Micromanagement, quando l'ansia del controllo fa male all'azienda e al dipendente

Micromanagement, quando l'ansia del controllo fa male all'azienda e al dipendente
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«Non chiederti come mai il dipendente non stia facendo niente per te, chiediti cosa tu non stia facendo per lui». Sembra vagamente una frase di Kennedy, in realtà è una delle tante massime efficacissime che si ricavano vedendo l’ultimo item a marchio Confartigianato Imprese e Territorio. Il ritorno delle dirette apprezzate nell’anno nuovo. Oltre ad Antonio Belloni, Head of research department di Confartigianato Imprese e Territorio ecco Francesco Limone, Linkedin TopVoice Vita-Lavoro e docente Luiss. Loro trattano il tema “Il micromanagement: fare il capo nel modo giusto è possibile?”. Sinossi: “Si parla spesso di micromanagement: di cosa si tratta, come si manifesta e, soprattutto, può riguardare anche le Pmi? Cosa succede in una azienda se il responsabile è oppressivo e non delega nulla ai propri collaboratori? Come affrontare la situazione che rischia di far scappare i talenti e di ridurre la produttività”.

UNO STILE MANAGERIALE NEGATIVO

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Il “micromanagement”, innanzitutto, è uno stile manageriale dove i manager osservano da vicino o controllano il lavoro del proprio subordinato o impiegato. Un incubo, a prima vista. In realtà, come sempre, il concetto è molto più complesso. Ormai, nel Ventunesimo secolo inoltrato, i consigli si ricorrono e convergono su pochi termini chiave. “Fare squadra”. “Essere sinceri”. “Trattare le persone… come persone”. “Ascoltare”. Sembrano banalità, in realtà sono modi di fare diventati scontati soltanto di recente.

Di fatto, statistiche vogliono che il 36 per cento degli auto licenziamenti siano dovuti proprio ad atteggiamenti tossici di micromanagement. Si tratta della ragione principale insieme agli obiettivi nebulosi della tal azienda. Chiarisce tutto Limone: «Di per sé, il micromanagement è uno stile manageriale non per forza sbagliato: lo diventa quando questo iper-controllo non è necessario, cioè quando non è richiesto. Se da “supervisione” indica la voglia di imporre un modo di fare le cose senza che sia richiesto. Non è il male dei mali, ma può inficiare il rapporto tra datore di lavoro e collaboratore. Può appartenere a tutti i contesti aziendali, in quanto riguarda il modo di interpretare il ruolo del manager e non guarda la persona che ha davanti».

LA DIFFERENZA TRA JUNIOR E SENIOR

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Anche Belloni non è tranchant. «Il flusso del lavoro sta cambiando – afferma – dato che la tecnologia è sempre più preponderante, e per questo si moltiplicano le informazioni. Bisogna tener conto che aumentano anche distrazioni e interruzioni. Oggi le riunioni si organizzano per prendere le decisioni, ma bisogna capire prima chi decide. L’obiettivo è di trovare soluzioni e coordinamento, oltre a distribuire e condividere le informazioni. Se un dipendente sa già cosa fare è un conto, ma il giovane devi “micromanagementizzarlo” per forza, siccome deve imparare tutto».

L’importante è che qualcuno glielo insegni. Come evidenzia Francesco Limone, gli imprenditori spesso sono autori di progetti che vanno oltre la loro esistenza terrena, ma (ed è una contraddizione) trovano a volte difficile fare spazio ad altri, tramandandogli i segreti del mestiere. E così non si rendono conto che la loro idea morirà con loro. Quindi, alla domanda se ci sia un modo giusto per gestire un team, la risposta è una conseguenza. «Oggi c'è il mito dell'eliminazione della gerarchia, e dell’auto imprenditorialità, ma ai giovani devi insegnare come si fa. Devono imparare a prendere appunti, da qualcuno che già sa fare. Non lo fanno, non imparano ed è il motivo per cui si stufano presto. Il giovane rappresenta una difficoltà per l'imprenditore. Prima di essere arroganti, devono dimostrare che quella cosa sanno farla bene e senza fatica. Dopo, semmai, potranno suggerire come cambiarla. Invece può capitare che da subito vengano a dire come fare le cose».

Per evitare lo “stress” del capo che deve ascoltare cento dipendenti, occorre valorizzare le figure intermedie, quelle che fanno da tramite, come in un giornale i caporedattori filtrano tra cronisti e direttore.

LA SACRA ARTE DEL DELEGARE

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Quest’ultimo, se il giornale funziona, deve imparare la sacra arte del delegare. Limone: «Ogni eccesso ai suoi limiti. Se non posso delegare a nessuno significa che non sto valorizzando nessuno. Come diceva Aristotele, “se vuoi sembrare coraggioso compi atti di coraggio”. Ebbene, se vuol delegare, prova a farlo». Con la trasparenza, con la capacità di saper ascoltare tutti, si ottengono risultati. Se coltivi un ambiente dove la gente è abituata a dire la verità, lo faranno. La fiducia avviene anche trasferendo il potere, ma la delega vera (di prendere una decisione) e non solo quella del fare, che alla fin fine è un ordine. Si deve creare un'aria serena che consenta a tutti, nel rispetto degli altri, di dire quello che pensano. Bisogna dare indicazioni chiare.

L'imprenditore deve mettersi in discussione chiedendosi perché il dipendente non fa passi avanti. «Il lockdown in questo – aggiunge Belloni – è stato drammatico: si sono notati i limiti della tecnologia». Il pubblico, che ha interagito come non mai in questo item, ha posto domande che hanno arricchito il discorso. “Come affrontare il doloroso passaggio generazionale?”. “Come si fa ad essere delle ottime figure intermedie?”.

SI' AL CONFLITTO MA SE GESTITO

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«Oggi – ha risposto Belloni alla prima domanda – si vuole eliminare il no, si evita il grande conflitto. Invece serve, il conflitto, se gestito. Si esce diversi sia come persone sia come gruppi». «Trovo fondamentale – così Limone – capire se il tal lavoro sia la strada giusta per l’individuo. Non tutti i figli di imprenditori sono chiamati a fare gli imprenditori. Ho visto imprese morire perché nessuno era stato preparato per tempo». E poi c’è il “middle manager”, quello che sta a metà. «Ciascuno – ancora Francesco Limone – deve lavorare per ottenere rispetto del proprio ruolo. Se non ne ottiene, valuti di cambiare azienda. Inoltre sarebbe bene fare rete con i suoi colleghi-omologhi di altre realtà».

Di fatto, il datore di lavoro del futuro deve essere sia una persona che pensa senza lasciare niente al caso, sia un “animatore di comunità” presente anche in ambito culturale. Il micromanagement attuale risente della tecnologia, ancora più ansiogena in quanto in grado di controllare (ad esempio) quando il dipendente ha letto la tua mail. Non fa bene a nessuno.