Parere unanime degli esperti: durante la negoziazione (che non è una “trattativa”, ma cambia) chiarite subito cosa per voi non è negoziabile, e cosa invece lo è. Questo è il segreto, soprattutto adesso che i prezzi salgono. Il caro commodities e il caro materie prime stanno riducendo per molte imprese il margine e il guadagno. Per questo sono in molte alle prese con la necessità di ritoccare i prezzi di vendita al fine di riacquisire un po' di ossigeno. Ma come può, una microazienda, trattare con i colossi, le multinazionali o la Gdo? L’ultimo item a marchio Confartigianato Imprese e Territorio del 2022, prima della pausa natalizia, vede tre ospiti: Antonio Belloni, coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, Alessandra Colonna, Ceo e managing partner di Bridge Partner e Domenico Pugliese, esperto di negoziazioni di Bridge Partner.
«Intendiamoci subito – esordisce Alessandra Colonna – su cosa voglia dire negoziare. Un termine che non va sovrapposto al concetto di condurre una trattativa. Negoziare significa riuscire a mantenere un giusto equilibrio tra il dire sì e il dire no, perché queste ultime sono due modalità confuse con la negoziazione ma che non hanno nulla a che vedere. Il compromesso, fare a metà, scontenta tutti. Negoziare non è accettare le pressioni, né battere i pugni sul tavolo. Per dire sì o no non ci vogliono grandi capacità; quindi, è opportuno mantenere aperto un canale negoziale».
Il consiglio è stentoreo: quando hai qualcosa che non è negoziabile è bene dirlo, e dirlo subito, e dichiarare invece ciò che sei disponibile a negoziare. Dove non puoi proprio essere flessibile, chiariscilo, mettilo sul tavolo, e non confondere in ogni caso «essere flessibile» con «concedere» tout court. Il linguaggio psicologico-comportamentale ha creato un termine ad hoc. Si chiama “assertività”: «una caratteristica del comportamento umano che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni senza tuttavia offendere né aggredire l'interlocutore». Sembra facile, non lo è affatto, ma l’assertivo vince sempre.
Bisogna anche saper ribattere alle obiezioni dell’interlocutore. Pugliese: «La preparazione prima della negoziazione viene trascurata dagli imprenditori ma è fondamentale. Bisogna partire dai propri bisogni: negoziamo perché dobbiamo soddisfare necessità economiche, di sicurezza, di continuità del lavoro. Se andiamo ad affrontare una negoziazione con un solo argomento, di solito il prezzo, si fanno compromessi ma non si negozia. Per negoziare serve un elenco di aspetti sui quali fare leva».
Quindi non solo il fattore economico ma tempi di consegna, la possibilità di customizzare il servizio. Occorre fissarsi degli obiettivi, sia cosa vogliamo portare a casa sia la flessibilità che siamo disposti ad avere. «Si deve, come già detto – prosegue l’esperto – essere molto chiari fin dall'inizio. Dato che nella trattativa dovrò spostarmi da un punto di partenza a uno di arrivo, dovrò sapere su cosa potrò fare delle richieste che mi compensino del valore che potrò perdere. Si tratta del classico concetto di scambio: tu mi chiedi delle cose e io ne chiedo a te, che non ti costano».
Il problema, e chi legge ed è imprenditore in una Pmi lo sa bene, è proprio che l’impresa medio-piccola può di solito mettere poco sul tavolo. Spesso temono di partire già sconfitte: il pesciolino che implora allo squalo di non divorarlo. Chiaramente, l’approccio è errato. Risponde Belloni. «Quando ci sentiamo, o siamo, sub-fornitori, è logico che la nostra condizione di partenza è debole. Di fatto siamo quelli che subiamo proprio perché costiamo meno, siamo spesso schiacciati sui tempi di consegna, lavoriamo in condizioni di urgenza, siamo pagati in ritardo e facciamo da banca. Dobbiamo quindi puntare all’eccellenza: bisogna fare in modo che si voglia proprio e solo il prodotto della nostra impresa. Così si ha potere negoziale. Questa è la condizione ideale a cui si tende per essere le sub fornitrici perfette: far sì di essere la prima scelta. Quanto succede? Raramente. Ma è la chiave, credetemi».
«Il presupposto spesso – aggiunge Pugliese – è di non avere potere negoziale. Dobbiamo capire quanto potere abbiamo e conoscere i bisogni degli interlocutori. Le persone tendono a fare poche domande. Un modo per iniziare a capire quanto potere abbiamo è conoscere meglio i bisogni altrui. Il mio valore sta nel soddisfarli, però non posso farlo se prima non li ho esplorati».
Ma come reagire quando vi dicono che “siete cari”? Colonna: «Tenendo conto che in ogni epoca si è sempre sentita dire la stessa frase, e che finalmente va capito se questo sia un periodo di crisi, oppure ormai la normalità. Capisco la sudditanza della Pmi media, ma se siamo seduti a quel tavolo un motivo c'è. Scrolliamocela di dosso. Chiediamolo: “siamo cari rispetto a che cosa, rispetto a chi?” La tecnica è quella di allargare la prospettiva dell'interlocutore. Dire qualcosa del tipo, “sì, magari abbiamo aumentato del 5% sul mercato italiano, ma in quello europeo i prezzi sono saliti del 7, e in quello globale del 12". Certo, devo avere i dati e devono essere veri. Ma trovatemi qualcuno che non abbia aumentato, in questo periodo».
C’è un ultimo concetto: di quanto posso aumentare prima di uscire dal mercato? La risposta di Antonio Belloni non è banale. «Il made in Italy è una carta. Soprattutto gli stranieri continuano a comprare da noi anche se costiamo di più, proprio per la qualità maggiore. All’estero so di aziende che hanno aumentato tre volte in un anno senza perdere clienti». Al solito, si deve mirare ad essere i migliori.