Meeting, fiere, preparazione e tanto inglese: le regole per un export di successo

Meeting, fiere, preparazione e tanto inglese: le regole per un export di successo
B2b

Pandemia più guerra (quella in Ucraina) dà come risultato “incertezza”. Il mondo delle fiere non fa eccezione. In una fase di transizione estremamente delicata e complessa come l’attuale bisogna o avere il dono della preveggenza, oppure adeguarsi. E uno dei modi per farlo è, se si è italiani, abbandonare il classico mainstream che ha contraddistinto molti di noi per decenni: «Il nostri prodotti sono più belli di quelli degli altri e non abbiamo bisogno di parlare bene l’inglese, oppure di andare incontro alle consuetudini e ai costumi del potenziale acquirente per vendere». Niente di più sbagliato: un prodotto, eccellenza del Made in Italy, potrà anche essere il migliore, ma gli acquirenti esteri potranno anche optare per altro. Magari anche per qualcosa di qualità inferiore, purché venduto nel modo giusto.

Così la vede Matteo Campari, export specialist per Confartigianato Artser. Lui di fiere ed esposizioni se ne intende, e fa da intermediario tra aziende e clienti. Pochi giorni fa è stato in Oman, alla Design & Build Week 2022 nella capitale Muscat. La prossima fiera? Non si sa. «A maggio – esordisce – dal 17 al 19 è prevista Warsaw Food Expo, in Polonia, tema “eccellenze gastronomiche” ed agroalimentare. Attualmente i padiglioni fieristici ospitano i profughi dall’Ucraina. Sacrosanto, s’intende. Ma di fatto ancora non possiamo sapere se partiremo. Capite che non è semplice organizzarsi così, per le aziende. E poi Lipsia, a novembre, con la fiera del restauro. Attualmente è in programma. Si farà? Lo spero. Davvero qualcuno saprà dire come sarà il Mondo tra otto mesi?».

L'ALTERNATIVA ALLE FIERE: I MEETING

Meeting in inglese

La pandemia, uno “stop and go” che ha fatto sì che, negli ultimi mesi, alcuni organizzassero le proprie fiere e altri le annullassero. L’effetto era, con l’evento confermato, di andarci e non trovare quasi nessuno, o solo persone del posto, cosa che toglieva quell’aura di “internazionalità” alla manifestazione. La soluzione, almeno parziale? I meeting. Le “fiere virtuali”, il B2B. «Permettono – prosegue l’esperto – di evitare di spostarsi da una parte all'altra dell’Europa o del mondo e di minimizzare impatto sull'ambiente. Rovescio della medaglia: abbiamo visto anche da esperienze dirette come questi incontri a distanza non siano così facili da gestire. Non sempre c'è l'attendibilità di potenziali compratori. Per molte culture è ancora fondamentale stringersi la mano, guardarsi negli occhi per creare un'empatia nei confronti dell'interlocutore e della narrazione».

LA PREPARAZIONE È TUTTO

Meeting in inglese

L’ennesima emergenza di questi anni scellerati (Covid, ora l’attacco della Russia) non crea problemi tanto alle esportazioni, ma agli approvvigionamenti. I clienti segnalano continuamente i rincari delle materie prime. Il rischio è quello di dover, addirittura, annullare le commissioni. Dire di “no” ai clienti per mancanza del materiale. Una situazione di estrema insicurezza. Dire che “si navighi a vista” è addirittura ottimismo.
«Per questo – prosegue Matteo Campari – dobbiamo favorire il B2B, gli incontri con le imprese straniere e far sì che diventino la linea di mezzo tra il primo approccio e l’incontro di persona, che prima o poi dovrà esserci. Fiera o meno». E qui arriva la nota dolente: bisogna prepararsi in modo adeguato a incontrare i buyers stranieri. Molti imprenditori non sono ancora pronti a interloquire con loro, pensano che il prodotto parli da sé ed è un grandissimo errore. Ormai bisogna essere anche in grado di raccontarlo in modo consono, o il cliente farà presto a dimenticarlo e a passare altrove.

FORMARSI E ACQUISIRE UN METODO

«Sì, se alcune aziende italiane – prosegue l’esperto – vogliono fare il salto di qualità devono imparare a trattare coi venditori stranieri, e soprattutto parlare inglese. Siamo tra i popoli che lo parlano peggio al mondo. Faccio solo un esempio: la Germania vuole un tecnico che parli anche tedesco, per ogni trattativa. L’alternativa è che l’approccio non inizi neanche. Figuriamoci se si trovano davanti un interlocutore che mastica un inglese scolastico… La mia non è critica ma piuttosto un tentativo di “diagnosi”, per migliorarci. E questo difetto è via via più eclatante. Ci sono aziende con prodotti molto meno interessanti ma più organizzate, che fanno strada».
Imprenditori italiani, vendetevi meglio. Formatevi, acquisite un metodo, imparate l’inglese, entrate nei costumi dei popoli coi quali volete fare affari. Non sarà tempo perso.

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