Il successo di un'impresa? Capire i bisogni del mercato prima che lo capiscano gli altri

Il successo di un'impresa? Capire i bisogni del mercato prima che lo capiscano gli altri
Autoimprenditorialità e neo imprenditorialità Item

Spesso non è desiderio di cambiare, ma bisogno. E spesso si fa successo se si riesce ad ascoltare i clienti ancora prima di averli: captare i loro bisogni e portarli con sé senza avergli ancora mandato la fattura. Un mondo affascinante ed estremamente attuale, quello dell’autoimprenditorialità. Licenziarsi e far da sé, aprire per realizzarsi pienamente. Non è sempre facile, e molti affondano. Di fatto sempre più giovani, e non solo, sono pronti ad affrontare la sfida dell'autoimprenditorialità per superare il difficile momento occupazionale e realizzare una idea di impresa magari radicata o lasciata in un cassetto. Insieme a Valentina Marini, LinkedIn Top Voice Lavoro, digital communication, innovation & community engagement specialist e Antonio Belloni, coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio l’ultimo item a firma Confartigianato Imprese e Territorio cerca di capire cosa fare per partire con il piede giusto. E cosa non fare.

LA PAROLA CHIAVE È BISOGNO

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«Il desiderio – esordisce Marini – incide in pochissima parte: la parola chiave è “bisogno”. Un sondaggio lanciato in rete, empirico perché hanno risposto alcune centinaia di persone e non di più, può rendere l’idea». La domanda era: “in questo scenario di grandi dimissioni qual è la motivazione delle tue o di quelle altrui?”. Il 54 per cento degli interpellati non aveva dubbi. “Era arrivata un’offerta migliore”. Il turnover, cioè l’alternanza di tanti dipendenti in imprese diverse, non è dato da una maggiore richiesta di lavoro ma da maggiore competizione. Ormai infatti le aspettative della gente si sono alzate, e ognuno ha bisogno diversi. Il lavoro si muove: chi può migliorare le proprie condizioni, lo fa. La voglia di “autoimprenditorialità” nel sondaggio dell’esperta incide appena del 16 per cento. Sia per un maggior bisogno di equilibrio vita-lavoro, sia per la ricerca (ma è raro) di un’azienda più vicina ai propri valori, l’autoimprenditorialità non è desiderio ma bisogno, e c'è spesso tanta paura. Forse è l'ultima carta. Anche perché sul piatto ci sono dei soldi da investire, e potrebbe andare male.

«Prima di trasformare la propria idea in impresa – aggiunge Belloni – bisogna fare delle valutazioni. Siccome si parla di fenomeni recenti, sul web c'è tutto. Si deve ragionare sul prodotto e sul servizio, sui concorrenti e sul mercato. Occorre fare il punto sul margine di profitto. Concetti che convogliano in un business plan. Storicamente è la provincia e non la città che genera le imprese: le crisi cicliche di grandi aziende vedono tradizionalmente l’espulsione dall’organico di personalità brillanti, poi diventate imprenditoriali. E anche da qui si capisce come quella di questi ultimi fosse necessità». Chi ora va via, prendendosi rischi, lo fa perché l’azienda non risponde più alle sue aspettative, che possono essere richiesta di maggior successo, busta paga bassa, poco spazio, bassa soddisfazione ed equilibrio vita-lavoro inesistente.

DIFFICILE USCIRE DALLA LOGICA DEL CONTROLLO

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Le imprese devono prendere atto di questo cambiamento? O meglio, lo stanno facendo? Risponde Valentina Marini: «È in atto un grande cambiamento. Si parla tanto di ridisegno dell’esperienza lavorativa. Abbiamo persone più attente al proprio benessere, all'equilibrio vita-lavoro. Prima si parlava molto meno delle proprie aspettative. “Sei fortunato che lavori”, si diceva. Dal Covid la parola “benessere” ha assunto un nuovo significato. Gli stessi lavoratori leggono ormai le storie di altre persone che parlano delle proprie priorità. Poche imprese però sono pronte per prenderne atto: è molto difficile uscire dalle logiche del controllo. Non abbiamo tanti capi preparati, ricordiamocelo♫. Secondo l’esperta, la domanda vera è: “cosa sei disposto a perdere?”. Un lavoratore che vuole avere maggiore libertà deve anche avere più coraggio e più responsabilità. Ogni aumento di qualcosa comporta una rinuncia a qualcos’altro. Chiediamoci cosa siamo disposti a perdere.

L'IMPORTANZA DELLA RETE

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Belloni, come al solito brillantissimo nel sintetizzare, ritiene che «la stella polare di solito è il break-even, il punto di pareggio, quando tutto è in equilibrio. Chi si avvia verso queste attività nuove, autonome, riesce quando intuisce che c'è spazio di manovra per fare meglio. Cioè impara dall'esperienza. Vede che i clienti cercano una cosa che non c'è ancora. Chi riesce a ricapitalizzare tutto questo, fa il suo percorso bene». Rovescio della medaglia: devi sapere che l'azienda deve iniziare a rendere. Nelle pmi, soprattutto, c'è il vizio “di farsi bastare l’impresetta”. Pensare che dare lavoro alla propria famiglia e tirare fuori lo stipendiuccio, vada bene. Spesso molte Pmi con un buon prodotto e un buon mercato vanno avanti al limite per 4 o 5 anni: poi devono reinventarsi. «L'ascolto del mercato – prosegue – è la qualità più importante e ti porta ad avere i clienti prima di aprire perché li avevi ascoltati prima. A volte alcuni dipendenti erano andati via da un’azienda col pacchetto clienti, che non erano soddisfatti. Se manca questo plus dai business plan di ragazzi anche esperti, bravi e brillanti, allora sarà più dura».

«Si parla troppo poco – conclude Marini – delle caratteristiche che deve avere una persona prima di prendere le decisioni serie, come cambiare tutto o anche licenziare qualcuno. Il bisogno spesso non ti rende consapevole dell'impatto che possono avere. La soluzione è quella di creare relazioni e community. Così l'impatto delle nostre scelte resta nostro, ma puoi contare su persone fidate alle quali chiedere. Si limita il rischio di sbagliare».

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