Se i lavoratori senior restano per l’azienda è solo una buona notizia
I più recenti dati Istat parlano chiaro: il numero degli occupati in Italia continua a crescere. Relativamente al settembre 2023 se ne registrano 42mila in più, di cui 27mila over 50. Se guardiamo al primo semestre 2023, l’incremento di occupazione risulta pari a 324mila unità e per oltre due terzi coincide con la fascia di età compresa tra i 55 e i 69 anni. Non è un fenomeno nuovo, anzi. Ormai da qualche tempo, in Italia, il mercato del lavoro vede protagonisti proprio gli ultracinquantenni. Parallelamente, il tasso di occupazione dei giovani fino ai 34 anni diminuisce.
Ma quest’ultimo dato non è conseguenza del primo. Non è “colpa” dei lavoratori senior se le altre generazioni rappresentano una risorsa carente. Claudio Lucifora, professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano nonché direttore del Centro di ricerca sul lavoro Carlo Dell’Aringa e dell’Osservatorio sull’invecchiamento attivo presso lo stesso ateneo, mette subito un accento netto: «C’è una grande bufala assai diffusa tra l’opinione pubblica: quella secondo cui i giovani restano disoccupati perché gli altri non vanno in pensione».
La massiccia presenza di over 50 deriva dall’invecchiamento della popolazione, ma anche da altri fattori. E non è una cattiva notizia, come credono in molti. Anzi: cambiando chiave di lettura diventa una preziosa opportunità.
QUESTIONE PENSIONI: UN NODO SEMPRE PIÙ STRETTO
La crescita dell’occupazione, di per sé, resta un dato positivo ed è bene tenerlo a mente. Ma il mercato del lavoro sta cambiando. Il mercato del lavoro, in Italia, è sbilanciato. Innegabile. Bisogna, però, comprendere quali siano realmente le ragioni. «Non capisco – commenta Claudio Lucifora – perché i dati di cui parliamo facciano notizia. Siamo tra i Paesi che invecchiano di più, non è una novità. Non si tratta di fenomeni demografici eclatanti». I dati in questione, sottolinea il professore, derivano quindi da due fattori. Uno positivo e uno negativo:
Si vive più a lungo
Nascono sempre meno bambini
Il mutamento degli assetti occupazionali, tuttavia, è stato reso più drastico dalle modifiche delle politiche riguardanti il mercato del lavoro e le pensioni. L’età di accesso alla pensione aumenta costantemente, di pari passo con le aspettative di vita: attualmente il traguardo è 67 anni. Si riesce ad anticipare in virtù di alcune finestre, collegate in primis agli anni di contribuzione, ma restiamo comunque su una media di 62 anni. E a quel traguardo, volenti o nolenti, bisogna arrivare. «Sarebbe invece necessaria – riflette Lucifora – una politica che consenta di scegliere se e quando andare in pensione».
CHI È ULTERIORMENTE PENALIZZATO
Con le regole attuali, quindi, andare in pensione è difficile. Ancora di più per chi non ha potuto costruire carriere regolari, perché non accede alle suddette finestre di anticipo pensionistico. E qui il pensiero va subito alle donne, che spesso lasciano il lavoro quando diventano madri e non di rado rientrano quando i figli sono un po’ cresciuti. Gli anni passano, bisogna recuperare il tempo perduto e la pensione si fa sempre più lontana.
Il tono di Claudio Lucifora si fa amaro: «La verità è che delle riforme pensionistiche beneficiano solo pochi lavoratori, soprattutto uomini e dipendenti del settore pubblico». C’è un’altra considerazione, che non dà sollievo: l’Italia è assillata dal debito pubblico, bisogna trovare più modi per risparmiare e si finisce, tra l’altro, per penalizzare chi ancora deve andare in pensione rispetto a chi c’è andato.
Dunque, sono questi (insieme all’invecchiamento della popolazione e alla contrazione demografica) le ragioni per cui aumenta la quota di occupati over 50 sul mercato del lavoro. E non sorprende che l’aumento sia maggiore in riferimento alle donne. No, non si tratta a priori di una scelta. Prima di tutto, è un obbligo. E ciò significa anche che questi numeri che lievitano non derivano da nuovi ingressi, bensì da un aumento della permanenza.
UN LUOGO COMUNE DA ABBATTERE
Gli over 50 restano nel mercato del lavoro, gli under 34 faticano a entrare. Ma torniamo al punto di partenza: non è il primo fenomeno a causare il secondo. Lucifora lo ribadisce con forza: «Non è vero che ci sono meno posti per i giovani perché occupati dai senior. È un ragionamento totalmente fallace, anche perché non esiste un numero fisso di posto sul mercato del lavoro. In realtà c’è bisogno sia di giovani che di ‘anziani’».
Ecco un altro passaggio importante: quando un lavoratore lascia, l’azienda subisce una perdita di capitale umano. E questo vale soprattutto per le Pmi. Non di rado capita, d’altro canto, che non si trovino i giovani da assumere. Perché sono pochi, appunto, ma anche per via dello skill mismatch, ovvero “lo scollamento tra le competenze richieste e quelle in possesso dei candidati, quindi ciò che il mercato del lavoro offre”. In parole povere significa: «Se i lavoratori senior restano, è solo una buona notizia».
I DUE MONDI S’INCONTRANO: LA SOLUZIONE VINCENTE
Il lavoratore senior è una risorsa e come tale deve essere considerato. No, non è una cattiva notizia se rimane. Apriamo una parentesi, che poi semplice parentesi non è: «Numerosi studi – fa presente Lucifora – mostrano come andare in pensione abbia conseguenze negative sulla salute, soprattutto psicologica». L’inattività può essere deleteria. Il cosiddetto invecchiamento attivo, invece, si traduce in numerosi benefici. Per la persona stessa e per l’azienda che sposa questa causa.
Claudio Lucifora è anche il coordinatore di Age-it, un programma finanziato dal Pnrr che copre un partenariato esteso e riunisce numerosi soggetti sia pubblici che privati: 27 tra università, centri di ricerca, industrie, enti e organizzazioni. L’obiettivo è proprio approfondire i temi legati all’invecchiamento, le conseguenze e le sfide, fornendo anche risposte alla società.
Una delle linee principali conduce proprio all’age management, quindi alla gestione ottimale dell’invecchiamento in azienda. Che dovrebbe passare da una serie di strategie finalizzate all’interazione e al bilanciamento delle diverse generazioni: «Non si tratta di mandare in pensione i lavoratori il prima possibile, ma di far convivere le generazioni. I giovani hanno bisogno dell’esperienza degli anziani e gli anziani hanno bisogno delle competenze digitali dei giovani». Un trasferimento di esperienze e capacità, dunque, che potrebbe cominciare da un programma di mentoring.
Il condizionale, però, è d’obbligo. Perché le grandi imprese e le multinazionali cominciano a mostrare una certa sensibilità in merito, tuttavia siamo ancora distanti da una piena attuazione; le Pmi, d’altro canto, per la loro stessa natura fanno ancora più fatica nel passare dalla teoria alla pratica «L’invecchiamento della forza lavoro è soltanto lo specchio della società – ribadisce Lucifora – ma lavorare più a lungo può essere una buona cosa per tutti. A patto di cambiare il punto di vista e il modo di affrontare questo fenomeno». Nadine Solano
L'errore più costoso è limitare lo scambio di esperienze a un semplice passaggio di consegne al momento del pensionamento, causando una perdita di capitale professionale. Le imprese dovrebbero puntare a una continua e organizzata circolazione di competenze, sostituendo il concetto obsoleto del passaggio di consegne.
Mappatura e monitoraggio delle competenze
Le competenze critiche devono essere identificate, mappate e monitorate continuamente per garantire il valore e la competitività dell'azienda. Le competenze, non legate all'età, rappresentano la capacità operativa del collaboratore e devono essere misurate e accumulate strategicamente. Identificare gli esperti interni che detengono queste competenze e sostenere il loro trasferimento di conoscenza è fondamentale.
Gestione del rapporto intergenerazionale
Infine, la gestione del rapporto tra diverse generazioni professionali è essenziale per un trasferimento efficace delle competenze. Riconoscere e gestire la diversità generazionale, sostituendo il passaggio di consegne con la circolazione di competenze, è la chiave per un'impresa moderna e innovativa.
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