News

Plastica o non plastica? Imparare a conoscerla per utilizzarla al meglio

Plastica o non plastica? Imparare a conoscerla per utilizzarla al meglio
Plastica

Sotto molteplici forme è ovunque attorno a noi. La usiamo ogni giorno eppure tante volte la condanniamo come principale fonte di inquinamento per la sua origine petrolifera e perché viene continuamente dispersa. Ė la plastica, materiale duttile e durevole da riconsiderare, ma con criterio e con un impiego più consapevole. Come agire?

A fare un po' di chiarezza interviene “Ecco”, il think tank italiano per il clima, nel suo rapporto La plastica in Italia. Vizio o virtù? redatto in collaborazione con Greenpeace, Spring - cluster italiano della Bioeconomia Circolare - e le Università di Padova e di Palermo. Finalità dell'iniziativa è quella di favorire una decarbonizzazione della filiera, in accordo con gli obiettivi di neutralità climatica al 2050, attraverso soluzioni concrete per preservare la competitività del settore.

Infatti, assai di frequente il consumatore medio oscilla tra la demonizzazione della plastica e un suo uso sconsiderato. Allora si pensa di sostituirla con una miriade di materiali diversi e – sempre credendo di far bene all'ambiente – di compensarne l'impiego di ingenti quantità con una buona raccolta differenziata. E che tanto basti.

C'È PLASTICA E PLASTICA

Plastica

Purtroppo tutto questo non è sempre vero. Ad esempio, non tutto il materiale plastico può essere riciclato. «Dobbiamo considerare che il riciclo meccanico può essere applicato solamente ai polimeri termoplastici, caratterizzati da catene lineari o poco ramificate. Esistono poi i polimeri termoindurenti, con una reticolazione molecolare elevata, che non possono essere riciclati - spiega a “Imprese e territorio” l'ingegnera Giulia Novati, curatrice del rapporto e dottoranda del Politecnico di Milano – Inoltre, quando i polimeri vengono lavorati per il riciclo sono sottoposti a degli stress quali calore, sforzi meccanici ed elettrici, radiazioni ultraviolette, che ne modificano la struttura, la composizione e la morfologia, causandone una degradazione ad ogni ciclo di lavorazione».

Aspetti che limitano il riciclo della plastica, in quanto non sempre consentono di raggiungere un prodotto finale soddisfacente. A questa difficoltà va poi a sommarsi il problema del mix di materiali che viene conferito nel sistema di riciclaggio e che ne ostacola la buona riuscita.

Nel 2018 in Italia poco più del 30 per cento dei rifiuti post consumo in plastica sono stati avviati al riciclo meccanico, pari a 1,1 milioni di tonnellate. La quota aumenta al 45 per cento nel caso dei rifiuti da imballaggio, per un milione di tonnellate. Sono i contenitori in HDPE e in PET i manufatti più riciclati, seguiti da film per imballaggio in PE. Il resto della raccolta, circa 1,3 Mt, viene destinato al recupero energetico o alla discarica, poiché si tratta di poliaccoppiati o polimateriali difficili o impossibili da riciclare.

«Molto spesso ai riciclatori non arrivano dei flussi di polimeri omogenei ma misti – chiarisce Novati - Inoltre, la presenza di coloranti e additivi ma anche di altri materiali, come carta e alluminio, rende difficile il riciclo meccanico, poiché ogni molecola ha una composizione chimica specifica. Si arriva così a realizzare prodotti con caratteristiche finali scadenti, che vengono poi utilizzati per produrre oggetti che richiedono una qualità non eccelsa come vasi per piante, arredi urbani, sacchi per immondizie».

LESS IS BEST

Plastica

E qui entrano in gioco le aziende, chiamate a semplificare i loro prodotti scegliendo l'ecodesign. «Bisogna partire dal processo di ideazione del prodotto, che porti ad utilizzare una limitata varietà di materiali e a considerare anche il suo fine vita, in modo che possa essere disassemblato facilmente. Questo ha un duplice effetto positivo: permette sia di aumentare i tassi di riciclo ma anche di produrre dei prodotti secondari delle materie riciclate che siano di elevata qualità».

COME AMMORTIZZARE I COSTI E SCEGLIERE UNA FILIERA GREEN

Ma ci sono altri aspetti da rivedere per contenere i costi che tante imprese continuano a lamentare tra plastica riprocessata e vergine, con quest'ultima che si assesta ancora come la più conveniente?

Implementare gli investimenti verso una filiera più sostenibile può essere lungimirante all'interno di una strategia a lungo termine. «Bisogna considerare che, secondo la nuova direttiva Corporate Sustainability Reporting, sempre più aziende saranno chiamate a svolgere la rendicontazione non finanziaria, già a partire dall'anno prossimo, in termini di sostenibilità ESG, rispondendo delle loro azioni ambientali, sociali e di governance. E uno degli standard ESG è proprio sulla circolarità: le imprese che utilizzano polimeri riciclati potrebbero includere questa azione nella loro rendicontazione, con un conseguente impatto a livello positivo a livello di immagine e proiezione esterna sul mercato».

Per contenere il gap dei costi a livello istituzionale sarebbe opportuna, secondo l'esperta, anche una rivalutazione e un'eventuale modifica del contributo Conai, che oggi i produttori e gli utilizzatori di imballaggi sono tenuti a pagare per coprire, in proporzione al relativo impatto sull'ambiente, gli oneri della raccolta differenziata e del riciclaggio.

Plastica

Altro punto sul quale si suggerisce di intervenire è quello del contenimento delle immissioni dall’estero di plastica vergine: «La maggior parte dei polimeri consumati in Italia è di importazione: se il regolamento europeo Carbon Border Adjustment Mechanism – Cbam (Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere) venisse esteso anche ai polimeri, l'utilizzo di plastica riciclata prodotta in Italia potrebbe risultare più conveniente per le imprese. Infatti, questo regolamento comporta l'applicazione di un prezzo per le emissioni incorporate in alcuni prodotti di importazione – interviene l'ingegnera - Questo potrebbe essere uno strumento per livellare il costo tra polimeri vergini, per la maggior parte importati, e polimeri riciclati».

Un'altra leva per implementare la raccolta differenziata della plastica, sia in termini di quantità che di qualità del prodotto finale degli impianti di riciclaggio, è identificata nel sistema di deposito cauzionale (Deposit Return System - DRS). In soldoni, il consumatore viene coinvolto attraverso il pagamento di una piccola cauzione aggiunta al prezzo di vendita del prodotto - in Europa tra i 10 e i 25 centesimi di euro -, la quale viene restituita al momento del conferimento dell’imballaggio vuoto.

«Nei Paesi dove viene applicato si raggiungono tassi di raccolta per i contenitori per bevande, ad esempio, del 94 per cento, mentre in Italia siamo circa su un 46 per cento» illustra la ricercatrice.
Tra l'altro la proposta per il nuovo regolamento imballaggi Packaging and packaging waste regulation prevede l'introduzione di un sistema di deposito su cauzione se non vengono raggiunti gli obiettivi europei in termini di riciclo (ridurre i rifiuti da imballaggio del 15 per cento rispetto al 2018 ed entro il 2040, nda) in altri modi. Al momento in Italia, per quanto riguarda la plastica, gli obiettivi non sono ancora stati raggiunti».
La proposta del regolamento europeo è quella di applicare il sistema di deposito su cauzione anche a vetro e alluminio. «Perché mantenere la plastica nei sistemi dell'usa e getta e dell'overpackaging tout court e sostituirlo con altri materiali non è una strategia efficace – conclude Giulia Novati - Quindi la plastica non va demonizzata, però va gestita dalla sua produzione, all'utilizzo, fino allo smaltimento e a un eventuale riciclo o riuso». Giovanna Lodato

GUARDA IL DOCUFILM "IL MONDO DELLA PLASTICA"