Dalla globalizzazione alla riglobalizzazione: come le Pmi possono affrontare il "mondo nuovo"

Dalla globalizzazione alla riglobalizzazione: come le Pmi possono affrontare il "mondo nuovo"
Globalizzazione e deglobalizzazione

Dalla globalizzazione alla ri-globalizzazione, passando per la deglobalizzazione. Dietro la terminologia, come spesso accade, si nasconde un mondo. E i grandi eventi degli ultimi anni, come pandemia e conflitto in corso in Europa, hanno rimesso in discussione quello che per decenni è parso essere il modello vincente per la distribuzione dei beni. A che punto siamo? Quali prospettive per le Pmi? Ne abbiamo parlato in occasione dell'ultimo Item d'Impresa in diretta con Gianmarco Ottaviano, professore di economia alla Bocconi, Antonio Belloni, coordinatore del Centro studi Imprese Territorio e Jacopo Brioschi, coordinatore dell'area innovazione e sviluppo di Artser.

GLOBALIZZAZIONE: DI COSA SI TRATTA?

Globalizzazione e deglobalizzazione

«Globalizzazione - ha evidenziato Ottaviano - è il nome che diamo all’aumento crescente del peso degli scambi internazionali nell’economia dei Paesi. Nasce dal desiderio dei Paesi che hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale di non ripetere gli errori fatti tra il primo e il secondo conflitto». Le sue caratteristiche sono così sintetizzabili:

- è sorto un desiderio di coordinamento tra Paesi in tema di scambi commerciali;

- sono migliorate le condizioni di vita medie;

- tante persone sono uscite dalla povertà, in particolare nei Paesi in via di sviluppo;

- è cresciuta la specializzazione dei Paesi stessi in ciò che sapevano e sanno fare meglio.
 

OCCASIONI E SVANTAGGIO PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

Globalizzazione e deglobalizzazione

Le Pmi sono spesso state trascinate in quella che potremmo definire “prima globalizzazione” dalle grandi imprese: molte da piccole sono divenute medie e altre sono nate dall’uscita dalle grandi. La globalizzazione ha consentito di divenire maggiormente autonomi, si pensi alle “multinazionali tascabili” e al quarto capitalismo.

Questa “prima globalizzazione” ha fatto sì, quindi, che anche micro imprese divenissero globali. Per moltissime aziende italiane, oggi, parlare di mercato interno vuol dire fare riferimento al mercato europeo. Tutto ciò ha comportato vantaggi in termini di accumulo di capitale intangibile, di rafforzamento del fatturato e di apertura alle catene del valore. Ma concorrenza vuol dire anche rischi di imbattersi in concorrenti che non rispettano normative lavoro, che hanno materie prime meno performanti ma che sostanzialmente operano con una concorrenza sleale.

LA QUESTIONE CINESE E L’ATTENZIONE VERSO LA GERMANIA

Globalizzazione e deglobalizzazione

La Cina, divenuta una superpotenza a livello economico e ambiziosa anche a livello militare, rappresenta un importante partner commerciale per molti Paesi. Tuttavia, le tensioni geopolitiche degli ultimi tempi hanno reso il rischio di avventurarsi in determinati mercati e dipendere per le proprie forniture da determinati Paesi più elevato. Ciò significa che alcune Pmi potrebbero dover rivedere la loro strategia di internazionalizzazione. Da qui il concetto di riglobalizzazione: ci sono mercati più o meno “amici”, esistono partner considerati affidabili e altri meno. Di questo bisogna sempre più tenere conto. Quali sono, poi, le implicazioni della guerra commerciante tra Stati Uniti e Cina sulla globalizzazione? «La lente con cui le nostre piccole e medie imprese possono guardare a una guerra per ora tecnologica, pensiamo ai microchip - ha spiegato Belloni - è quella che punta sulla Germania, che è un grande partner italiano in settori come la meccanica e l’automotive. Oggi una gran parte della politica tedesca vorrebbe sganciarsi dalla Cina, le aziende no. Noi risentiremo di questa situazione».

Così Brioschi: «Le nostre aziende che vendono prodotti intermedi alle aziende tedesche hanno un rischio alto, la sostenibilità di queste aziende tedesche dipende molto dal mercato cinese. Sicuramente siamo di fronte a due temi interessanti: da un lato l’aspetto della crescita dell’export immateriale, in questi due anni c’è stata una forte evoluzione con l’Industria 4.0 che diventa un’opportunità per continuare a lavorare senza recarsi fisicamente all’estero. Per quanto riguarda i prodotti, soprattutto in settori delicati in cui l’Italia è leader, diventa importante non tanto delocalizzare per essere presente là dove si trova il cliente finale, ma essere vicini con filiali e magazzini»

LE SFIDE PER I PROSSIMI ANNI

Quali sfide, per le Pmi, nei prossimi anni? Gli esperti, in ultima battuta, ne hanno individuate almeno cinque:

- occorre comprendere come riorganizzare il mercato europeo sulla base dell’uscita dall’UE del Regno Unito;

- va interpretata e analizzata un’area di aggregazione che si sta creando nell’Indopacifico;

- bisogna valorizzare il proprio assetto informativo: oggi, più che mai, occorre conoscere, analizzare i dati, immergersi in network informativi affidabili, avere un sapere di qualità. Da ciò deriveranno le scelte future;

- è importante “rinfrescare” la conoscenza dei clienti storici. Quali sono le loro attuali dinamiche? Conoscere, quindi, per non essere impreparati dinanzi al nuovo contesto;

- in particolare le piccole aziende possono cercare mercati di dimensioni ridotte, meno interessanti per le grandi aziende. In Europa due esempi riguardano il Portogallo e alcuni distretti produttivi della Spagna.

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