Il senso di tutto arriva dalle prime righe dell'editoriale di Mauro Colombo: «La vera forza delle filiere corte non sta in una perfetta pianificazione centrale, quanto nella loro capacità di auto-organizzazione». Il direttore generale di Confartigianato Varese ribalta così decenni di teoria economica, partendo da un dato di fatto incontrovertibile: durante la pandemia, le reti territoriali hanno retto meglio delle catene globali. «Quando l'onda d'urto ha colpito l'economia mondiale, rivelando la fragilità di catene di approvvigionamento estese per migliaia di chilometri, qualcosa di sorprendente è emerso in controtendenza», scrive Colombo. Riconversioni produttive in tempi record, soluzioni innovative a problemi inediti, collaborazioni spontanee tra imprese prima concorrenti: «Queste risposte non erano previste in alcun manuale di gestione delle crisi, né imposte da piani centralizzati. Sono emerse naturalmente, quasi organicamente».
È questa la tesi che attraversa tutto il nuovo numero del magazine, costruita attraverso l'inchiesta di Annarita Cacciamani sui distretti industriali e l'analisi di Paola Mattavelli sulle sfide territoriali. Si va dritti al punto nell'intervista a Roberta Sebastiani dell'Università Cattolica: «Il distretto industriale non è mai morto, aveva solo perso appeal nella narrazione dominante». Con la globalizzazione e l'esternalizzazione produttiva, sembrava che tutto dovesse delocalizzarsi. «E invece, i distretti sono vivi, attivi, e in alcuni casi si stanno reinventando con forza», spiega la docente. L'esempio della Beauty Valley, distretto recente nato dalla riconversione di aree chimiche nel nord Italia tra Milano, Bergamo e Brianza, dove aziende di nicchia e multinazionali collaborano senza competere, dimostra che i modelli ibridi non solo funzionano ma rappresentano il futuro. «La forza del sistema sta nella sua capacità di integrare specializzazioni diverse», evidenzia Sebastiani.
Mattavelli spinge oltre, chiamando in causa Maria Prezioso dell'Università di Roma Tor Vergata per una riflessione più ampia: «È il territorio con la sua capacità di produrre in modo coerente e coesivo a fare la differenza. Lì dove ci sono comunità veramente integrate con le proprie risorse, c'è sviluppo economico». Non semplice crescita, precisa la professoressa, ma «sviluppo lento, articolato, sostenibile». Il monito è chiaro e i controesempi dolorosi: Taranto e Bagnoli insegnano che i fallimenti nascono dalla mancanza di visione integrata. «All'inadeguatezza di un piano coerente di programmazione si è sommata la carenza di manodopera qualificata e di risorse», spiega Prezioso. La lezione è che non si può localizzare un'impresa 'a caso', senza una pianificazione territoriale che tenga conto di impatto, benefici e salvaguardia della biodiversità.
Le storie di Roberto Poretti (La Fonte.Eu) e Maria Alberta Zibetti Fazzini (Fazzini Srl) diventano poi laboratori di analisi economica, non semplici celebrazioni del successo imprenditoriale. Davide Ielmini, content creator del magazine, non si limita a raccontare i traguardi raggiunti, ma li usa come casi di studio per dimostrare come funziona davvero l'economia territoriale. Dalla cantina del 1975 ai 40 Paesi di export per Poretti, con i suoi filtri che oggi recuperano perfino le pagliuzze dei metalli preziosi: «È nel Dna italiano, quante imprese sono nate in una cantina?», sorride l'imprenditore ottantenne ancora in prima linea. Dal lutto familiare al brand internazionale per Zibetti Fazzini, che nel 1992 perde il marito e si ritrova professoressa di lettere senza esperienza aziendale a gestire un'azienda tessile: «Ho fatto un salto nel buio con due figli da crescere. Le scelte importanti si fanno con la testa, ma alla fine ciò che conta è il cuore». Due percorsi che confermano empiricamente la teoria dell'auto-organizzazione descritta da Colombo: ecosistemi che nascono dal basso, si evolvono, resistono alle crisi e si reinventano senza perdere le radici.
Il nuovo format del magazine - una sola grande inchiesta anziché tanti argomenti dispersivi - si rivela così strategico: non più solo informazione, ma cultura economica approfondita.