Regoli fiscali certe e incentivi a lungo termine per consentire alle imprese di programmare i propri investimenti. Secondo Marco Grazzi, professore ordinario di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, così facendo si potrebbe incentivare le Pmi a investire e, soprattutto, invogliare le imprese estere a investire in Italia.
La modalità per creare un sistema fiscale favorevole agli investimenti è un tema delicato, spinoso e dibattuto. L’analisi del prof. Grazzi mette al centro le criticità legate alla difficoltà di programmazione da parte delle imprese e al grande debito pubblico italiano che non dà allo Stato grandi difficoltà di manovra. «Il sistema va tenuto in equilibrio, deve essere sostenibile. Le difficoltà sono tante, lo vediamo ogni anno quando il Governo di turno deve redigere la legge di bilancio. Parallelamente un ruolo importante può giocarlo anche l’Unione Europea tornando a fare politica industriale e creando le condizioni perché alcuni componenti strategici per l’industria tornino ad essere prodotti in Europa».
Uno dei temi più rilevanti in materia di politica fiscale è legato alla certezza delle regole fiscali. «Gli incentivi dovrebbero essere declinati sul medio/lungo termine. Almeno 5 anni. È fondamentale perché darebbe modo alle imprese di fare una programmazione strategica degli investimenti, sapendo con certezza quali saranno gli incentivi a disposizione» spiega il docente.
Si tratta di una questione importante perché limita anche gli investimenti dall’estero: un sistema fiscale e un sistema giustizia che, a volte, risultano essere poco chiari sono visti dagli stranieri come un deterrente agli investimenti nel nostro Paese. “Da questo punto di vista un buon programma è stato Industria 4.0 – evidenzia il Grazzi - che ha però creato ulteriori disequilibri tra i Paesi europei dato che tanti dei prodotti acquistati con gli incentivi venivano realizzati in Germania, che ha quindi beneficiato due volte da questa iniziativa».
Altro tasto dolente riguarda, secondo il docente, la politica industriale dell’Unione Europea. «La politica industriale nel recente passato era stata messa da parte per privilegiare la competitività e il libero mercato. Durante la crisi causata dal Covid, questo si è fatto sentire perché sono venuti a mancare alcuni componenti strategici, come ad esempio i microchip, che in Europa non si producevano più e i cui prezzi sono andati alle stelle – spiega Grazzi - Ritengo quindi che l’Unione Europea debba intervenire per creare le condizioni per riportare le industrie che producono queste tipologie di componenti strategici sul territorio europeo. È un tema da affrontare a livello di Unione per non creare ulteriori disparità tra i vari Stati membri».
Stabilità e crescita sono due obiettivi che vanno uniti. Il traguardo che uno Stato vuole raggiungere è una traiettoria di crescita stabile. Ed è questo scopo delle manovre che ogni anno vengono fatte. «Ogni Governo si scontra con il debito pregresso che limita la possibilità di incidere. Il debito rende meno sostenibili certe riforme» sottolinea il docente della Cattolica. L’Italia ha, inoltre, la peculiarità di avere tantissime Pmi, di cui numerosissime di queste sono microimprese con meno di 5 dipendenti. «Le imprese più piccole, per svariati motivi, sono meno produttive di quelle grandi. Non riescono a fare investimenti ad alto costo e hanno difficoltà nell’accesso al credito. Questo limita la crescita della produttività».
Il sistema trarrebbe, quindi, vantaggio da una minore pressione fiscale che favorirebbe gli investimenti. «Da un lato meno tasse favorirebbe gli investimenti, dall’altro si correrebbe il rischio di vedere venir meno servizi pubblici di cui anche le aziende usufruiscono – evidenzia il docente - È un tema delicato che non può prescindere dalla sostenibilità dei bilanci dello Stato. Come detto, il debito non consente di usare i surplus per investimenti perché devono essere pagati gli interessi sul debito. Rendere più efficiente il settore pubblico consentirebbe di tagliare le tasse senza mettere a rischio i servizi».
«La banca mondiale ha recentemente fatto una classifica sulla facilità di fare impresa nei vari Stati. L’Italia, che rimane a pieno titolo una delle prime dieci economie al mondo, in questa classifica è ben al di sotto della decima posizione – conclude Grazzi - Certo le classifiche sono sempre oggetto di discussione ma le regole fiscali complicate e la difficoltà di accesso agli incentivi e al credito rendono il nostro Paese meno attrattivo di altri per gli investitori stranieri». Annarita Cacciamani