Manifatturiero in crisi: cause, numeri e le strategie per ripartire
Produzione in calo, aziende che chiudono e settori chiave in difficoltà. Quali strategie adottare per rilanciare il manifatturiero italiano nel 2025?

I dati Istat sono inclementi e consegnano una fotografia di un’Italia che, nel 2024, lascia a terra produzione (su base annua il calo è del 7,1%) e fiducia. Una preoccupazione trasversale che non lascia tranquilli neppure i settori chiave, per tradizione ma anche per fatturato, della Penisola: da un lato la meccanica e dall’altro la Moda. Declino annunciato, causa le tensioni geopolitiche che si vivono anche nel nostro Paese, ma anche registrato a suon di commesse, che sono sempre meno, e di margini che si assottigliano sempre più.
Però, su un particolare Confartigianato mette l’accento: se nell’ultimo scorcio del 2024 la fase congiunturale negativa si è accentuata proprio nella Moda e meccanica, ad inizio 2025 le attese sugli ordini, seppur ancora in territorio negativo, registrano diffusi segnali di miglioramento. La reazione si fa attendere sulle previsioni di assunzione, che per ora sono in forte calo, ma non sulla selezione del tessuto imprenditoriale: in tre anni, dal 2021 al 2024, Moda e meccanica hanno perso 19 imprese al giorno. Per inserirsi nel solco della continuità, gli imprenditori sono chiamati a nuove strategie organizzative e produttive: crescere, sperimentare, innovare e collaborare non sono semplici scelte.
LA MECCANICA PERDE IL 6% DELLA PRODUZIONE

Il futuro si può leggere e affrontare solo se si ha ben chiaro cosa è accaduto nel passato, ma sono le ragioni di questo tracollo a dover essere portate in superficie per una corretta analisi. Ragioni che per molte imprese – nei prossimi giorni potrete leggere una nuova inchiesta di Confartigianato Imprese Territorio con le riflessioni di alcuni imprenditori – sono ancora offuscate da meccanismi che, a livello mondiale, sono scoordinati.
Da qui, la necessità di un’attenta analisi sul cuore pulsante dell’Italia: nel bilancio 2024, la produzione manifatturiera scende del 3,7% rispetto al 2023, con i cali più ampi per mezzi trasporto (-11,3%), moda (-10,5%), macchinari e impianti (-4,8%) e metallurgia e metalli (-4,6%). Nella media dei tre comparti di riferimento, la meccanica perde il 6% della produzione.
LA MODA E L’AUTOMOTIVE: PELLE E CALZATURE IN ROSSO
Sono i due settori sui quali le difficoltà si sono fatte maggiori: nella moda il calo di produzione è più marcato per pelle (-17,0%) e calzature (-18,5%). Il tessile lascia a terra il 6,9%, mentre l’abbigliamento il 7,5%. Nella meccanica, a pesare in modo maggiore è il calo del 29,1% della produzione di autoveicoli. La recessione nell’automotive colpisce un esteso indotto, dominato dai settori della meccanica: i prodotti in metallo determinano il 9,3% del valore aggiunto della filiera dei mezzi di trasporto su gomma, i macchinari il 6,9% e la metallurgia il 4,2%.
LA SELEZIONE DELLE IMPRESE: IN TRE ANNI HANNO CHIUSO 19 IMPRESE AL GIORNO

Nella fase post Covid aumentano le cessazioni di impresa a fronte di un maggiore stabilità delle iscrizioni: tra il 2021 e il 2024, lo stock delle imprese marca un -3,1%. Il fenomeno di selezione è più diffuso nella moda e nella meccanica: nel triennio in esame, in questi due comparti lo stock di imprese cala dell’8,8%, con una perdita di 21mila imprese, di cui oltre 10mila (pari al 50,5%) sono imprese artigiane. Nel triennio i due settori hanno perso 19 imprese al giorno, di cui 10 imprese artigiane.
I FATTORI CRITICI
Ci sono e, purtroppo, si sommano fra loro causando un cortocircuito nell’economia:
- Le tensioni geopolitiche indeboliscono la ripresa del commercio internazionale, sui cui potrebbe agire da ulteriore freno una guerra commerciale innescata dai dazi USA
- La spinta dei prezzi ha deteriorato il potere di acquisto delle famiglie e compresso la domanda di beni di consumo e di investimento, tra cui le autovetture
- La successiva stretta monetaria ha portato in territorio negativo il trend della domanda di investimenti in macchinari e impianti
- La recessione in Germania, e il basso profilo di crescita della Cina, pesano sulla domanda di prodotti del Made in Italy
- Sulla filiera della meccanica pesano le incertezze del mercato dell’automotive nella difficile transizione alla mobilità elettrica
- Le prospettive di una politica fiscale prudente, che deve mantenere entro il limite dell’1,5% la crescita annua della spesa pubblica primaria netta come richiesto dalla riforma del Patto di stabilità e crescita, riduce gli spazi per le politiche industriali anticicliche
- Gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, da cui arriva un importante sostegno alla crescita dell’economia italiana, hanno un impatto più contenuto sulla manifattura
LE TERAPIE: POLITICA INDUSTRIALE A MISURA DI PMI E BONUS 5.0

Gli obiettivi di una corretta politica industriale
Una politica industriale concentrata soprattutto sulle piccole e medie imprese è più che mai necessaria. Come? Marco Giorgino, professore di Istituzioni e Mercati Finanziari al Politecnico di Milano, dice a Confartigianato Imprese Territorio che «bisogna partire dal manifatturiero e da quei settori che rappresentano le eccellenze della nostra economia: per esempio, la meccanica di precisione». Ma per farlo, ci vuole una politica industriale «mirata e incisiva che agisca nel medio e lungo termine».
Entrando nei dettagli, una corretta politica industriale – che si deve accompagnare alla politica fiscale e si confronta con la politica monetaria – secondo il professore deve porsi alcuni obiettivi fondamentali: «La crescita dei fatturati delle imprese, la crescita della competitività e la crescita della capacità delle aziende di essere efficienti e generare risultati che possono essere reinvestiti in un possibile futuro. La politica industriale, però, deve anche avere un impatto positivo sull’occupazione e contribuire allo sviluppo socioeconomico del Paese per contribuire al benessere collettivo complessivo (redistribuzione della ricchezza)».
I temi sui quali si gioca il futuro delle imprese
Di conseguenza, quali sono i temi sui quali investire e che potranno fare la differenza nel prossimo futuro?
- Capitale umano – Serve capitale umano qualificato, e una politica industriale funzionale deve partire da qui: dalla formazione e riqualificazione dei collaboratori che già ci sono in azienda, ma anche dalla riforma del sistema scolastico. Università e Istituti Tecnici Superiori (ITS) compresi. Le imprese non possono supplire al loro bisogno di occupazione solo facendo leva sulla disponibilità dei lavoratori stranieri: bisogna tornare al passato e mettere in chiaro quale è la domanda di lavoro e quale offerta ci vuole per soddisfarla. Lavorare sugli ITS potrebbe risolvere questo problema
- Digitalizzazione – Non è un’etichetta ma un’esigenza concreta. Parlare all’imprenditore di digitalizzazione vuole dire offrirgli soluzioni che gli permettono di essere più efficiente e competitivo
- Sostenibilità – Ambientale ma anche sociale. La sostenibilità si misura nel tempo con i risultati
- Aspetti finanziari – E’ importante rivisitare il ruolo della finanza in azienda superando il rapporto storico con le banche, aprendosi ad altri canali, confrontandosi con strumenti che vadano oltre l’autofinanziamento e avvicinandosi a strumenti più di mercato
- Infrastrutture - Di una politica industriale, però, fanno parte anche alcuni temi sui quali le imprese non possono agire direttamente: infrastrutture per le reti di trasporto, per l’energia e per la digitalizzazione
Politiche territoriali e Pnrr
Nello stesso tempo, si avverte l’esigenza di una politica industriale che si sviluppi anche a livello territoriale/regionale e la capacità di usare al meglio il Piano nazionale di ripresa e resilienza: se da un lato, dalle imprese ci si attende un salto culturale nella giusta direzione, dall’altro il Pnrr favorisce quegli strumenti di sistema – ancora una volta digitalizzazione e sostenibilità – che portano le aziende ad avere meno inefficienze e ad essere più competitive. Il Pnrr può essere uno strumento di politica industriale.
Transizione 5.0: troppo poche le prenotazioni
A proposito di Pnrr: è proprio quest’ultimo ad aver riservato, al Piano Transizione 5.0, 6,23 miliardi di euro. Però, scrive il Sole 24 ore, i crediti di imposta prenotati fino ad ora sono solo di 395 milioni di euro, il 6,3% del totale. Perché non decolla Transizione 5.0? Perché non sono stati fatti passi avanti sui vincoli europei Dnsh (non arrecare danni ambientali significativi), gli investimenti nei settori più energivori sono complicatissimi o addirittura vietati, non è efficace l’automatismo per calcolare la riduzione dei consumi energetici per i macchinari.