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Stranieri e mismatch occupazionale: ecco le nuove professionalità da valorizzare

Stranieri e mismatch occupazionale: ecco le nuove professionalità da valorizzare
Stranieri in azienda

Colmano spesso carenze di professionalità nel mondo del lavoro: gli immigrati in Italia rappresentano un apporto indispensabile alla nostra economia e, da questo punto di vista, le piccole e medie imprese hanno fatto da apripista come documentato da Imprese e Territorio in una inchiesta e in un docufilm.

Certo, sul fronte dell’integrazione ottimale molto resta ancora da fare. La domanda, infatti, è: come innescare un percorso virtuoso, che porti a una valorizzazione a lungo termine dei talenti e delle competenze del personale straniero?

IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA

«L'immigrazione è uno specchio della società ed è uno specchio del mercato del lavoro, quindi ci fa vedere quelle che sono delle criticità che esistono», chiarisce la professoressa Laura Zanfrini. Prima tra tutte, secondo la docente, l'elevato tasso di inattività complessivo: «Significa che c'è una forza lavoro potenziale assolutamente inutilizzata. E l'Italia continua a essere uno dei Paesi europei con i più alti tassi di inattività, non solo femminili ma anche maschili».

Un fenomeno che colpisce anche le frange più giovani della popolazione. L'ultimo Rapporto annuale dell'Istat per il 2023 conferma che nel Belpaese gli inattivi tra i 15 e 29 anni – i cosiddetti Neet – sono pari a 1,7 milioni, quota sopra la media Ue di oltre 7 punti e più bassa solo rispetto a quella della Romania. «Abbiamo un 20 per cento di giovani che non studiano e non lavorano – sottolinea la docente - E tra gli stranieri questa percentuale sale addirittura ad oltre un terzo».

Nonostante questi dati, l'apporto della forza lavoro straniera non manca di rappresentare una fetta importante per la nostra economia, al punto da chiedersi se l'inserimento del personale straniero possa rappresentare una soluzione al problema del mismatch occupazionale, con le imprese attanagliate dall'impossibilità di reperire personale sufficiente. L'esperta invita, perciò, a guardare all'esempio della Germania: «Lì non sono tanto le politiche migratorie ad essere diverse rispetto al nostro Paese ma il fatto che esista una rete di centri per l'impiego che funziona e che fa il matching tra domanda e offerta di lavoro per tutti. In Italia questa cosa non c'è».

In questo scenario, secondo la professoressa, colmare il divario presente nel mercato del lavoro attraverso il fenomeno migratorio è impensabile. «Nella situazione demografica attuale è riconosciuto che un certo contributo dall'immigrazione debba venire, tant'è vero che anche questo Governo ha alzato le quote di ingresso ed è entrato in una logica di programmazione triennale (“Programmazione dei flussi d’ingresso legale in Italia dei lavori stranieri per il triennio 2023-2025”, ndr). Il nostro mercato del lavoro è destinato a diventare sempre più eterogeneo anche nella sua composizione dal punto di vista etnico ma questo non deve voler dire che noi affidiamo all'immigrazione la soluzione dei nostri problemi, perché sarebbe incauto e fallimentare».

DA DOVE RIPARTIRE

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Allora come risolvere i problemi più stringenti? «Dobbiamo agire contestualmente su diversi fronti – suggerisce Zanfrini - governando bene le migrazioni ma anche mettendo in campo degli interventi di politiche attive di sostegno al lavoro, riqualificazione professionale e di contrasto all'economia sommersa, che favoriscano la più ampia partecipazione al mercato del lavoro e quindi anche un riequilibrio dei nostri indicatori».

Per assestare l'ago della bilancia non si può, perciò, ignorare che gli immigrati di frequente ricoprano impieghi per i quali si fatica a trovare un'alternativa. «Parliamo di lavori che molto spesso sono indispensabili per la nostra sopravvivenza, in settori quali agricoltura, logistica, assistenza».

Molto spesso questi lavoratori sono attori del fenomeno dall'overqualification, in quanto vanno ad assumere ruoli demansionati rispetto al loro bagaglio educativo e formativo. «Esiste poi un mancato riconoscimento di quelle che possono essere le competenze acquisite anche in contesti non formali, come quelle che spesso gli immigrati hanno (e magari non sanno neanche di possedere!). In primis parliamo delle competenze linguistiche e interculturali, molto preziose in una prospettiva di internazionalizzazione della nostra economia».

LA DIVERSITÀ E L'IMPORTANZA DELLE AZIENDE

Stranieri in azienda

Valorizzare queste qualità è fondamentale per le aziende, chiamate perciò a riconsiderare il ruolo chiave delle risorse umane e delle professionalità utili – al pari delle figure impiegate nel settore legale piuttosto che in quello fiscale – ad applicare una gestione inclusiva di queste risorse.

L'invito è quello di sfruttare quanto, in nuce, già si fa da tempo sulla scia del «buon senso imprenditoriale» che ha contribuito a tracciare la storia di successo per tante nostre piccole e medie imprese. «Oggi si tratta di fare un salto di qualità, che vuol dire immettere nelle aziende competenze e consulenze in grado di accompagnarle nella gestione di organici aziendali sempre più eterogenei al loro interno, ma anche in grado di aiutarle a prendere consapevolezza di quello che già fanno e di quello che già sanno e che magari non sempre sono in grado di comunicare in maniera efficace», asserisce Zanfrini.

Lavorare su questo fronte significa anche rendersi partecipi di un cambiamento culturale. «Spesso rappresentiamo le politiche di integrazione come qualcosa che devono fare i Governi ma il grosso del successo e dell'insuccesso dei percorsi di integrazione è nelle mani degli attori della società civile. Si gioca nelle scuole, nelle parrocchie, nelle comunità locali e nelle stesse aziende».

La metodologia da impiegare per rapportarsi alle risorse umane rappresenta dunque per le imprese un'occasione per creare valore aggiunto e per influire positivamente all'interno degli orientamenti culturali complessivi della società. «Le aziende, soprattutto le piccole, sono veri laboratori di sperimentazione della convivenza interetnica, con un grandissimo potenziale di incidere sulla qualità complessiva dei percorsi di integrazione – conclude la docente - Perché, soprattutto in alcune realtà locali, quello che fa un'azienda poi fa cultura. Bisogna oggi che le aziende siano consapevoli di questa grandissima opportunità che hanno nelle mani». Giovanna Lodato

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