Retention dei collaboratori: strategie e consigli per non farsi scappare i talenti

Le dinamiche inflattive spesso non danno la possibilità di scaricare l'aumento dei costi per il personale sul cliente; allora, c'è un aumento del grado di insoddisfazione delle persone e dall’altra c’è la frustrazione delle aziende di non poter dare di più. Vi spieghiamo cosa fare in questo articolo del nuovo magazine dedicato al lavoro

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Il mondo del lavoro sta cambiando con prepotenza ed è impossibile, a questo punto, non farci i conti. Introdurre dipendenti in azienda richiede nuovi approcci e nuovi paradigmi, specialmente se la richiesta si indirizza ai giovani, che selezionano con grande cura il luogo di lavoro nel quale trascorrere parte della loro vita. Gli imprenditori sono, dunque, di fronte a una sfida di portata storica, soprattutto perché l'inverno demografico ha ridotto il numero di giovani pronti a inserirsi nel mondo del lavoro, così come il turnover è diventato una prassi comune, salvo mettere in campo precise strategie di retention. In questo secondo speciale dedicato al lavoro che cambia cerchiamo di offrire strumenti e strategie per affrontare il cambio di rotta e per acquisire fattori di sviluppo importanti attraverso la sinergia tra dipendenti storici e nuovi ingressi.

 

Il problema numero uno delle piccole e medie imprese oggi è quello di non farsi sfuggire i talenti. Un tema complesso tanto quanto la ricerca di collaboratori con competenze e qualifiche adeguate.

«I nostri collaboratori sono il patrimonio più importante» è il leitmotiv di ogni imprenditore che ha a cuore il futuro della propria azienda. Lo diceva in tempi non sospetti un imprenditore del calibro di Adriano Olivetti e questo vale ancora oggi: i collaboratori sono l’“attivo” più alto per le aziende. Ma come conservare e valorizzare le risorse umane? Come può un’azienda trattenere i talenti una volta che riesce a individuarli e ad assumerli? Magari facendo anche fatica a trovarli e pagandoli più di quanto fosse stato preventivato. Che strategie utilizzare? Ne abbiamo parlato con Antonio Limardi, human resources manager, docente di gestione del personale, e vicepresidente di GDPI, Associazione direttori di risorse umane.

PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE

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«Il tema della retention è il tema più importante in questo momento e lo posso dire anche nella veste associativa, confrontandomi con i colleghi è il tema numero uno», conferma Limardi, «è esploso dopo il Covid e assume particolare rilevanza proprio in questo periodo perché caratterizzato, nella maggior parte dei settori, da una fortissima tensione sulle risorse. Le dinamiche inflattive spesso non danno la possibilità, come dire, di scaricare l'aumento dei costi dei fattori sul cliente, chiunque esso sia; allora, da un lato c'è un aumento del grado di insoddisfazione delle persone, dall'altro le aziende hanno sempre di più questa percezione ma hanno poi difficoltà ad agire sul piano economico» per dare di più ai collaboratori.

«Allora che cosa fare? La prima cosa che andrebbe fatta è quella di prevenire», sostiene Limardi. «Sostanzialmente – spiega l’esperto – si tratta di avviare delle azioni strutturate per andare a capire quali sono le aspettative di chi al momento è in azienda. Tendenzialmente le aziende fanno il contrario: quando qualcuno se ne va, cercano di agire decidendo se rilanciare o meno ma, evidentemente, cercando comunque di capire le motivazioni in uscita. La prima grande azione che andrebbe fatta è invece quella di capire i sentimenti, le aspirazioni del personale esistente. Questa cosa si fa fondamentalmente su due grandi direttrici. La prima è capire il grado di comprensione di quella che è la strategia e la cultura aziendale da parte delle persone che ci lavorano, cioè capire se c'è coerenza tra quella che è la strategia che normalmente l'imprenditore ha e il vissuto culturale della strategia da parte della prima linea e di tutti i dipendenti. La seconda azione, invece, è quella di andare a strutturare dei percorsi, anche di carriera, che diano una prospettiva al personale».

CHECK UP E PROSPETTIVE

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Da parte dell’azienda si tratta, quindi, di capire come stanno i collaboratori e dargli una prospettiva di crescita. «Il primo punto è fare un check, come dire, culturale», spiega meglio Limardi, «la domanda che io faccio ai colleghi, ai direttori del personale, è: tu sei sicuro che la strategia, i valori, la cultura, quello che adesso viene definito il purpose dell'azienda, sia compreso dalle persone? È il primo step. Spesso le persone vanno via perché, come dire, non sentono la strategia – prosegue - non capiscono il significato di certe azioni, soprattutto in questo periodo in cui la turbolenza induce a repentini cambi di rotta».

Ma come fare questo check culturale? «Normalmente si fa ragionando proprio sulla prima linea», replica Limardi, «perché il gruppo ristretto dei collaboratori rispetto al vertice è quello che rappresenta la catena di trasmissione della strategia. La prima domanda è: sei sicuro che la tua squadra, i tuoi primi riporti, trasmettono l'organizzazione, la tua strategia e i tuoi valori chiave? La risposta è normalmente: non tutti lo fanno e non tutti lo fanno in maniera uguale».

CAOS E ASSENZA DI PROSPETTIVE NEMICI DELLA RETENTION

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Il risultato è un contesto caotico che non depone a favore della retention. «Questo fa sì che all'interno dell'organizzazione ci sia confusione e la confusione è uno dei primi elementi che induce le persone a muoversi», sostiene Limardi.

«Il secondo punto, invece, è quello di cercare di disegnare delle politiche di carriera, sia dal punto di vista delle posizioni sia dal punto di vista retributivo, che diano una prospettiva», sottolinea l’esperto di risorse umane, e «non è difficile in sé dal punto di vista tecnico, è difficile farlo in un momento come questo che è rappresentato da grandi incertezze e grandi cambiamenti. Ma la mia è una raccomandazione a farlo».

«Cercare, per quanto possibile, di dare una prospettiva è una cosa, se ci pensa, anche abbastanza ovvia», continua Limardi. «Le aziende cadono in un circolo vizioso», mette in evidenza l’esperto, «fanno fatica a dare prospettiva perché ragionano a breve e più ragionano a breve, più le persone vanno via. Ecco, questo è un po’ l'avvitamento che si crea».

COSA FARE QUANDO SE NE VANNO

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Cosa fare invece quando queste forme di prevenzione non sono state adottate e, per così dire, i talenti sono scappati?
«Quando non si ragiona più solo in termini preventivi ma in termini reattivi rispetto a persone che se ne vanno, allora qui ci sono due raccomandazioni», spiega ancora Limardi, «se ci si trova di fronte a un gruppo importante di persone che se ne va, è importante fare un check della struttura organizzativa perché, probabilmente, da qualche parte c'è un capo che non funziona. I fenomeni di dimissione – prosegue l’esperto - sono associati al fatto che ci sia, magari, una leadership non adeguata da parte di alcuni».

«Il secondo tema, invece, ragionando non tanto in termini collettivi ma in termini individuali», prosegue «è di essere molto aperti ragionando a 360° sui contratti, cioè sulle tipologie contrattuali. Ci sono alcuni profili, ad esempio, che preferiscono la libera professione, a volte per un motivo fiscale, altre volte perché si sentono più liberi».

«In questi tempi bisogna essere assolutamente aperti e abbandonare le vecchie logiche», è il suggerimento di Limardi: «Avevi prima una posizione che era coperta da un dipendente e potrebbe essere coperta ora da due liberi professionisti o da un libero professionista e un part time».

LAVORO AUTONOMO E SMART WORKING

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L’azienda deve così, a sua volta, diventare più flessibile e fare i conti essa stessa con una realtà in continuo cambiamento. «È indubbio che ci sia una tendenza, soprattutto generazionale, a privilegiare forme di lavoro più vicine alla libera professione, al lavoro autonomo», osserva Limardi, e «il mio suggerimento forte è ragionare in termini il più possibile flessibili. Ci sono dei liberi professionisti che portano più valore aggiunto alla singola impresa di dipendenti».

«Una posizione – esemplifica l’esperto - può essere spacchettata in due oppure potrebbe esserlo in toto e va fatto un ragionamento sulla posizione stessa e sulle formule contrattuali perché in questo momento, grazie all'utilizzo delle tecnologie, le alternative disponibili sono più di una».

«Il lavoro che prima faceva una persona andando sul luogo di lavoro tutti i giorni - beccandosi la coda in tangenziale magari - può essere fatto da una persona che adesso sta a Palermo e una che sta a Bergamo», fa notare Limardi, pertanto «io consiglio vivamente di produrre forme ragionate di flessibilità oraria e di smart working, che è apprezzatissimo perché ha un effetto sulla qualità della vita incredibile e può anche dar luogo a una significativa riduzione dei costi per l'azienda stessa».

Si tratta quindi di ragionare sulla flessibilità dei contratti ma anche delle regole che sono sottese ai contratti già esistenti.

LA MARCIA IN PIU’ DELLE PMI
Il fenomeno delle dimissioni volontarie – la Great Resignation - è un'onda lunga che arriva dagli Stati Uniti del post Covid e si sta presentando anche da noi in modo dirompente, nonostante il mercato del lavoro italiano sia molto meno dinamico. «Il fenomeno c'è, è importantissimo», rileva Limardi, ed «è in crescita, è uno tsunami: non conosco nessuno che in questo momento, tra i miei colleghi, non abbia un problema importante di dimissioni; non va sottovalutato, però di armi, sia preventive sia reattive, ce n’è, come abbiamo visto. Bisogna solo ragionarci».

«Secondo me le Pmi possono avere una marcia in più», conclude l’esperto, «perché tendenzialmente è vero che la dimensione ridotta potrebbe renderle più vulnerabili, ma in genere è più chiara la strategia perché è correlata direttamente all'imprenditore rispetto ad aziende più grandi. In questo c’è una possibilità distintiva per le Pmi: possono muoversi con più agilità. Devono quindi approfittare della loro naturale agilità e del fatto che i processi decisionali possono essere presi con estrema efficacia e tempestività». Giuliano Longo

Magazine 04 - 2023  - SPECIALE LAVORO

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Il mondo del lavoro sta cambiando con prepotenza ed è impossibile, a questo punto, non farci i conti. Introdurre dipendenti in azienda richiede nuovi approcci e nuovi paradigmi, specialmente se la richiesta si indirizza ai giovani, che selezionano con grande cura il luogo di lavoro nel quale trascorrere parte della loro vita. Gli imprenditori sono, dunque, di fronte a una sfida di portata storica, soprattutto perché l'inverno demografico ha ridotto il numero di giovani pronti a inserirsi nel mondo del lavoro, così come il turnover è diventato una prassi comune, salvo mettere in campo precise strategie di retention. In questo secondo speciale dedicato al lavoro che cambia cerchiamo di offrire strumenti e strategie per affrontare il cambio di rotta e per acquisire fattori di sviluppo importanti attraverso la sinergia tra dipendenti storici e nuovi ingressi.