diverso rispetto alla vita professionale e alla carriera. Salute, famiglia, tempo libero. Un sistema valoriale differente: in passato non avere un lavoro era un problema nella percezione di sé. Oggi si guarda con ammirazione quasi chi lascia il lavoro senza averne già uno pronto: è una persona che prende in mano la sua vita. Allo stesso modo, soprattutto da parte delle nuove generazioni, il carico di lavoro è uno stigma. Significa: “la tua vita è solo quello, non hai altro”. Infine c’è la possibilità di poter lavorare da casa, prima impensabile. Da queste consapevolezze derivano le grandi scelte.

LE DIFFERENZE TRA IMPRESA E LAVORATORE

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Come spesso accade le imprese fanno fatica a tenere il passo. A leggere e a comprendere le nuove dinamiche. Belloni: «La percezione per ora è di timore e di una certa asimmetria informativa. Prima funzionava con, “tutti sono utili nessuno è indispensabile”. Adesso il percepito è quasi l’opposto, ed in effetti ogni figura valida è indispensabile a proprio modo. Gli imprenditori danno risposte hard, classiche: un luogo di lavoro sicuro, un aumento di stipendio. Ma le domande dei potenziali assunti sono soft, più sfumate. La grande scommessa di quest’epoca è trovare un linguaggio comune». Un lavoratore vuole sentirsi utile, efficace. Vuole appassionarsi e trovarsi bene col capo. Entrambi gli esperti concordano: c'è stato, nello spartiacque Covid, un venir meno della paura di osare. Tutti avremmo voluto da sempre una maggiore conciliazione tra vita e lavoro, ma prima sembrava semplicemente irrealizzabile. Ora c’è anche lo smart working, per forza di cose diverso dall’ufficio. Lavori per obiettivi, non timbrando il cartellino. «Lo smart – chiarisce Belloni - non è certo vacanza, come pensano alcune aziende. Elimini in realtà i viaggi e i tempi morti».

«Conta sempre di più – aggiunge Zantedeschi – la salute fisica ed emotiva. Viviamo in una cultura della performance, e anche trovare un equilibrio vita-lavoro diventa una performance. Pure la ricerca di “senso” nella propria esistenza spinge a cambiare: “Mi sono accorto che questa strada non è la mia, ed ho esaurito quella parte della mia vita”. L’Italia osteggia il cambiamento in questo senso. Se sei un’impiegata amministrativa (è solo un esempio) sarà dura cercare lavoro in altri settori, perché l’etichetta che avrai sarà sempre quella. All'estero è più facile, anche perché la mentalità italiana è piuttosto obsoleta. L'imprenditore, come ha spiegato Belloni, non è abituato alla riunione periodica per parlare della sfida aziendale nei prossimi mesi. Se lo facesse, coinvolgendo i dipendenti, ed è facile soprattutto se l’impresa fosse piccola, verrebbero fuori più idee e soprattutto motivazioni. Il cambiamento arriva dal dialogo con le persone, nella messa a fuoco di quale sia la prospettiva attuale. Solo dopo si potrà programmare come cambiarla. Un libro, consigliato da Roberta Zantedeschi, è “Il futuro del lavoro è femmina – Come lavoreremo domani” di Silvia Zanella edito da Bompiani. Ora serve la forza emotiva, non quella muscolare.

FONDAMENTALE STARE BENE

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«Adesso – così Belloni – l'offerta è completamente cambiata, non si sa quale sia la domanda da parte del neoassunto. Dieci anni fa veniva messo sul tavolo il part time, il telefono aziendale, l'auto. Ormai sono offerte disallineate. E basta col luogo comune che “formare un dipendente costa”: chi vuol farlo, ha tutte le agevolazioni possibili». «Stanno nascendo – così Zantedeschi – figure professionali nuove: cambia la fisionomia del nostro mercato del lavoro. Per un lavoratore è diventato importante stare bene. Le soft skill, ossia le capacità relazionali e comportamentali, che caratterizzano il modo in cui ci pone nel contesto lavorativo, sono competenze che possono essere acquisite ma non spiegandole in un corso o passando dalle slide. Semplicemente, apprendendo sul campo. Sulla situazione occupazionale una delle parole chiavi è “fiducia”. Ce ne vuole tantissima. Come? la fiducia non è fede, nasce nel momento in cui ci conosciamo. Comunicare, infatti, è un altro concetto base». Chissà se il ragionier Fantozzi, vessato dai colleghi e dai superiori della Megaditta ma col posto fisso, negli anni Settanta, ora avrebbe il coraggio di mollare tutto per cercare un ambiente che lo possa finalmente apprezzare. Cinquant’anni fa, se ci avesse provato, sarebbe stato preso per matto.

E se le grandi dimissioni fossero la punta di un iceberg? Se nei prossimi mesi la rivoluzione sarà ancora maggiore? «È importante – conclude l’esperta – non lavorare più solo sull'urgenza, ma lavorare in ottica un po' più strategica. Il mio consiglio è di ragionare in una logica di personalizzazione. Significa essere più agili e flessibili. La rigidità ci fa del male. Dobbiamo essere equi tenendo conto delle caratteristiche di ognuno». Conclude Antonio Belloni: gli italiani di seconda generazione sono scolarizzati, parlano italiano e altre lingue. Hanno una cultura differente, quindi trovano soluzioni diverse agli stessi problemi. Si tratta di una forza demografica dirompente che farà una benefica concorrenza».